venerdì 1 febbraio 2019

L'uscita? Si raggiunge, non si "guadagna"


A proposito di "siedi il bambino" e "scendi il cane", espressioni che l'Accademia della Crusca ammette soltanto nel linguaggio parlato o familiare ma da evitare tassativamente in contesti  formali, ci è venuta alla mente un'altra espressione che - a nostro modesto avviso - è "corretta" solo in contesti informali e non in uno scritto sorvegliato: guadagnare l'uscita. Il verbo guadagnare, come recitano i vocabolari, significa ricevere remunerazione del proprio lavoro; ottenere qualcosa come riconoscimento del proprio impegno, delle proprie qualità: guadagnare 800 euro il mese; guadagnare la simpatia delle persone ecc. Nel verbo in questione, insomma, è insito e sottinteso un lavoro, una fatica fisica o intellettuale. Molti intrattenitori televisivi adoperano il verbo guadagnare con il significato (che non gli è proprio) di raggiungere, arrivare, entrare, giungere e simili: mentre gli ospiti, cortesemente, guadagnano l’uscita mandiamo in onda la pubblicità. Ci sembra che il Tommaseo - Bellini metta bene in evidenza che si raggiunge qualcosa sempre con l’aiuto della forza (fatica) o dell’intelligenza (intelletto). Gli ospiti quale fatica (fisica o intellettuale) affrontano per raggiungere l'uscita? Guadagnare l'uscita, insomma, ci sembra un nonsenso (o non senso). Ma non è finita. Taluni adoperano il suddetto verbo  — col beneplacito di alcuni vocabolari (troppo permissivi?) — alla francese, con il significato di vincere e simili: guadagnare 300 euro al gioco; guadagnare una scommessa. In questi esempi dove sta la fatica insita nel verbo? È un uso, questo, che gli amatori della buona lingua non debbono seguire.


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Paremiografo e paremiologo
Probabilmente saremo in errore. Alcuni vocabolari consultati attestano "paremiografo" e "paremiologo" con il medesimo significato: esperto, studioso di paremiologia ("scienza dei proverbi"). A nostro modo di vedere, invece, i due termini hanno significati distinti: il primo sostantivo dovrebbe/deve indicare colui che raccoglie (o scrive) i proverbi; il secondo la persona che li "studia". Essendo composti, il primo, con le voci greche "paroimía" (proverbio) e "-grahos" ("che scrive"); il secondo con "paroimía" e "-logos" ("scienza", "discorso").

3 commenti:

Ines Desideri ha detto...

Gentile dottor Raso,
mi lascia perplessa che l'Accademia della Crusca ammetta l'uso di espressioni come "siedi il bambino" e "scendi il cane" nel linguaggio parlato o familiare.
Chiarisco immediatamente: è ovvio che l'Accademia della Crusca non può fissare regole per quanto concerne il 'parlato' in contesti informali o, addirittura, nell'ambito familiare.
Tuttavia mi chiedo se gli Accademici abbiano piena consapevolezza di quanto incerto - oserei dire debole - sia oggi il confine tra il linguaggio formale e il linguaggio parlato/familiare.
Lei sa bene quanto io difenda l'arricchimento della nostra lingua e la mia convinzione che una lingua, per rimanere viva (e vivace), debba - deve? no: non mi piace - rinnovarsi continuamente, per meglio rispondere alle esigenze espressive dei parlanti o degli scriventi.
Nonostante ciò, ritengo che il passo tra "siedi il bambino/scendi il cane" nel linguaggio familiare e "siedi il bambino/scendi il cane" anche nel linguaggio formale sia molto breve.
Ripeto: l'Accademia della Crusca non può e non ha il diritto di imporre a una "graziosa famigliola" di esprimersi in un modo oppure in un altro, ma può sconsigliare l'uso di espressioni di questo genere.
Sconsigliare è diverso da consentire, lo sappiamo.

Cordialmente
Ines Desideri

Ines Desideri ha detto...

"Guadagnare la simpatia", invece, mi ha fatto tornare in mente la scoperta - ai tempi della scuola elementare, che oggi è d'obbligo chiamare "scuola primaria" - del verbo "accattivarsi".
Probabilmente avevo letto o sentito dire una frase del tipo "Mi sono accattivata la sua simpatia".
Ricordo, però, che trovai molto strana l'unione di un verbo dal valore negativo, quale a me parve "accattivare", con un sostantivo dal significato positivo ("simpatia").
Ebbi così l'ardire di dubitare e cercai sul 'mio' Palazzi la voce "accattivare": non la trovai.
Chiesi alla maestra, che mi suggerì di cercare "cattivare".
Dopo tanti anni eccomi di nuovo davanti al Palazzi e al lemma "cattivare".
"rifl. [dal tardo lat. captivàre] rif. a benevolenza, amore e sim., conciliarsi, guadagnarsi".
Be', da allora, nei miei temi - che oggi è d'obbligo chiamare "testi" - fu tutto un fiorire di "accattivarsi la simpatia" e di "accattivante".
Superfluo precisare, ritengo, che il prefisso "a-" richiede il raddoppiamento della "consonante iniziale scempia del secondo componente" (Treccani) e ha valore intensivo: da "cattivarsi" eccoci, dunque, ad "accattivarsi".

Cordialmente
Ines Desideri

Ines Desideri ha detto...

Gentile dott. Raso,
concordo con lei per quanto concerne l'uso dell'espressione "guadagnare l'uscita", sebbene sia riportata in buona parte dei vocabolari.
E cosa dire dell'altrettanto, a mio avviso, sgradevole "Mi sono portato/portata verso l'uscita"?

Ma torniamo a "guadagnare l'uscita", perché...
Perché immagino una metropolitana (o un qualsiasi altro mezzo di trasporto pubblico), nell'ora di punta: affollatissima. Si sta "stretti come sardine in scatola".
Per non "saltare" la propria fermata, o addirittura anche la successiva, occorrono forza e fatica fisica, destrezza e agilità, sicché l'uscita bisogna proprio... guadagnar(se)la!

Quanto alle espressioni "guadagnare 300 euro al gioco/guadagnare una scommessa" non le ho mai sentite né lette. Per fortuna.

Cordialmente
Ines Desideri