Le parole posseggono un potere straordinario: non solo comunicano, ma
evocano immagini, emozioni e, talvolta, un intero universo di
significati. Nel caso di "paventare" e "spaventare",
ci troviamo di fronte a due verbi che, pur appartenendo alla stessa
famiglia etimologica, parlano di storie diverse e
complementari.
L'origine latina di entrambi i verbi ci
svela molto sulle loro sfumature. Il primo, "paventare", è
pari pari il latino ‘paventare’, da ‘pavere’ (temere),
connesso anche al sostantivo ‘pavor’, che significa "timore"
e simili ed evoca un senso di paura intima e ‘anticipata’,
spesso più riflessiva che concreta. "Spaventare", invece,
affonda le sue radici in ‘expaventare’, una forma rafforzata che
combina il prefisso ‘ex-’ (che indica "fuori" o
"intensificazione") con paventare. In questo caso, si
accentua l'idea di un'azione che provoca paura in modo diretto e
immediato, quasi come un "tirare fuori" il timore, la
paura.
Questi percorsi etimologici si riflettono
chiaramente nel loro uso contemporaneo. "Paventare" si
riferisce a scenari che designano preoccupazione o timore, proiettati
nel futuro. È un verbo che ci invita a riflettere su ciò che
potrebbe accadere, spesso alimentando la nostra immaginazione o le
nostre ansie. Immaginiamo, per esempio, un gruppo di amici che sta
organizzando un'escursione. Uno di loro, scrutando il cielo grigio e
minaccioso, dice: "Pavento che domani possa piovere." Qui
non c'è un'azione immediata, ma un dubbio, un timore, una paura che
nasce dalla percezione di un possibile rischio.
"Spaventare",
al contrario, rappresenta l'emozione vissuta nel momento in cui il
timore o la paura si ‘materializza’. È un verbo che descrive la
reazione istintiva, spesso improvvisa, di fronte a qualcosa che
incute timore. Si pensi a un bambino che passeggia tranquillo in un
bosco. D'un tratto, un cervo salta fuori da un cespuglio: "Quel
balzo improvviso lo ha spaventato." Il verbo cattura il senso di
un evento che spezza la calma e provoca una reazione emotiva.
Ma
per apprezzare meglio la forza di questi verbi, lasciamo che la
fantasia prenda il volo. Immaginiamo di leggere un romanzo giallo.
L’investigatore, immerso nell'oscurità di una vecchia casa,
mormora tra sé: "Pavento che questo caso nasconda più segreti
di quanto sembri." Poche righe dopo, un rumore improvviso spezza
il silenzio e lo spaventa, coinvolgendo anche il lettore in
un'esperienza di tensione. Qui vediamo come "paventare"
crei un'atmosfera di attesa e ansia, mentre "spaventare"
scateni una reazione rapida e intensa.
La bellezza di queste verbi, insomma, sta nella loro capacità di modulare le sfumature della paura. "Paventare" ci porta a riflettere, a soppesare il futuro con apprensione; "spaventare" ci travolge con l'immediatezza di un'emozione viscerale. I due verbi, complementari nel lessico e nell'immaginazione, ci ricordano che ogni parola è uno strumento prezioso, capace di arricchire e colorare il nostro modo di esprimerci. Non è, forse, questo il fascino delle parole? Renderci partecipi di un dialogo infinito tra pensieri, storie e sensazioni.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
1 commento:
Ormai, nell'italiano deforme dei nostri giornalisti e cronisti radio-TV, "paventare" ha assunto il significato di prevedere, preconizzare o addirittura sperare. Leggevo ieri in un giornale in edizione digitale: "paventare che in Ucraina si possa raggiungere rapidamente una pace giusta." Il mondo alla rovescia!
Del resto le deformazioni linguistiche stanno diventando una costante. Parlando dell'incendio su un aereo negli USA, occorso una decina di giorni fa, la tele-giornalista aveva affermato testualmente: "Tutti i passeggeri sono stati costretti ad evacuare." E' proprio vero che la paura gioca brutti scherzi ...
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