venerdì 15 febbraio 2019

Una sincope non esiziale (fortunatamente)


Gli amici lettori, amatori della lingua e del suo uso corretto, prestino attenzione allorché si recano presso tutti (o quasi) gli studi medici: potrebbero essere colpiti da sincope (per fortuna non esiziale). E ci spieghiamo.

Avrete notato che buona parte delle targhe professionali affisse sui portoni degli studi medici (ma non solo di questi, dei “dottori” in generale) presentano un errore marchiano: l’abbreviazione di dottore. Si legge spesso, infatti, “Dr. Caio Sempronio specialista in cardiologia”, dove l’abbreviazione di dottore è, per l’appunto, errata. Il punto finale non occorre affatto. Ma non è finita.
 Anche la preposizione “in” è errata: si è specialisti “di” qualcosa, non “in” qualcosa. Specialista “di” cardiologia.

E veniamo all’abbreviazione corretta di dottore che si può fare in due modi: “dott.” e “dr”. La prima forma è correttissima con il punto finale in quanto questo sta a indicare la caduta, per troncamento, delle lettere finali “ore” [dott(ore.)]. La forma abbreviata “alla tedesca”, come alcuni la chiamano, vale a dire la sigla “dr”, non necessita di punto finale perché non è un troncamento ma un accorciamento per “sincope” del termine latino “doctor”. Vediamo, quindi, cos’è questa “sincope”. Leggiamo dallo Zingarelli: “sincope, caduta di un suono o di un gruppo di suoni all’interno di una parola”. Cercheremo di essere più chiari.

Il vocabolo sincope viene dal greco “synkòpto”, composto di “syn” (insieme) e “kòpto” (taglio), ‘taglio insieme’, quindi, una o più lettere all’interno di una parola. Dal “doctor” latino, dunque, tagliando dentro il termine “octo” [d(octo)r] resta ‘dr’ che non va assolutamente con il punto finale: dr Pinco Pallino. Lo stesso discorso per quanto attiene all’abbreviazione di “junior” (che ‘andrebbe’ scritto con la ‘i’ normale, non con la “j” in quanto il latino classico non conosceva quest’ultima lettera): Bush jr quindi, senza punto finale e si legge come si scrive: non “giunior”, come spesso sentiamo dai grandi ‘dicitori’ dei vari radio-telegiornali. 

Ma torniamo, un attimo, all’inizio di queste noterelle. Dicevamo che bisogna dire “specialista ‘di’ ”, non “in”. Se proprio si vuole adoperare quest’ultima preposizione si dica “specializzato ‘in’ ":  ”specializzato in" cardiologia, anche se, a nostro modo di vedere, quest'ultimo termine (specializzato) è preferibile riservarlo a chi esercita un mestiere: operaio specializzato.


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La lingua "biforcuta" della stampa
Il particolare non passa inosservato. L’ira del Pd contro il direttore de Il Fatto Quotidiano: «È ossessionato, stracci il tesserino da giornalista»
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In buona lingua si dice "tessera (tesserino) di" (non "da") in quanto specifica l'appartenenza a una determinata categoria. Ma diamo la "parola" al Treccani: Cartoncino rettangolare, o anche libretto, con indicazioni scritte o stampate, e talora con la fotografia della persona cui è intestato, che serve per il riconoscimento di questa, o per dimostrare la sua appartenenza a un’associazione, a un partito, a un ente, a un’organizzazione, o per riconoscerle determinati diritti, ecc.: t. di sociot. di giornalistat. del tramt. di libero ingresso ai museit. del partito (nel periodo del regime fascista, assol. tessera, quella del partito, anche per indicare l’appartenenza o l’adesione a questonon aveva mai volutonon aveva mai preso la t.); presentare, mostrare la t.farsi farerinnovare la t.fotografia formato t. (anche foto tessera), o, che è lo stesso, uso tessera.


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Da "Risposte ai quesiti" del sito dell'Accademia della Crusca:

Quesito: 
Ci sono pervenuti molti quesiti sulla forma rimurginare. Alcuni dichiarano di sentirla sempre più spesso e anche in bocca a parlanti in possesso di un buon grado d’istruzione, altri affermano di averla addirittura vista in forma scritta. La domanda che ci viene rivolta è quindi se tale forma sia accettabile o meno, se si tratti davvero di una variante legittima di rimuginare.
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Ci sembra decisamente "strano" che un collaboratore (?) dell'Accademia adoperi il "meno" avverbiale in frasi disgiuntive con il significato di “no”: non so decidere se restare "o meno". Quest’uso è decisamente condannato dal Gabrielli e tollerato dal Serianni (uno degli accademici) che scrive: "In luogo di 'o no' si adopera anche 'o meno' (“ecco due cose le quali non so se mi garbassero o meno Nievo), locuzione molto diffusa ma da evitare almeno nello scritto e nel parlato piú formale".

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Qui la risposta al quesito.


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