I nostri amici lettori — non più giovanissimi —
ricorderanno che fino a qualche decennio fa la maggiore età si raggiungeva al
compimento del ventunesimo anno. E ricorderanno, anche, le famose frasi dei
genitori: quando avrai compiuto i ventun anni potrai fare ciò che vorrai, ma
fino a quel momento sei soggetto alla patria potestà.
Questo ventun anni creava, e ancora crea, problemi circa l'apostrofo e la concordanza del sostantivo. Si deve scrivere ventun'anni, con tanto di apostrofo, o ventun' anno, sempre con tanto di apostrofo?
Alla prima domanda si può rispondere con la massima tranquillità (e certezza): niente apostrofo, perché si tratta di un troncamento e non di un'elisione. E c'è una regola pratica che ci aiuta a distinguere il troncamento dall'apostrofo: se il vocabolo che noi riteniamo debba essere apostrofato può stare davanti a una parola che comincia con una consonante e non crea cacofonia (suono disgustoso) vuol dire che non si tratta di apostrofo ma di troncamento. Scriveremo, per tanto, ventun anni (senza apostrofo) perché si può dire, benissimo, ventun quaderni. In caso di cacofonia si dovrà, invece, ricorrere all'apostrofo.
Per quanto attiene alla seconda domanda (ventun anni o ventun anno), la risposta è un po' più complessa. Per i grammatici moderni non ci sono dubbi: ventun anni. Il sostantivo che segue il numerale deve essere plurale. Noi, sommessamente, vogliamo ricordare che c'è una regola in proposito — anche se nel linguaggio comune non è rispettata — cui gli amanti della lingua debbono sottostare. Vediamola.
Se l'aggettivo numerale precede il sostantivo quest'ultimo è in numero singolare e l'aggettivo nel genere del sostantivo: ventun anno; cinquantuno alunno; trentuna matita. Quando il sostantivo precede, invece, il numerale il nome è in numero plurale e l'aggettivo nel genere del sostantivo: anni ventuno; alunni cinquantuno, matite trentuna.
Se, infine, il sostantivo è seguito o preceduto da un aggettivo qualsiasi, il numerale è nella forma indeclinabile maschile, mentre il sostantivo e l'aggettivo sono di numero plurale e concordanti fra loro nel genere: ventun cani tedeschi; trentuno matite rosse.
Questa “regola" si applica anche quando il sostantivo ha l'articolo, sia che l'accompagni o no un altro aggettivo: i ventun cani tedeschi; un trentuno matite rosse.
Giunti a questo punto ci sembra superfluo ricordare che gli aggettivi numerali cardinali, a eccezione di uno, sono solo plurali e indeclinabili per quanto attiene al genere.
Naturalmente i così detti linguisti doc storceranno il naso e ci scaglieranno i loro strali linguistici, ma queste sono le regole, che piacciano o no.
E i lettori che amano il bel parlare e il bello scrivere non possono ignorarle.
Questo ventun anni creava, e ancora crea, problemi circa l'apostrofo e la concordanza del sostantivo. Si deve scrivere ventun'anni, con tanto di apostrofo, o ventun' anno, sempre con tanto di apostrofo?
Alla prima domanda si può rispondere con la massima tranquillità (e certezza): niente apostrofo, perché si tratta di un troncamento e non di un'elisione. E c'è una regola pratica che ci aiuta a distinguere il troncamento dall'apostrofo: se il vocabolo che noi riteniamo debba essere apostrofato può stare davanti a una parola che comincia con una consonante e non crea cacofonia (suono disgustoso) vuol dire che non si tratta di apostrofo ma di troncamento. Scriveremo, per tanto, ventun anni (senza apostrofo) perché si può dire, benissimo, ventun quaderni. In caso di cacofonia si dovrà, invece, ricorrere all'apostrofo.
Per quanto attiene alla seconda domanda (ventun anni o ventun anno), la risposta è un po' più complessa. Per i grammatici moderni non ci sono dubbi: ventun anni. Il sostantivo che segue il numerale deve essere plurale. Noi, sommessamente, vogliamo ricordare che c'è una regola in proposito — anche se nel linguaggio comune non è rispettata — cui gli amanti della lingua debbono sottostare. Vediamola.
Se l'aggettivo numerale precede il sostantivo quest'ultimo è in numero singolare e l'aggettivo nel genere del sostantivo: ventun anno; cinquantuno alunno; trentuna matita. Quando il sostantivo precede, invece, il numerale il nome è in numero plurale e l'aggettivo nel genere del sostantivo: anni ventuno; alunni cinquantuno, matite trentuna.
Se, infine, il sostantivo è seguito o preceduto da un aggettivo qualsiasi, il numerale è nella forma indeclinabile maschile, mentre il sostantivo e l'aggettivo sono di numero plurale e concordanti fra loro nel genere: ventun cani tedeschi; trentuno matite rosse.
Questa “regola" si applica anche quando il sostantivo ha l'articolo, sia che l'accompagni o no un altro aggettivo: i ventun cani tedeschi; un trentuno matite rosse.
Giunti a questo punto ci sembra superfluo ricordare che gli aggettivi numerali cardinali, a eccezione di uno, sono solo plurali e indeclinabili per quanto attiene al genere.
Naturalmente i così detti linguisti doc storceranno il naso e ci scaglieranno i loro strali linguistici, ma queste sono le regole, che piacciano o no.
E i lettori che amano il bel parlare e il bello scrivere non possono ignorarle.
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Dal sito Treccani
Scansione in sillabe della parola buonumore
Rimando il tutto perché ci sono delle variazioni
"tecniche" Cordialmente: Da "Domande e risposte" del sito
Treccani: Vorrei conoscere la scansione in sillabe di buonumore. Trovo strano
che non si consideri "buon" unica sillaba inscindibile e la enne
faccia corpo con "nu". Risposta degli esperti: La scansione è proprio
quella che non piace alla nostra gentile lettrice: buo | nu | mo | re. Non
piace e capiamo anche il perché: perché l'analisi semantica di buonumore porta
a restituire i confini di parola originari (buon | umore). Azzardiamo una
spiegazione. Che completa quella della Treccani: le parole che cominciano con
"buon" (e alcune delle quali si possono scrivere anche in grafia
analitica: buonumore/buon umore; buonsenso/buon senso) seguono una sillabazione
particolare. 1) Se la "n" di buon è seguita da una consonante
(buoncostume) l'aggettivo buon si considera una parola monosillabica, che fa,
cioè, sillaba a sé: buon|co|stu|me; buon|gior|no; buon|go|ver|no;
buon|gu|sta|io. Questo perché in italiano non ci sono parole che iniziano con
/n+cons/. 2) Se invece la "n" è seguita da una vocale la scansione
sillabica dei sintagmi sarà normale: buo|nu|mo|re; buo|nuo|mo.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’integrazione
che il dott. Fausto Raso ha voluto inviarci a proposito di una nostra risposta
al quesito vertente sulla scansione in sillabe della parola buonumore.
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