La vittoria di Barack Obama ci ha permesso di prendere coscienza della messa al bando, nella lingua italiana, del termine “negro” riferito all’identità etnica. “Negro”, con riferimento al color della pelle ossia alla razza, è parola ormai spregiativa. Al suo posto è da usare solo “nero”.
“Obama
è il primo presidente nero” hanno così proclamato, unanimi, gli organi
d’informazione della penisola. Nero,
quindi, e non negro come si sarebbe detto fino a ieri.
Ma come
si è potuto verificare, nella lingua italiana, questa rapida caduta di “negro”,
sostituito dal politically correct “nero”? Se la parola “negro” ha assunto un
significato peggiorativo, ciò è avvenuto per la sua condannabile assonanza con
la parola “nigger”, che in inglese è usata come insulto. Ancora una volta è
stato l’esempio americano ad influenzare gli italiani, ultrasensibili ai suoni
e alle mode d’oltreoceano. È già molto, oso dire, se giornali, radio e
televisione non hanno puramente e semplicemente adottato il termine inglese
“black”. Ma non è detto...
Non è
stata l’Accademia della Crusca, ma sono stati i giudici italiani, in un momento
di tregua nella guerra contro Berlusconi, a tagliare il nastro inaugurale di questa
rivoluzione lessicale. La Corte di Cassazione, ignorando i dizionari, ha
sancito: «Sul piano linguistico, la parola negro, traslato di nero, non
definisce semplicemente il colore della persona, a differenza di moro. Difatti
è stata assunta nella recente epoca coloniale, nelle lingue neolatine ed
anglosassoni, per la designazione antonomastica dell'indigeno africano, quale
appartenente ad una razza inferiore, quando non destinato, con questa falsa
giustificazione fatta perfino risalire alla Bibbia, alla schiavitù, perdurata
in America fin oltre la metà dell'Ottocento».
I
linguisti si sono dovuti adeguare alla storica sentenza. E oggi, anche se
diversi dizionari continuano a dare tranquillamente a “negro” la definizione di
“appartenente, relativo alla razza negra”, altri offrono una prudente messa in
guardia. Il Garzanti: "La parola negro è stata spesso
usata in modo spregiativo; per questa ragione si preferisce sostituirla con
nero ed è quasi del tutto caduta in disuso in espressioni riferite alla
cultura".
Ormai solo gli ispanici, meno complessati di noi nei confronti del mondo
angloamericano (bisogna anche dire che loro hanno solo “negro”, mentre noi e i
francesi abbiamo le forme alternative: “nero- negro”, “noir-nègre”), continuano
imperterriti ad usare il termine “negro”.
Non vorrei adesso dare l’impressione che io inciti il lettore a
boicottare il politically correct “nero”. No, non si può tornare indietro perché l’irreparabile è avvenuto. È l’uso e solo l’uso a dare un buono o un
cattivo odore ad una parola. E i giudici togati, tra una polemica e l’altra con
Berlusconi, hanno determinato l’uso, anzi il “non uso”, di “negro” dandogli un
cattivo odore. E io mi adeguo, seguendo l’esempio di Sergio Romano che sul
“Corriere della Sera” ha scritto con molta saggezza: “Anch’io penso che la parola negro non
sia spregiativa. Ma so che in questo momento offende la sensibilità di molte
persone ed evito di usarla. Non è prudenza. È soltanto galateo. »
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Sul "politically correct" segnaliamo un
interessante articolo di Rita Fresu, pubblicato sul sito della Treccani.
1 commento:
Aderisco a questa iniziativa obtorto collo. Beninteso, nella parola negro non ci vedo connotazioni offensive ma, “grazie” all'uso che ne fecero, se ne è fatto e si continua a farne oltreoceano, ora ci ritroviamo a decurtare il nostro vocabolario per ragioni di correttezza politica.
Qualora ce ne fosse bisogno, vale la pena ricordarci che la realtà italiana è ben diversa da quella americana solo vedendo il cospicuo numero di cognomi italiani attinenti al tema lessicale negro. Chi non ricorda la pubblicità Le stelle sono tante milioni di milioni la stella di Negroni.? Eppoi da noi i Negroni sono anche aristocratici!
Di rimando, tutto ciò mi ricorda la travagliata trasformazione del titolo di un romanzo inglese originariamente Ten little niggers, passato ad essere Ten little indians, ma anche And Then There Were None, e poi ancora Ten little soldiers,... C'è da chiedersi se sia veramente cambiato qualcosa da quegli anni a questa parte. Non mi sembra proprio.
Eh sì, quella di avere un epiteto per tutti i gruppi etnici dev'essere una fisima tutta loro! Per potersi appropriatamente esprimere hanno difatti parole come nigger, nips, chink, gook, dago. Non stupisce poi di sapere che siffatta “tassonomia ad hoc” trova invece scarsa produttività per parole di uso più comune; cito la parola nail e l'aggettivo nailess che, in italiano, hanno sostantivi e aggettivi ben definiti. Insomma, tanta profusione e dedizione a denigrare questo o quel Popolo con parole dedicate, e poi tutti a ceccia quando si tratta di fare distinzione tra chiodo e unghia! Ma levatevi quattro passi dalle p...e, diceva il mio povero nonno quando, intento ad armeggiare attorno al palorcio, allontanava gli scocciatori.
Ma al di là di queste divagazioni personali, resto convinto ora più che mai che tra Popoli e Popoli che hanno diversi usi e costumi e lingue, e mangiano e bevono in maniera e quantità diversa – su queste ultime parole non posso non ricordare due cose; uno è l'adagio della Regola sanitaria salernitana “Un pasto intero e uno mezzano fanno l'uomo sano”, e l'altra è un titolo di un libro di Edoardo Scarfoglio “ Il Popolo dai cinque pasti”- è bene, dicevo, lasciare questo status quo.
Chiudo con questa frase.
Una donna bianca è libera di prendere un Negroni prima di pranzo e un negrone dopo cena.
Americani, ed altri, fatevene una ragione!
Renato P.
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