di Salvatore Claudio Sgroi
1. Han Kang (1970--) e il suo credo linguistico
Un caro amico ha voluto mailarmi una intrigante citazione del romanzo L’ora di greco della scrittrice sudcoreana Han Kang (1970--), premio Nobel per la letteratura 2024, tradotto dal coreano da Lia Iovenitti (Adelphi 2023).
Riproduco qui di seguito il brano, leggibilissimo, costituito da 11 periodi, per un totale di 204 parole, con una lunghezza media di 18,5 parole per periodo. Ottimale quindi per Rudolf Flesh.
Quanto alla densità lessicale, secondo Michael Halliday, le 208 parole sono ripartibili in 104 parole lessicali (o “piene”) e 100 parole grammaticali (o “vuote”). Data la presenza di 28 proposizioni, la densità lessicale è superiore a 3, ovvero (104 : 28 =) 3,7 parole, propria della lingua scritta.
"[1] Quando gli esseri umani cessano di comunicare in silenzio, servendosi solo di suoni inarticolati come oooh e uuuh, e formano le prime parole, il linguaggio comincia lentamente a strutturarsi in un sistema. [2] E allorché questo sistema raggiunge il suo apice, è dotato di regole estremamente rigorose e complesse. [3] Ecco perché è così difficile apprendere le lingue antiche. [4] Dal momento esatto in cui una lingua arriva al suo apogeo, la sua evoluzione segue un tracciato più lento e graduale, via via si modifica e diventa più facile da usare. [5] In un certo senso declina, si contamina, ma da un altro punto di vista potremmo considerarlo un progresso. [6] Le odierne lingue europee sono il prodotto di una lunghissima trasformazione che le ha rese meno rigide, meno accurate, meno complesse. [7] Quando leggeremo Platone, potremo assaporare la bellezza di una lingua antica centinaia di anni, all'apice del suo sviluppo. [8] Il greco utilizzato da Platone assomiglia a un frutto maturo sul punto di cadere dal ramo. [9] Nelle generazioni successive, conoscerà una rapida decadenza. [10] Non solo la lingua, anche le città-stato andranno incontro al declino. [11] In questo senso, potremmo dire che Platone aveva di fronte a sé il tramonto non solo della sua lingua, ma di tutto il suo mondo".
2. Concezione linguistica attardata
Il testo è particolarmente rilevante perché esprime varie idee sul linguaggio e sulle lingue, a dir poco attardate, difficili da condividere anche per uno studente universitario di primo anno che abbia seguito un corso di linguistica generale.
2.1. Sviluppo ontogenetico (e filogenetico?)
Il primo e secondo periodo del su citato brano
"[1] “Quando gli esseri umani cessano di comunicare in silenzio, servendosi solo di suoni inarticolati come oooh e uuuh, e formano le prime parole, il linguaggio comincia lentamente a strutturarsi in un sistema”.
[2] “E allorché questo sistema raggiunge il suo apice, è dotato di regole estremamente rigorose e complesse”.
sembrano far riferimento allo sviluppo ontogenetico, ovvero all’acquisizione della lingua materna da parte del bambino. E per converso implicitamente allo sviluppo filogenetico del linguaggio, ovvero all’origine del linguaggio, secondo un’ipotesi tutta da dimostrare.
2.2. Apprendimento di una lingua seconda
Il terzo periodo
[3] “Ecco perché è così difficile apprendere le lingue antiche”
è concettualmente inaccettabile. La difficoltà di apprendimento di una lingua seconda, antica o moderna che sia, non dipende certamente dal (presunto) carattere “rigoroso” e “complesso” delle sue regole, quanto piuttosto dalla distanza/vicinanza strutturale della lingua materna dell’apprendente dalla/alla lingua-2.
2.3. L’ “evoluzione” linguistica
Nel quarto-quinto-sesto periodo la Kang si sofferma sul cambiamento linguistico, considerato sempre finalisticamente e contraddittoriamente ora come “apogeo”, “evoluzione” (i.e. cambiamento in positivo), “più facili”, “progresso” in seguito a una “trasformazione” verso una minore “rigidità”, “accuratezza”, “complessità”, ora come un “declinare”, una “contaminazione”:
[4] Dal momento esatto in cui una lingua arriva al suo apogeo, la sua evoluzione segue un tracciato più lento e graduale, via via si modifica e diventa più facile da usare.
[5] In un certo senso declina, si contamina, ma da un altro punto di vista potremmo considerarlo un progresso.
[6] Le odierne lingue europee sono il prodotto di una lunghissima trasformazione che le ha rese meno rigide, meno accurate, meno complesse.
