di Salvatore Claudio Sgroi
Un caro
amico, conoscendo la mia scarsa familiarità con Facebook, ha voluto riportare dalla pagina appunto Facebook
della brava sociolinguista Vera Gheno:
https://www.facebook.com/wanderingsociolinguist/posts/10158476343335915
uno "schwpiegone. Post in espansione" relativo al problema di
come rendere graficamente il maschile/femminile dei nomi animati recentemente
dibattuto da chi crede che la lingua sia morfologicamente sessista.
Non mi
soffermerò qui sul problema del (presunto) sessismo grammaticale della lingua,
di cui in passato mi sono più volte occupato (per es. <https://faustoraso.blogspot.com/>): (i) Per smentire la teoria della lingua sessista,
17 gennaio 2017, (ii) Ancora sul sessismo
linguistico, 20 gennaio 2017, (iii) La
Crusca neo-sessista "con juicio", 25 luglio 2017, (iv) Gli usi dei parlanti e la pseudo-teoria del
'sessismo' linguistico, 23 giugno 2019, (v) Sessismo linguistico e libertà del(la) parlante, 6 luglio 2019, e
più accademicamente in (As)saggi di
grammatica laica, Ed. dell'Orso 2018, cap. 2).
I
sostenitori di tale tesi confondono invero il problema del genere grammaticale (maschile/femminile)
col problema del sesso (maschio/femmina) dei referenti dei nomi animati e
sottovalutano che la funzione prioritaria del genere grammaticale delle lingue
è quella di garantire la coesione sintattica attraverso l'accordo (es. tutti gli uomini sono
uguali VS *tutte gli
uomine sono uguale, ecc.) e solo secondariamente far riferimento anche al sesso.
Qui invece
mi porrò dalla parte di Vera Gheno per discutere con lei come rendere la grafia
ambigenere <tutti e tutte>, <tutte e tutti>, ovvero con
<tutt*>, <tutt@>, <tutt>, <tuttx>, <tutty>,
<tuttu>, <tutte/i>, <tutte e tutti>. O ancora, come ora lei
propone, col suono indistinto schwa [ə], per es. in <tuttə>.
Che ci siano
più alternative ("tante soluzioni diverse" lamenta la Gheno) e non
una sola, sembra una preoccupazione invero poco giustificata, per una
sociolinguista. Come in altri casi, anche qui la pretesa di una sola regola
significa non tener conto della naturale variabilità (socio)linguistica.
Ai fini di
una discussione critica (costruttiva) è necessario affrontare dal punto di
vista della linguistica generale il problema dell'analisi dei morfemi
grammaticali femm./masch., sing./plur..
Come sa
qualunque studente che abbia fatto un corso di linguistica generale, in un
lessema come car/o-i, car/a-e si distinguono due componenti: la radice (o
morfema lessicale) car- e il morfema
grammaticale: -o/-i, ed -a/-e, indicante a un tempo inclusivamente
il genere (maschile o-i / femminile a-e) e il numero (singolare o-a / plurale i-e).
Detto in
altri termini, il morfema grammaticale è saussurianamente un segno linguistico
bifacciale, ovvero {-o}, costituito da un /significante/ sonoro (/o/) e da un
"significato" grammaticale ("masch. e sing.").
Schematizzando:
Segno {-o} ---------------------------------
significato "masch. e
sing."
Ora nel caso
della soluzione grafica con asterisco *, o con chiocciola @, tale segno
grafico è sempre un morfema grammaticale, ma puramente grafico: {<*>}, {<@>}. Ovvero si tratta di un segno linguistico bifacciale
costituito da un <significante> non però sonoro come (/o/) ma grafico
come <*> o <@> e da un "significato" grammaticale
cumulativo o inclusivo indicante a un tempo cioè "masch./femm. e sing./plur.".
Schematizzando:
Segno {<*>}, {<@>} ----------------------------------------------
significato "masch./femm.,
sing./plur."
La stessa
analisi è applicabile nel caso "chi omette l'ultima lettera", es. car
. Il morfema lessicale car è cioè
seguito da un "morfema grafematico zero" {Ø}, come se fosse carØ. Tale
morfema {Ø} in quanto segno
bifacciale è costituito da un /<significante grafematico zero>/ non-sonoro
che rinvia a un "significato grammaticale cumulativo".
Schematizzando:
Segno {<Ø>} -----------------------------------------------
significato "masch./femm., sing./plur."
