lunedì 15 novembre 2021

Sull'uso corretto del verbo "(ri)appropriare"


 Riproponiamo un nostro vecchio intervento sull'uso corretto del 
verbo "(ri)appropriare" perché...  Riappropriamoci la lingua, dunque.

I pochi amatori della lingua strabuzzeranno gli occhi e penseranno che apparteniamo alla schiera di persone che “predicano bene e razzolano male”: riappropriamoci la lingua? No, cortesi amici, abbiamo predicato bene (ci sia consentito un pizzico di immodestia); si deve dire, correttamente, appropriarsi “una” cosa, non “di” una cosa.

L’imbastardimento del nostro soave idioma è da attribuire – in buona parte – agli organi d’informazione che fanno a gara nello scrivere marronate contribuendo, in tal modo, a confondere le idee (linguistiche) a coloro che della lingua non conoscono l’uso corretto. Ma gli “addetti ai lavori” lo conoscono? Si leggono molto spesso sulla stampa articoli di cronaca dai quali si apprende che “i ladri si sono appropriati di cinquanta pezzi di argenteria”; oppure che “i banditi si sono appropriati dell’auto del rapinato”. Bene. Anzi male, malissimo. Il verbo “appropriarsi” è transitivo e tale deve rimanere; deve essere seguito, cioè, dal complemento oggetto. Appropriarsi significa, infatti, “rendere propria” una determinata cosa; si dirà, quindi, che i ladri si sono appropriati cinquanta pezzi, non “di” cinquanta pezzi di argenteria.

Molti credono – probabilmente – che appropriarsi sia un verbo riflessivo come pettinarsi; no, non lo è, o meglio, è usato in senso riflessivo in un solo caso, quando ha il significato di “convenire”, “adattare”: è un vestito che ben si appropria alla tua persona. Riprendiamoci, per tanto, ciò che ci è stato inopinatamente tolto da alcuni “pennaioli” della carta stampata e no: riappropriamoci la lingua! Cominciamo con lo scrivere “crac” (senza “k”) per indicare un fallimento, un crollo finanziario; “ciac” (e non “ciak” o “ciack”) per designare la tavoletta cinematografica; “cric” (non “crik”) per indicare il martinetto. Accentiamo tutti i numeri composti con il tre: ventitré; cinquantatré; ottantatré. Accentiamo il tre anche se la parola che precede non è un numerale: Raitré. Accentiamo i giorni della settimana: lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì. Quando occorre “pluralizziamo” il sabato: Ci vediamo tutti i sabati. Non c’è nessuna norma grammaticale che vieta il plurale. Rispettiamo, o meglio, riappropriamoci la “transitività” di alcuni verbi come “abboccare”, per esempio. Si sente dire e si legge spesso: abboccare all’amo. No, amici cari, questa frase è errata. Poiché il predetto verbo è transitivo si dirà, in forma corretta abboccare  “l’ ” amo. Ci sono anche dei casi inversi, però. Alcuni verbi “nati” intransitivi vengono coniugati in forma transitiva da moltissimi “soloni” della lingua; il caso più eclatante – si lasci passare questo barbarismo – riguarda il verbo “presiedere”. Il suddetto verbo significa – alla lettera – “essere a capo di”; non può essere seguito, quindi, dal complemento oggetto: si presiede “a” un convegno; si presiede “a” una riunione. Insomma, si è a capo “del” convegno; si è a capo “della” riunione.

Riteniamo superfluo ricordare che molti scrittori o presunti tali non si sentono vincolati al rispetto delle norme grammaticali; molti di questi sedicenti scrittori sono ritenuti – non si sa bene da chi – i “padri della lingua”, “surclassando” il “Dante nazionale”. Voi, gentili amici, seguiteli, se volete; sappiate, però, che la legge grammaticale è incontrovertibile: presiedere è solo intransitivo, anche se – come il solito – alcuni vocabolari… Ma tant’è.


(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)

 

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Dottor Raso, ha ragione quando dice che bisogna preservare la nostra lingua senza farci confondere da usi incorretti, o peggio ancora - aggiungo io- da sostituzioni di lessico italiano con altro di estranea provenienza e dubbio significato.

In italiano ci sono parole che spesso è difficile rintracciarne di analoghe in altre lingue. Il verbo abboccare è una di queste.

Quindi, detto in italiano, un pesce abboccherà l'amo. Ma se parliamo di mordere allora un cane morderà l'osso. Masticare invece vuol dire un'altra cosa. Una zanzara non morderà tanto meno abboccherà, ma verosimilmente pungerà.
Addentare è una cosa e ingoiare è un'altra. Morso, boccone, puntura, e altri sostantivi non sono esattamente la stessa cosa. Altre lingue hanno un'unica parola per tutti questi verbi e sostantivi, e chi se ne frega.
Se le parole italiane ci sono, specialmente quando sono più precise, usiamole allora, e usiamole bene.

Grazie ancora, dottor Raso, non solo per le Sue spiegazioni, ma anche per il fatto che Lei si ostina ad usare la lingua italiana.

Renato P.

Fausto Raso ha detto...

Grazie a Lei, cortese Renato, perché mi onora della Sua attenzione.

V.Ppnr ha detto...

Mi suona come errata (o costruita in maniera da sembrare tale) una delle frasi scritte da Renato P.:
"In italiano ci sono parole che spesso è difficile rintracciare di analoghe in altre lingue."
Sarebbe utile, oltre che interessante, valutarne l'analisi logica.
Qual è la sua opinione, dr Raso?

Fausto Raso ha detto...

Sí, effettivamente c'è quel "che polivalente" che fa sembrare il periodo non corretto.

V.Ppnr ha detto...

Avrei comunque preferito "In italiano ci sono parole tali che spesso è difficile rintracciarne di analoghe in altre lingue".
Per di più, rileggendo attentamente la frase scritta da Renato P., rimango dell'idea che sia errata.