lunedì 14 settembre 2020

«Di tutto (di lingua italiana) un po'»



Siamo sempre stati (e sempre lo saremo) contro l'uso di parole straniere — che inquinano il nostro idioma gentil sonante e puro, per dirla con l'Alfieri — quando c'è il corrispettivo vocabolo italiano. Ci domandiamo, infatti, per quale motivo si continui ad adoperare il termine barbaro identikit quando in italiano abbiamo un vocabolo (dai tempi dei tempi) che fa alla bisogna: prosopografia (descrizione delle fattezze di un individuo). È composto con le voci greche "prósopon" (viso) e" gràphein" (scrivere).

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 Probabilmente non tutti saranno d'accordo su quanto stiamo per scrivere (ogni giudizio, ovviamente, è soggettivo). Nel nostro lessico c'è un verbo che sa troppo di burocrazia e andrebbe, a nostro modo di vedere, sostituito con altri più consoni. Il verbo 'incriminato' è declinare. Non dimentichiamo che l'accezione primaria del suddetto verbo è volgere, tendere gradatamente al basso derivando dal latino chinare (inclinare): la montagna declina verso la pianura. Adoperarlo nel senso di rendere noto o di respingere ci sembra, per l'appunto, un abuso linguistico. Spesso, anzi sempre, si sente dire o si legge declinò le generalità (le rese note); la direzione declina ogni responsabilità; Mario ha declinato l'invito. Non è meglio dire respinge ogni responsabilità; dette (o riferì) le generalità e ha rifiutato, non ha accettato l'invito? Declinare, insomma, è un verbo che, a nostro avviso, meno si usa nelle accezioni "incriminate" meglio è per il bene della lingua di Dante. 

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 L'aggettivo capace, nell'accezione di essere in grado, quando è seguito da un verbo di modo infinito può reggere, indifferentemente, le preposizioni di e a. In uno scritto formale, però, è consigliabile la preposizione di: neanche in quell'occasione sei stato capace di reagire. La preposizione a, infatti, è di uso prettamente colloquiale o regionale. Si adopererà tassativamente la preposizione di quando l'aggettivo in oggetto è seguito da un complemento di specificazione: Giovanni è capace di atti inconsulti.

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 L'avverbio alfine si scrive in grafia univerbata (tutta una parola) quando sta per infine, finalmente e simili: il tanto sospirato giorno alfine arrivò; in grafia rigorosamente scissa allorché vale allo scopo di...: i gentili clienti sono pregati di rispettare il proprio turno al fine di evitare un cortese rifiuto. 

La parola proposta da questo portale: dafnomanzia. Se non cadiamo in errore è registrata, attualmente, solo dal GRADIT perché è stata relegata nella soffitta della lingua. Ma che cosa sta a indicare? L'arte di predire il futuro mangiando alcune foglie di alloro, dopo averle bruciate. 

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La lingua "biforcuta" della stampa
E' una specie che avrebbe tanto da insegnare, se studiata con attenzione e profondità. Ma quando si diffonde come è successo a Roma dove sta soffocando persino il Campidoglio è anche il sintomo di mancata manutenzione, di superficialità e di dilettantesimo.
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Correttamente: dilettantismo (sorvolando sulla "e", verbo, con l'apostrofo invece del corretto accento)

Treccani: dilettantismo s. m. [der. di dilettante]. – 1. Qualità, condizione e atteggiamento di chi si dedica a un’arte, a una scienza, a un’attività con spirito da dilettante, o mostra scarse capacità, attitudini e preparazione nell’attività che svolge, anche professionalmente; sinon. quindi spesso di superficialitàfaciloneriadare prova di dilettantismo2. Svolgimento di attività sportive senza intendimenti professionistici e senza mire di guadagno. Certificato di d., documento indispensabile per la partecipazione di un atleta alle Olimpiadi, contenente la sua dichiarazione di essere dilettante (cioè non professionista), confermata dalla competente federazione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sull'uso dei verbi declinare e rifiutare. Sì, sulla Sua ben esposta disamina non ci sarebbe niente da ribadire, se si parlasse della lingua italiana del secolo scorso o anche prima. Nella lingua contemporanea i verbi rifiutare sono largamente attestati e non sono nemmeno sinonimi: declinare, che sarebbe un francesismo secondo il Treccani, è rifiutare cortesemente.

Personalmente, nel caso di traduzioni o in fatto di interpretariato dall'inglese all'italiano e viceversa posso anche indugiare tra rifiutare e declinare, ma in quelle che riguardano lingue con distanze prossemiche marcate, come quella giapponese, l'uso distinto di questi verbi è determinante. D'altronde, e non a caso, questi due verbi italiani vengono differentemente tradotti nei dizionari Italiano-Giapponese.

Renato P.