di Claudio Antonelli (da Montréal)
Diverse parole italiane sono state eliminate e sostituite dal corrispettivo inglese. E tale fenomeno è in triste crescita. Flop, ad esempio, ha rimpiazzato definitivamente fiasco, pressing ha sloggiato pressione, killer ha fatto fuori in un sol colpo l’assassino, l’omicida, il sicario e l’uccisore. La parola inglese è preferita a quella italiana a causa dal nobile foro da cui proviene: l’incomparabile bocca americana. Inutile quindi sperare che il gossip venga un giorno abbandonato per un nostalgico ritorno a pettegolezzo o a dicerie, entrambi definitivamente affossati.
Tra le parole inglesi che hanno una presa straordinaria sugli italiani spicca vintage: termine che non ha un suo vero equivalente in italiano, e che quindi ha assunto nella penisola una connotazione che io definirei magica. Tanto che io mi stupisco che nessuno nella penisola abbia ancora battezzato sua figlia Vintage, per cercare di darle una nascita nobile e garantirle, quando sarà, un matrimonio veramente all'altezza.
Sul lungomare di Ladispoli (Roma), località che conosco bene, esiste persino il "Bar Vintage". Per me, il termine vintage associato a un bar-ristorante ha per effetto di dargli un odore e un sapore di stantio, entrambi sgradevoli. Per gli italiani, invece, poche parole hanno il fascino e direi la freschezza e la fragranza di vintage. Miracoli di una lingua, l’inglese, ch’essi spesso non conoscono ma che succhiano con delizia.
Vintage, in italiano, ha un significato che innalza di molto il significato originario anglo-americano indicante un articolo di seconda mano o anche mai usato, ma creato in epoca anteriore. Per gli italiani, vintage – parola che molti di loro pronunciano con bocca tremante perché sopraffatti dall'emozione – è qualcosa di più, molto di più. Essa evoca nostalgie di irripetibili momenti... Irripetibili ed inesprimibili. Cosicché io non tenterò di fornirvi la connotazione italiana di questo termine aulico, vaporoso, merlettato, perché non ci riuscirei. Mi basterà dire che il conduttore di un programma radiofonico italiano interrogò non ricordo più se un'antropologa o una sociologa sul vero significato di vintage. L'esperta tentò l'impossibile arrabattando una definizione. Ma senza successo. I suoi tentativi di spiegare il termine sfociavano ogni volta in sussurri, mormorii estatici e in gridolini di piacere, perché vintage era parola ch’ella non riusciva a pronunciare senza venir sommersa dalla calda onda amniotica dell'irripetibile "temps perdu". Ecco, per aiutarvi a capire meglio questo magico termine, vi dirò che usando “ella”, pronome personale di terza persona femminile, io ho usato un termine italiano vintage.
In questa nostra Italia un po' sgangherata, ma inguaribilmente ammalata di snobismo, vintage riguarda articoli soprattutto d'abbigliamento e altri prodotti che alla loro epoca furono di massa o quasi; ma che al giorno d'oggi, poiché ne restano pochi a causa della falcidia del tempo e della moda, appaiono assurti quasi a una nuova verginità, anche se sono irrimediabilmente di secondo pelo.
Vintage è in genere associato a outlet, ossia a negozio, negozietto, rivendita, spaccio. Ma guai a usare un termine italiano quando vi si smerciano prodotti vintage, a meno di voler privare gli italiani del raddoppio del piacere che la coppia “vintage outlet” procura loro. Outlet è infatti un altro termine cremoso e piacevole che le bocche degli italiani succhiano con voluttà.
Ma non diciamo agli italiani che per comprare lo straccetto vintage potranno andare in un semplice mercato delle pulci. Offenderemmo il loro snobismo. Anche se il mercato delle pulci può essere linguisticamente nobilitato chiamandolo “flea market”.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
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