Chi utilizza
le lettere <u>, <x>, <y> sembra invece proporre una soluzione
decisamente ambigua, perché tali lettere dovrebbero avere il valore di
significante puramente grafico e non fonologico ma i significanti grafici <u>,
<x>, <y> rimandano
decisamente in italiano, soprattutto <u>, al valore fonologico
rispettivamente /u/, /ks/, /i/. Schematizzando:
graf. <x>
son. /ks/, graf. <y> son. /i/
Segno {< u, x, y>} ----------------------------------------------
significato "masch./femm.,
sing./plur."
"Chi preferisce
usare la doppia forma, quella forse più comune (es. Un caro benvenuto a tutte e tutti)", opta invece per la grafia
alfabetica tradizionale, ovvero adotta una soluzione sintagmatica, che non pone
alcun problema strettamente grafico.
Chi "usa il femminile sovraesteso" -- altra soluzione
ricordata dalla Gheno -- ovvero chi "usa il femminile anche là dove ci
fossero alcune persone di sesso maschile, 'ribaltando' la regola
tradizionale" rimane sempre all'interno della grafia tradizionale ma va
controcorrente per quanto riguarda le regole morfologiche della coesione
grammaticale legate al genere grammaticale [che non andrebbe confuso, come
accennato, col "sesso" (naturale), come invece fa chi accusa o
colpevolizza la lingua di essere grammaticalmente sessista].
I morfemi
grammaticali puramente grafici {<*>},
{<@>} e {<Ø>} che
rinviano a un significato grammaticale, come detto, cumulativo o inclusivo sono
l'equivalente di un logogramma/ideogramma o di un carattere cinese, il cui
disegno non dà indicazioni sulla pronuncia ma solo sul significato. La Gheno
osserva sì che asterisco e chiocciola "non hanno un suono", ma
sottovaluta la rilevanza teorica di tale fatto, che considera anzi un
inconveniente a cui por riparo con il ricorso al suono indistinto dello schwa [ə], es. in <tuttə>.
Alla luce di
quanto sopra, la soluzione dello schwa <-ə> /ə/, proposta dalla Gheno,
ovvero <tuttə> col valore inclusivo di 'tutti e tutte' e da leggere con
la vocale indistinta /ə/ propria del
francese, dell'inglese o del napoletano, risulta di difficile applicabilità,
perché combina la scelta teorica con una difficoltà pratica, quella cioè
(i) di
indicare sì come nei sistemi ideografici un significato, ovvero cumulativamente
il 'genere maschile/femm., sing./pl.', ma nel contempo
(ii) di
indicare, come nei sistemi fonologici il suono-fonema /ə/, che tra l'altro non
esiste in italiano se non nei dialetti o nell'italiano fortemente
regionalizzato partenopeo.
A questo
punto, le altre alternative per indicare a un tempo cumulativamente o
inclusivamente il genere masch./ femm., sing./pl. sembrano tutte di gran lunga
preferibili, sia dal punto di vista teorico che pratico.
Alla fine,
se la Gheno preferisce lo schwa in <tuttə>
(a <tutt*>, <tutt@>, <tutt>, <tuttu>, <tutte/i>,
<tutte e tutti>, <tutti e tutte>) non può pretendere che la scelta
grafica <tuttə> abbia, oltre
che valore morfologico-ideografico, anche valore fonologico obbligando gli
italiani a imparare un suono a estraneo al sistema fonologico dell'italiano.
Data poi
anche la complicazione di andare a pescare il simbolo <ə> rispetto
all'asterisco o alla chiocciola, è difficile seguirla in questa scelta.
Più che una
"terza via" o un "arricchimento del sistema" la soluzione dello
schwa <ə> della Gheno mi
sembra invero una proposta poco felice legata a una insufficiente riflessione
di teoria linguistica.
D'accordo invece
con la Gheno ritengo alla fine che
"la via da percorrere sia usare il
maschile per chi vuole il maschile, il femminile per chi vuole il femminile"
mentre per "chi non vuole usare né il femminile né il maschile" lo
scrivente -- aggiungo io -- dispone di più scelte: l'asterisco, la
chiocciola, l'omissione dell'ultima lettera, ovvero
la sbarra, ma anche lo schwa puramente grafico <-ə>, e se proprio
vuole le altre possibilità (§ 4.3 e -- decisamente controcorrente -- § 4.5).
Sommario
1. L'evento
2. La lingua grammaticalmente sessista?
3. Dalla
parte della Gheno
3.1.
