di Salvatore Claudio Sgroi*
"Viaggio nella Grammatica", referenzialmente sottotitolato "Esplorazioni
e percorsi per i bambini della scuola primaria", di Maria G. Lo Duca,
edito da Carocci, -- va subito detto -- è un accattivante e 'amichevole' volume
fondamentale per gli insegnanti delle scuole elementari (e medie) italiane.
Che poi un testo del genere possa essere
utilizzato dai docenti (diplomati-laureati) nella scuola primaria (e
secondaria), e adattato alla specificità delle proprie classi, considerata la mancanza
nel curriculum, soprattutto per i diplomati, di un corso di Linguistica
Generale e di Linguistica educativa, è un problema su cui preferiamo sorvolare.
Che la grammatica, cioè la teoria del
funzionamento di una lingua, vada insegnata nelle scuole, anche elementari, è la
tesi centrale dell'A. (cap. I "Sulla opportunità di 'fare grammatica'
nella scuola primaria"), ed è da intendere come riflessione sugli usi
della lingua già posseduta da un bambino (sia nativofono che stranierofono o
allofono). La competenza linguistica è il primum su cui innestare elementi
essenziali per una competenza meta-linguistica. Per essere ancora più
espliciti, studiare il libro di grammatica non serve molto (o affatto) per
imparare la lingua nelle diverse abilità (capire e produrre testi parlati e
scritti).
Se lo sviluppo di una competenza meta-linguistica
è essenziale per sviluppare l'intelligenza del bambino, e più in generale le
sue capacità cognitive, è anche vero che occorre tener conto della sua
maturazione cognitiva per proporre concetti astratti quali sono quelli di una
teoria grammaticale.
Per affrontare tale problema in maniera
adeguata (cap. 2 "Quale sillabo grammaticale nella scuola primaria?"),
l'A. muove da un lato dai testi ufficiali, di riferimento per l'insegnante,
quali sono i "Programmi didattici per la scuola primaria" (1985), le
"Indicazioni nazionali per il curriculo per la scuola dell'infanzia e per
il primo ciclo d'istruzione" del 2007 e del 2012, nonché il "Quadro
di riferimento della prova d'italiano" (2013), ovvero prove Invalsi, --
testi tutti criticamente (benevolmente e costruttivamente) utilizzati. Dall'altro
l'A. prende le mosse dalla grammatica tradizionale, nota agli insegnanti, ma
qui criticamente rivisitata soprattutto nella direzione della grammatica
"valenziale" di L. Tesnière (1959), diffusa in Italia da F. Sabatini
(1984, DISC 1997).
Per gli indispensabili approfondimenti
grammaticali l'A. segnala agli insegnanti una nutrita bibliografia, pur
selettiva (pp. 261-73).
La novità centrale di questo volume è costituita
dall'individuazione del sillabo grammaticale (concetti grammaticali con
relativa terminologia e loro sequenziazione) alla portata dei bambini, sulla
base di interviste a numerose classi con la collaborazione di una quindicina di
suoi studenti autori di tesi di laurea ad hoc, puntualmente citati in bibliografia.
Il tutto messo a confronto anche con altre ricerche sul campo di altri autori.
Il testo definisce così il sillabo
grammaticale nel settore della "sintassi" (cap. 3), della morfologia/morfosintassi
(cap. 4, le "categorie lessicali"), della grammatica testuale (cap. 5
"Oltre la frase") e della formazione del lessico (cap. 6 "Dentro
le parole").
Per la esemplificazione c'è qui solo
l'imbarazzo della scelta. Il "soggetto" non è più "colui che fa
l'azione" o "ciò di cui si parla" (p. 143), considerati anche i
facili controesempi (Maria ha l'influenza,
A Marco piace lo sport), ma il primo
argomento che si accorda col predicato verbale (pp. 125, 144).
La tradizionale sfilza di
"complementi" è abbandonata a favore della nozione di
"argomento" se necessario al senso della frase (es. Maria ha dato "il latte" "al
gatto") e "circostante" se eliminabile (es. [domani] andrò in Francia).
Quanto al problema della norma la
posizione sostenuta dall'A. è, direi, laica. A proposito del genere
grammaticale dei nomi di professione (il/la
sindaco, la sindaca, la sindachessa) l'A. dichiara infatti:
"Qui potremmo
far notare ai bambini come, di fronte al mutamento delle abitudini della
società, anche la lingua cambi per adeguarsi ai nuovi bisogni. Alla fine però,
ne possiamo essere certi, prevarrà la forma che i parlanti sceglieranno: i
parlanti, cioè noi tutti, compresi quei parlanti molto particolari e molto
potenti che sono i giornali, la radio, la televisione" (pp. 165-66).
Riguardo alla definizione del
congiuntivo versus l'indicativo (pp.
193-96), l'A. ricorda che la moderna ricerca scientifica "ha
definitivamente mostrato come la sistemazione tradizionale -- che assegna
all'indicativo il compito di veicolare il certo e il reale e al congiuntivo il
compito di codificare l'incerto e il non reale -- non regga [regge] alla prova
dei fatti, cioè dei dati linguistici" (p. 193). Nei casi di oscillazione
dei modi, sottolinea l'A., "la scelta tra il congiuntivo e l'indicativo è
legata a differenze di registro (...)", per es. Credo che tu abbia/hai ragione; Mi
dispiace che Maria sia/è andata all'estero; Se fossi venuto sarebbe stato
meglio / se venivi era meglio). Sull'opportunità poi di proporre nelle
elementari tale riflessione è risultato "decisamente troppo difficile per
essere affrontata con qualche possibilità di successo" (p. 195). I bambini
infatti "non vedono i fatti formali e semantici sui quali si vorrebbe
discutere con loro" (ibid.).
Opportuno è invece "spostare tra la II e III media la riflessione
esplicita" (p. 196). Un'idea del danno cognitivo costituito in certi casi
dalla grammatica tradizionale è fornita dalle spiegazioni di frasi come (1)
"sebbene nevichi vado al lavoro"
e (2) "anche se nevica vado al
lavoro". Per qualcuno la (1) al congiuntivo (modo della irrealtà)
"è sbagliata, perché sta nevicando"! Per altri la stessa frase è
invece "giusta" perché "sebbene
nevichi indica un'incertezza, cioè non si sa se nevica"! (p. 195).
Non meno interessanti le pagine dedicate
alla punteggiatura (pp. 228-38), su cui si impone per l'A. una "attività
riflessiva mirata", trascurata invece da uno "sciagurato modello
didattico" (p. 129).
E ci fermiamo qua.
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