“Perché” e “poiché” molto spesso vengono adoperati
indifferentemente, ma hanno “ruoli linguistici” ben distinti e
chi ama il bel parlare e il bello scrivere deve tenerne conto.
Vediamo, dunque.
Cominciamo con “perché,” che si
distingue per la sua flessibilità: può essere sia una congiunzione
sia un avverbio interrogativo. In funzione di congiunzione introduce
proposizioni causali o finali, sottolineando un motivo o uno scopo.
Qualche esempio: non sono andato al cinema perché ero troppo stanco.
(Causale: la stanchezza giustifica la decisione); sta risparmiando
perché vuole comprare una nuova automobile. (Finale: lo scopo è
l’acquisto dell’automobile).
Ma è come avverbio
interrogativo che “perché” mette in luce un’altra delle sue
anime; è adoperato, infatti, per porre domande dirette o indirette.
In questo ruolo può essere spesso sostituito da “come mai,”
un’espressione dal tono più colloquiale e spesso più curiosa.
Alcuni esempi: perché sei arrivato in ritardo? / Come mai sei
arrivato in ritardo? (Domanda diretta); non capisco perché abbia
cambiato idea. / Non capisco come mai abbia cambiato idea. (Domanda
indiretta).
L’uso di “come mai”, possiamo dire, dà
un tocco di leggerezza o persino di sorpresa, mentre “perché”
resta più neutro e versatile. Vediamo la sfumatura tra ‘perché’
e ‘come mai’. Una madre potrebbe dire al figlio “perché hai
mangiato tutti i biscotti?”, se è curiosa di sapere il motivo; ma
un tono più affettuoso e scherzoso potrebbe emergere con “come mai
hai divorato tutti i biscotti?”
Passando a “poiché,”
troviamo un termine che eccelle per eleganza e sobrietà, limitato al
ruolo di congiunzione. Si adopera esclusivamente per spiegare una
causa, soprattutto in contesti formali o letterari: poiché non mi
sentivo bene, ho deciso di restare a casa. (Causa del rimanere a
casa); il progetto è stato approvato, poiché tutti lo ritenevano
valido. (Spiega il motivo dell’approvazione).
“Poiché”
si presta, inoltre, in alcune situazioni particolari in cui il tono
del discorso vuole essere raffinato e privo di ambiguità. A
differenza di “perché” non può mai essere ambiguo e non suscita
domande: il suo fine è solo il chiarire e l’argomentare.
In
sintesi, mentre “perché” si adatta a molteplici funzioni e
contesti, “poiché” è una scelta più specifica, ideale per
esprimere causalità in un registro di tono elevato.
***
Filare il discorso fino al capo
Ecco un modo di dire, poco conosciuto, che si tira in ballo quando si vuole sottolineare l’ “arte” di costruire un discorso (o uno scritto) con coerenza e armonia. L’espressione richiama l’immagine del filare la lana o la seta, un processo che richiede pazienza, attenzione e maestria, portando il filo a compimento (al capo) senza mai spezzarlo. Allo stesso modo, quando qualcuno "fila il discorso fino al capo," riesce a condurre una narrazione o un ragionamento senza lasciare niente di sospeso, mantenendo un filo logico dall’inizio alla fine.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
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