Plurigrafismo e variabilità sociolinguistica
4. Una
riflessione teorica sull'analisi morfologica
4.1.
L'asterisco e la chiocciola al vaglio dell'analisi morfologica
4.2.
"chi omette l'ultima lettera"
4.3. "
chi usa la u, chi la x e chi la y"
4.4.
"chi usa la barra /" (es. care/i,
cari/e)
4.5. "chi usa il femminile sovraesteso"
5. Asterisco,
chiocciola e <Ø> equivalenti
a un logogramma
6. La
soluzione dello schwa <-ə> /ə/ della Gheno alla luce dell'analisi
morfologica
7. Lo schwa
graficamente <ə> e fonologicamente /ə/: una "terza via"?
8. Scelta
laica: au choix
2 commenti:
Molte grazie al professor Sgroi per la sua attenta analisi del mio post. Lo ringrazio soprattutto perché, in un clima di generalizata isteria, in molti casi aprioristica, rispetto a tutta la discussione, si è preso la briga di discutere la questione in termini scientifici, senza derubricarla a sciocchezza. Vorrei solo aggiungere alcuni punti che, forse, dalla lettura del solo post su Facebook non sono desumibili.
1) Io non penso affatto che l'italiano sia sessista; casomai, posso pensare che se ne possa fare un uso sessista, in alcuni casi. L'altra questione è che, da "donna bianca etero cisgender", non ho piena consapevolezza di come si possano sentire le persone che non si identificano con i due generi canonici di fronte a quella che loro sentono come una limitazione espressiva (l'esistenza dei due generi grammaticali); e sulla difficoltà di "camminare nelle scarpe degli altri", suggerisco la lettura del volume di Federico Faloppa #Odio.
2) Non vivo l'esistenza di molte soluzioni a tale "limitazione" come un problema; anzi, altrove ho rilevato che proprio tale molteplicità mi pare la miglior risposta a chi pensa che si tratti di una questione sollevata da un'élite che la vuole imporre dall'alto sulla massa dei parlanti. Proprio girando per l'Italia e incontrando persone di associazioni, gruppi, collettivi diversi ho per così dire toccato con mano la grande varietà di soluzioni adottate, e ne sono rimasta decisamente affascinata. Per prima cosa, dunque, ho cercato di censirle. Allo stesso modo, non ho mai preteso di creare una sola regola; anzi.
3) Effettivamente, la mia proposta dello schwa, nata come boutade e come tale semplicemente accennata nel libro "Femminili singolari" (in risposta a chi si lamentava dell'impronunciabilità dell'asterisco) ha, a mio avviso, applicabilità limitatissima. Ed è vero che manca ancora l'approfondimento teorico sulla questione, perché non ci sono ancora arrivata: semplicemente, un elzeviro di Mattia Feltri, che più che altro si è divertito a prendersi superficialmente gioco della questione, ha catalizzato l'attenzione pubblica su un'istanza che, per quanto mi riguarda, è allo stadio iniziale. In altre parole: ho appena iniziato ad approfondire l'argomento, con un occhio anche alle altre lingue; per questo, i contributi come quello del prof. Sgroi sono i benvenuti, perché prendono atto dell'esistenza di una "questione" invece che minimizzarla come quisquilia. Per me, se esistono delle questioni linguistiche che provocano sofferenza anche a una parte molto ristretta della società in cui vivo, queste sono perlomeno degne della mia considerazione di sociolinguista, pur non essendoci, magari, soluzioni a portata di mano.
4) Al momento, dopo qualche mese di discussione, mi pare che lo schwa abbia un unico pregio: è piaciuto ai creativi, forse proprio per la sua "esoticità", come dimostrano il poster creato dal disegnatore Sio per Lucca Comics e la pubblicità dell'impresa funebre Taffo (in entrambi i casi, consiglio di soffermarsi soprattutto sulle reazioni scaturite da tali prese di posizione). In questo caso, sia l'estraneità dello schwa al sistema linguistico italiano sia la sua circolazione piuttosto circoscritta, limitata a chi ha incontrato, per motivi di studio, l'Alfabeto Fonetico Internazionale, hanno agito come elementi di attrazione invece che come ostacolo. Sembra, quindi, che lo schwa possa davvero fare da "evidenziatore" di un'istanza (la ricerca di soluzioni non binarie), lungi dall'essere una soluzione.
(E ovviamente grazie a Fausto Raso per avere dato spazio a questo scambio)
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