domenica 16 marzo 2025

Promanare, un verbo maltrattato

 


C’era una volta, tanti, tanti anni fa, in un villaggio sperduto fra verdi colline e boschi ombrosi, un piccolo ruscello che sgorgava dolcemente da una sorgente nascosta fra le rocce argentate. Quell’acqua limpida aveva una luce tutta sua: scintillava come diamanti al sole e mormorava storie antiche nei suoi flussi. Gli abitanti del villaggio, rapiti dalla purezza di quell’acqua, si radunavano spesso attorno alla fonte per ammirarla. Ogni volta che tornavano a casa, con i secchi colmi, sussurravano tra loro: “La vita sembra proprio promanare da questa fonte. È il cuore pulsante del nostro villaggio.”

I
l verbo promanare, infatti, proprio come il suo antenato latino ‘promanare’ (composto dal prefisso ‘pro-’, avanti, e ‘manare’, “defluire, scorrere fuori”), richiamava immagini potenti e naturali: sgorgare, fluire, emergere con delicatezza e spontaneità, proprio come il dolce fluire del ruscello.

P
assarono gli anni, e come accade in tutte le storie, anche in questo piccolo villaggio qualcosa cambiò. La vita sembrava scorrere più in fretta, e con il tempo il significato di molte parole cominciò a confondersi. Fu proprio il vanitoso banditore del villaggio a portare scompiglio: un giorno, con voce stentorea, annunciò nella piazza gremita: “Una grande notizia è stata promanata dal castello!” La folla si guardò attorno smarrita, confusa, ma nessuno osò contraddire il messaggero. E così, giorno dopo giorno, il verbo promanare iniziò a essere maltrattato, piegato a significare “divulgare”, “diffondere” e altre azioni che non gli appartenevano. Il povero promanare si sentì tradito, un ruscello strappato dalle sue radici e costretto a scorrere in terreni aridi e sconosciuti.

F
u allora che intervenne il vecchio maestro del villaggio, un uomo saggio dai capelli bianchi come la neve, i cui occhi sembravano riflettere ogni stagione vissuta. Con un cenno della mano, radunò tutti nella grande piazza, proprio sotto l’antico albero di querce. “Amici miei carissimi,” iniziò con un tono pacato ma intriso di forza, “il verbo promanare non è un araldo che diffonde notizie. È il canto puro di una sorgente che sgorga dalla profondità più autentica dell’essere. Non è clamore, ma quiete che scorre.”

P
oi, per essere più chiaro, proseguì con alcuni esempi: “La pace promanava dai loro cuori, sinceri e colmi di bontà.” (Promanare qui dipinge qualcosa che nasce spontaneamente dall’anima, come il calore del sole che illumina senza sforzo); “Dalla grotta promanava un’aria fresca e carica di mistero.” (Promanare descrive l’emissione naturale, fluida e incontaminata dell’aria.); “L’antica saggezza promanava dalle sue parole, serene e profonde.” (Qui il verbo celebra ciò che si sprigiona naturalmente, come un dono dallo spirito.)

I
nfine, con un sorriso bonario e un bagliore negli occhi, concluse: “Se volete condividere o diffondere notizie, usate verbi che fanno alla bisogna, come divulgare, trasmettere o comunicare. Ma ricordate che promanare è il verbo della sorgente, del fluire spontaneo e sincero. Non dimentichiamo mai ciò che rende la nostra lingua così ricca e preziosa.”

L
a lezione del saggio maestro fu come una pioggia primaverile su campi aridi: risvegliò le menti e i cuori degli abitanti, restituendo, altresì, al verbo promanare la sua essenza più pura. E così, nel villaggio le parole continuarono a essere celebrate con la stessa devozione con cui si venerava la sacra fonte. E da quella fonte, eterna e luminosa, continuava a sgorgare non solo acqua, ma anche saggezza.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)



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