Sarebbe interessante conoscere il motivo per il quale il verbo “uscire” muta la “u” in “e” nel corso della coniugazione in alcune persone, tempi e modi. Insomma: perché io “esco” e noi “usciamo”?
Grazie
(Lettera firmata)
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Cortese amico, la questione è un po’ complessa. Le forme in “e” (esco) sono un
retaggio dell’antico verbo “escire” (ancora esistente, veda qui). Con il trascorrere del tempo, inoltre, per influsso di “uscio” e per
una questione - diciamo - di suono, la “e” del tema si è mutata in “u” in
posizione protonica mentre è rimasta in posizione tonica: noi “usciàmo”
(posizione protonica); io “èsco” (posizione tonica). Protonico, in linguistica,
è un aggettivo che indica una lettera (o un gruppo di lettere) che precede la sillaba
o la vocale tonica, la vocale o la sillaba, cioè, sulla quale cade l’accento.
Per farla breve: nel corso della coniugazione, insomma, la vocale tematica (la
vocale che fa parte della radice del verbo) è “e” se su questa cade l’accento
(io èsco); è, invece, “u” se questa non è accentata (voi uscíte).
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Cadere nella pania
Chissà quanti gentili blogghisti hanno sperimentato, senza rendersene conto,
questo modo di dire sulla loro pelle. Come? Cedendo a lusinghe che, in realtà,
nascondevano un tranello. La “pania” è - come recitano i vocabolari - una
“sostanza collosa estratta dalle bacche del vischio che, spalmata su bastoncini
di legno, serve a catturare piccoli uccelli”. In senso figurato, quindi, cade
nella pania la persona che resta vittima di un inganno, di un raggiro, di
un’insidia.
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Trasamare
Tra le parole della nostra lingua che andrebbero “riesumate”
metteremmo il verbo “trasamare”, vale a dire amare immensamente, accesamente.
Se non cadiamo in errore questo verbo è registrato solo dallo Zingarelli e dal
De Mauro. È composto con le voci latine “trans” e “amare”. Si trova, comunque,
in molti libri.
Assassare
È un vero peccato che i vocabolari abbiano relegato nella
soffitta della lingua il verbo assassare,
cioè scagliar sassi contro qualcuno, immortalato, fino a qualche secolo, fa in
molti libri.
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I purosangui (sic!)
Contrariamente a quanto riportano le comuni grammatiche e i comuni vocabolari, l’aggettivo e sostantivo “purosangue” non è tassativamente invariabile. Essendo un nome composto si può pluralizzare secondo la regola della formazione del plurale dei nomi composti. Tale norma stabilisce che i nomi composti di un aggettivo e un sostantivo formano di regola il plurale come se fossero nomi semplici (cambia, quindi, la desinenza del sostantivo): il biancospino, i biancospini; la vanagloria, le vanaglorie; il purosangue, i... purosangui. Coloro che preferiscono dire e scrivere “purosangui”, pertanto, non possono essere tacciati di crassa ignoranza linguistica.
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La lingua "biforcuta" della stampa
Neve sul viterbese e ai Castelli: oltre dieci centimetri di neve, chiuse le scuole in diversi comuni
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Correttamente: Viterbese, con la V 'maiuscolata' trattandosi di un'area geografica.
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scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
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