C’era una volta,
tanti, tanti anni fa, in un villaggio sperduto fra verdi colline e
boschi ombrosi, un piccolo ruscello che sgorgava dolcemente da una
sorgente nascosta fra le rocce argentate. Quell’acqua limpida aveva
una luce tutta sua: scintillava come diamanti al sole e mormorava
storie antiche nei suoi flussi. Gli abitanti del villaggio, rapiti
dalla purezza di quell’acqua, si radunavano spesso attorno alla
fonte per ammirarla. Ogni volta che tornavano a casa, con i secchi
colmi, sussurravano tra loro: “La vita sembra proprio promanare da
questa fonte. È il cuore pulsante del nostro villaggio.”
Il
verbo promanare, infatti, proprio come il suo antenato latino
‘promanare’ (composto dal prefisso ‘pro-’, avanti, e
‘manare’, “defluire, scorrere fuori”), richiamava immagini
potenti e naturali: sgorgare, fluire, emergere con delicatezza e
spontaneità, proprio come il dolce fluire del ruscello.
Passarono
gli anni, e come accade in tutte le storie, anche in questo piccolo
villaggio qualcosa cambiò. La vita sembrava scorrere più in fretta,
e con il tempo il significato di molte parole cominciò a
confondersi. Fu proprio il vanitoso banditore del villaggio a portare
scompiglio: un giorno, con voce stentorea, annunciò nella piazza
gremita: “Una grande notizia è stata promanata dal castello!” La
folla si guardò attorno smarrita, confusa, ma nessuno osò
contraddire il messaggero. E così, giorno dopo giorno, il verbo
promanare iniziò a essere maltrattato, piegato a significare
“divulgare”, “diffondere” e altre azioni che non gli
appartenevano. Il povero promanare si sentì tradito, un ruscello
strappato dalle sue radici e costretto a scorrere in terreni aridi e
sconosciuti.
Fu allora che intervenne il vecchio maestro
del villaggio, un uomo saggio dai capelli bianchi come la neve, i cui
occhi sembravano riflettere ogni stagione vissuta. Con un cenno della
mano, radunò tutti nella grande piazza, proprio sotto l’antico
albero di querce. “Amici miei carissimi,” iniziò con un tono
pacato ma intriso di forza, “il verbo promanare non è un araldo
che diffonde notizie. È il canto puro di una sorgente che sgorga
dalla profondità più autentica dell’essere. Non è clamore, ma
quiete che scorre.”
Poi, per essere più chiaro,
proseguì con alcuni esempi: “La pace promanava dai loro cuori,
sinceri e colmi di bontà.” (Promanare qui dipinge qualcosa che
nasce spontaneamente dall’anima, come il calore del sole che
illumina senza sforzo); “Dalla grotta promanava un’aria fresca e
carica di mistero.” (Promanare descrive l’emissione naturale,
fluida e incontaminata dell’aria.); “L’antica saggezza
promanava dalle sue parole, serene e profonde.” (Qui il verbo
celebra ciò che si sprigiona naturalmente, come un dono dallo
spirito.)
Infine, con un sorriso bonario e un bagliore
negli occhi, concluse: “Se volete condividere o diffondere notizie,
usate verbi che fanno alla bisogna, come divulgare, trasmettere o
comunicare. Ma ricordate che promanare è il verbo della sorgente,
del fluire spontaneo e sincero. Non dimentichiamo mai ciò che rende
la nostra lingua così ricca e preziosa.”
La lezione del saggio maestro fu come una pioggia primaverile su campi aridi: risvegliò le
menti e i cuori degli abitanti, restituendo, altresì, al verbo
promanare la sua essenza più pura. E così, nel villaggio le parole
continuarono a essere celebrate con la stessa devozione con cui si
venerava la sacra fonte. E da quella fonte, eterna e luminosa,
continuava a sgorgare non solo acqua, ma anche saggezza.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
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