In realtà, il cambiamento linguistico è legato ai bisogni espressivo-comunicativo-cognitivi della mass parlante di una comunità e non è in sé né buono (progresso) né cattivo (regresso). In base a contatti con lingue di altre comunità linguistiche un idioma può anche arricchirsi di “doni” lessicali e morfologici.
2.4. L’evoluzione del greco classico
I restanti periodi [7-11] del brano riguardano l’evoluzione del greco dell’epoca di Platone:
[7] “Quando leggeremo Platone, potremo assaporare la bellezza di una lingua antica centinaia di anni, all'apice del suo sviluppo”.
[8] “Il greco utilizzato da Platone assomiglia a un frutto maturo sul punto di cadere dal ramo”.
[9] “Nelle generazioni successive, conoscerà una rapida decadenza”.
[10] “Non solo la lingua, anche le città-stato andranno incontro al declino”.
[11] “In questo senso, potremmo dire che Platone aveva di fronte a sé il tramonto non solo della sua lingua, ma di tutto il suo mondo".
Il greco visto nel suo cambiamento, in particolare il greco di Platone è giudicato all’“apice” dell’evoluzione, una “bellezza”. Con metafore poetiche, non pertinenti riferite alla lingua, è paragonato a “un frutto maturo”, destinato ad andare al “tramonto”, alla “decadenza” e al “declino”.
3. Il giudizio di un non-linguista
L’amico di cui sopra ha peraltro precisato:
“A me che non sono un linguista è piaciuta”. Con argomentazioni: “Per quanto riguarda l'evoluzione della lingua in generale e della nostra in particolare ti assicuro che a volte mi sembra proprio decadenza (anche se la lingua non decade, ma si evolve!) o adattamento alla cultura di questa nostra società che, sempre più incolta e più ignorante, utilizza un vocabolario troppo ridotto e striminzito! Se procediamo velocemente di questo passo, tra poco tu non avrai più su cosa lavorare e i tuoi vocabolari diventeranno obsoleti!”.
Andrebbe però ricordato che l’italiano è una lingua vitalissima, parlata da quasi tutti gli italiani e che il “vocabolario troppo ridotto e striminzito” è caso mai un problema di alcuni italiani e non della lingua in sé che mette a disposizione della società un numero grandissimo e potenzialmente infinito di parole e di significati.
Sommario
1. Han Kang (1970--) e il suo credo linguistico
2. Concezione linguistica attardata
2.1. Sviluppo ontogenetico (e filogenetico?)
2.2. Apprendimento di una lingua seconda
2.3. L’“evoluzione” linguistica
2.4. L’evoluzione del greco classico
3. Il giudizio di un non-linguista
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
1 commento:
Sicuro che sia l'ideologia linguistica di Han Kang? Quelle che ha citato sono le parole dell'insegnante di greco.
Se si confronta il testo italiano con quello inglese, si può vedere che nel brano da lei citato sono state tolte le parti che descrivono la scena, e che in inglese i tempi verbali sono diversi.
“Starting in June, we will read Plato,” the Greek lecturer announces,
leaning his upper body against the now-clean blackboard. “Of course, we will
continue to study grammar alongside.” He holds the chalk in his right hand,
and so uses his left to push his glasses further up his nose.
“Once human beings moved from communicating in silence and only
through unsegmented vocal expressions, such as ooh-ooh, to creating the first
few words, language gradually acquired a system. By the time this system
arrived at its zenith, language had extremely elaborate and complex rules.
And that, you see, is precisely the difficulty in learning an ancient language.”
He chalks a parabola on the blackboard. The curve rises from the lefthand side in a steep inclination, before sloping off to the right in a long, gentle
fall. He taps his index finger on the curve’s peak and continues to speak.
“From precisely the moment that it arrives at the zenith, language
describes a slow, gentle arc, undergoing alterations that make it a little more
convenient to use. In some senses this is decline, this is corruption, but in
other aspects it can be called progress. The European languages of today have
passed through that long process, becoming less strict, less elaborate, less
complicated. When reading Plato, one is able to appreciate the beauty of an
ancient language that had arrived at its acme many thousands of years ago.”
He does not immediately resume his train of thought, but is silent. The
middle-aged man behind the pillar covers his mouth with his fist and gives a
short, low cough. When he hems again, this time at length, the young
philosophy student gives him a sidelong glance.
“In a manner of speaking, the Greek that Plato used was like a fully ripe
fruit about to fall to earth. The sun rapidly set on the Middle Greek that was
spoken by the generations that followed him. And, along with their language,
the Greek states too fell into decay. And so Plato represents one who stood
and watched the sun set not only on language but on everything that
surrounded him.”
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