La lingua italiana è un universo affascinante ma anche complesso,
dove l'armonioso connubio di norme grammaticali e tradizione dà vita
a parole e locuzioni che arricchiscono il nostro modo di esprimerci.
Tra queste, emerge “malalingua”, che porta con sé una questione
interessante riguardo al suo plurale: si deve dire ‘malelingue’,
come largamente utilizzato e attestato nei vocabolari, oppure
‘malalingue’, seguendo le regole grammaticali?
Secondo
la grammatica della lingua italiana i nomi composti da un aggettivo e
un sostantivo declinano il plurale in accordo con il sostantivo, si
pluralizza, cioè, solo il sostantivo. La parola piattaforma, per
esempio, composta da piatta (aggettivo) e forma (sostantivo), diventa
al plurale ‘piattaforme’. Analogamente, nel caso di malalingua,
formato da mala (aggettivo) e lingua (sostantivo), il plurale
corretto dovrebbe essere ‘malalingue’. Questa regola non solo
riflette una coerenza grammaticale, ma contribuisce anche a mantenere
ordine e precisione nella lingua. Perché due pesi e due misure,
dunque?
Tuttavia, nella pratica quotidiana, l'uso di
‘malelingue’ si è affermato come l’unico corretto. Si tratta
di un fenomeno non raro nella lingua italiana, dove tradizione
e diffusione possono talvolta prevalere sulla logica grammaticale.
Possiamo ipotizzare che questa eccezione sia dovuta a un processo di
cristallizzazione linguistica, in cui una forma popolare viene
accettata a prescindere dalle regole da cui si discosta. Non è
difficile immaginare che la sonorità o l'associazione immediata del
termine con il concetto espresso abbiano giocato un ruolo importante.
Questa discrepanza tra norma e uso
comune suscita una domanda cruciale: fino a che punto l'evoluzione della
lingua dovrebbe rispettare le sue regole? L'italiano, come tutte le
lingue vive, si evolve costantemente, trasformandosi e arricchendosi
di nuovi termini. Un'evoluzione priva di disciplina, tuttavia,
rischierebbe di compromettere la chiarezza e la bellezza strutturale
che rendono la nostra lingua tanto preziosa.
Nel caso
specifico di malalingua forse è il momento di rivedere l'uso comune
e di dare spazio alla forma ‘malalingue’, che non solo è
coerente con le regole grammaticali, ma permette anche un recupero di
precisione e ordine. La grammatica, del resto, non è un ostacolo, ma
una guida che ci consente di comunicare in modo più chiaro ed
elegante.
In conclusione, la scelta tra ‘malalingue’ e
‘malelingue’ non è solo una questione di grammatica, ma anche di
sensibilità linguistica. Preferire la forma corretta non significa
rinnegare la tradizione, ma piuttosto cercare di mantenerla in
armonia con le regole che danno struttura e coerenza al nostro
idioma, gentil sonante e puro, per dirla con Vittorio Alfieri.
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La malalingua è un’ombra che segue, anche quando il sole splende.
Il veleno delle parole brucia ponti che il tempo non può ricostruire.
Chi sputa sentenze si ritrova in un deserto di silenzi.
Le parole cattive sono frecce senza mira, ma colpiscono sempre il cuore.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
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