Riproponiamo
un vecchio articolo perché ancora una volta un operatore dell'informazione ha
scritto, su un giornale locale, che il
malvivente è tutt'ora sottoposto a una stressante interrogazione da parte
dell'autorità giudiziaria. Sorvoliamo sul tutt'ora in quanto "anticamente" la grafia con l'apostrofo era
accettata.
La moglie che uccide il marito si
può definire “uxoricida”, posto che il termine, di provenienza latina, alla
lettera significa “uccisore della moglie”? La domanda ci è stata posta da un
nostro carissimo amico dopo aver letto, su un giornale locale, che “subito dopo
aver confessato la brutale uccisione del marito, l’uxoricida è stata condotta
in Questura per le prime interrogazioni di rito”. Il nostro amico ha visto la
pagliuzza e non la trave. E ci spieghiamo. Uxoricida (o ussoricida) non fa una
piega sotto il profilo linguistico; la fa, invece, interrogazioni in luogo di
interrogatorii (qualche pseudolinguista strabuzzerà gli occhi davanti a quelle
due “i”, ma la legge grammaticale stabilisce che i sostantivi in “orio” nella
forma plurale prendono la doppia “i”: dormitorio, dormitorii; oratorio,
oratorii; interrogatorio…. interrogatorii).
Ma andiamo con ordine. Per quanto
riguarda uxoricida – forma perfettissima, ripetiamo – la risposta la danno le
sapienti note del linguista Leo Pestelli. “Ussoricidio, che vuol dire
l’uccisione della moglie, come si può applicare a donna? È un fatto
che la nostra lingua, a tutto, proprio a tutto, non ha pensato. Si dà il caso
che una povera donna ammazzi suo marito e non abbia una voce; né meglio di lei
stanno il padre e la madre che uccidano il figlio adulto: la lingua ha un
istinto morale: aborre da certe idee e fa loro mancare le parole. Ma almeno per
la moglie, che uccide spessino, ci si è dovuti aggiustare, ed ecco quel
latinismo pigliare nell’uso il senso lato di uccisione del consorte, buono
quindi per tutti e due. Del resto come si dice ‘l’amore dello zio’, che può
essere tanto quello che lo zio sente per i nipoti quanto quello che i nipoti
sentono per lo zio, così l’ ‘uccisione della moglie’ può essere presa dal
grammatico in senso sia oggettivo sia soggettivo, lasciandosi ai giornalisti di
appurare da che parte è scappato il morto”.
È lo stesso caso, amico, di
parricida, che alla lettera vale “uccisore del proprio padre” ma, per
estensione, si può adoperare anche per indicare l’ “uccisore di un parente
stretto”. Un padre che uccide il proprio figlio, dunque, si può benissimo
definire un “parricida” senza suscitare alcuno ‘scandalo linguistico’.
E veniamo alla trave non rilevata
dal nostro gentile amico, vale a dire a interrogazione che è cosa diversa da
interrogatorio sebbene tutti e due i termini abbiano la medesima origine
essendo dei “deverbali”, cioè dei sostantivi derivati da un verbo, nella
fattispecie il verbo latino “interrogare”, composto del prefisso “inter-” (
‘fra’ ) e “rogare” (chiedere, ‘chiedere fra due o più persone’, quindi).
Da questo verbo, dicevamo, sono nati
i sostantivi interrogatorio e interrogazione ma con “usi linguistici”
nettamente distinti (anche se alcuni glottologi ritengono i due termini
sinonimi l’uno dell’altro e, quindi, “interscambiabili”). Il primo, dunque, si
adopera nel linguaggio giuridico e, come recitano i vocabolari, indica una
“serie di domande rivolte dal giudice ai testimoni, dalla polizia a persone
sospette di un reato, ecc., e, per estensione, qualsiasi interrogazione fatta
con tono inquisitorio”. Il secondo termine, cioè l’interrogazione, si adopera,
per lo più, nel linguaggio politico e scolastico. Nel primo caso indica una
richiesta di informazioni o chiarimenti sull’attività della pubblica
amministrazione, costituita, generalmente da una semplice domanda rivolta dai
componenti del Parlamento al governo (interrogazione parlamentare); oppure dai
membri dei consigli regionali, provinciali o comunali alla giunta (interrogazione
consiliare). Nel secondo caso si tratta di una serie di domande con cui
l’insegnante – durante il corso dell’anno o agli esami – accerta il grado di
preparazione del discente. In altre parole indica il “colloquio” che si svolge
tra docente e allievo. L’interrogatorio della polizia non si può certo definire
un “colloquio” presupponendo un certo grado di… ‘inquisizione’. Per questo
motivo, cortese amico, dissentiamo totalmente dai linguisti che ritengono i due
vocaboli, oggetto delle nostre modeste noterelle, “interscambiabili”. E il
cronista del giornale locale avrebbe dovuto scrivere, correttamente,
“interrogatorii” e non “interrogazioni”. Ma tant’è. Sarebbe il caso, forse, di
sottoporre il giornalista a una stressante interrogazione sulla conoscenza
corretta della lingua italiana.
Testimoni riferiscono a media di uomini armati di coltello e di spari
(Il titolo "interno" è diverso)
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Sempre sulla lingua biforcuta...Testimoni riferiscono a media di uomini armati di coltello e di spari
(Il titolo "interno" è diverso)
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Uomini armati di spari? Ancora un caso anfibologico da
evitare in buona lingua. Titolo corretto, secondo la lingua di Dante: Testimoni
riferiscono ai media di spari e di uomini armati di coltello.
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La parola proposta da "unaparolaalgiorno.it": bicocca, di origine oscura. La provenienza secondo Ottorino Pianigiani.
1 commento:
Sulla "lingua biforcuta".
Gentile dottor Raso,
ritengo che i due titoli - quello del quotidiano e quello "secondo la lingua di Dante" - abbiano significati diversi.
Cordialmente
Ines Desideri
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