Dal dr Claudio Antonelli (da Montréal) riceviamo e pubblichiamo
Gli italiani, inventori dell’opera lirica, sono ossessionati dal suono. Il “suona bene?”, “suona male?”, test per loro supremo, è spesso una camicia di forza che va a scapito della chiarezza e della ricchezza della lingua: vedi i participi passati di tanti verbi italiani che nessuno osa pronunciare perché giudicati cacofonici. Un esempio: “procombuto, penduto, spanduto, striduto, mesciuto, splenduto, risplenduto, fenduto”. Ha scritto Aldo Gabrielli (“Si dice o non si dice”, Mondadori, 1976): “So già che tutti arricceranno il naso e diranno che sono orribili; ma solo perché non abbiamo mai fatto l’orecchio a queste forme verbali; tuttavia corrette sono, non ci son santi; e fanno male, malissimo i dizionari e le grammatiche a ignorarle, e peggio a dire che non esistono affatto. La verità è, ripeto, che a certi suoni bisogna abituarsi, come ci siamo abituati a suoni non meno brutti come quelli dei participi perduto, creduto, caduto, bevuto, riflettuto, piovuto, giaciuto, combattuto, taciuto, temuto, piaciuto, cresciuto, rincresciuto, e via all’infinito”.
È proprio vero: l'ossessione del "suona bene", “suona male” mette in secondo piano l’esigenza dell’efficacia, della chiarezza, della precisione della lingua italiana. E impoverisce inoltre la ricchezza del linguaggio, immiserendo in particolare la varietà delle forme verbali, ridotte solo a quelle che “suonano bene”.
La pappardella di forme ammesse è lunghissima. A questi termini interscambiabili, oggi si aggiungono certi nuovi tristi reperti come killer, gossip, spot, hub, news, pressing, assist, jackpot e tanti altri, che lungi dall’arricchire la nostra lingua la rendono ridondante e ancora più incerta, perché creano sinonimi inutili e anche cacofonici perché in opposizione all’eufonia della lingua italiana.
Vi è da dire che per i provinciali italiani, grandi esterofili, il termine italiano, una volta che è stato messo da parte dalla parola inglese che lo ha rimpiazzato, sopravvive, sì, ma affievolito, usurato, acciaccato, diminuito, mentre il forestierismo dimostra grande vitalità tanto da divenire insostituibile. Cosa farebbero gli italiani senza il loro killer? Né l’uccisore, né l’omicida, né l’assassino, né il sicario potranno mai sostituirne la micidiale efficacia. Anche il tycoon gode di maggior prestigio del magnate. E ormai sarebbe un’offesa per il Presidente della Repubblica ricevere una misera ovazione, al posto di una “standing ovation” che, si direbbe, oggi non si rifiuta a nessuno data la popolarità dell’espressione inglese. Dopo l’introduzione del reato dello “Stalking” le pagine di cronaca dei giornali pullulavano di notizie sugli Stalking. Da qualche tempo, invece, dalle Alpi alle Sicilia è tutta una “standing ovation”. Intendo dire che questa espressione inglese, da non molto introdotta nel nostro vocabolario, ricorre continuamente nelle cronache della penisola. Non vorrei sbagliarmi, ma credo che noi assistiamo alla conferma del credo di Wilhelm von Humboldt secondo il quale “L’uomo vede le cose sostanzialmente, anzi direi esclusivamente, nel modo in cui la lingua gliene propone”. Ebbene, è ormai l’inglese a proporci la maniera di vedere le cose, e così Mattarella merita ogni volta una “standing ovation” per i suoi tanti meriti e in particolare per la sua “moral suasion”.
Vi è poi il fenomeno del termine che nella lingua originaria, ossia in inglese, può voler dire molte cose, mentre in Italia perde il suo carattere polisemico riducendosi ad avere un unico significato. Trolley, ad esempio, in Italia vuol dire “valigia a rotelle”. La “valigia a rotelle”, in inglese, è invece designata con i termini: “suitcase”, o “suitcase with wheelchairs”, o anche “trolley luggage bag”, “trolley suitcase”, “trolley bag”. In inglese il termine “trolley” senza altre specificazioni indica normalmente il carrello della spesa con ruote che troviamo nei supermercati, o il carrello con rotelle che troviamo negli aeroporti. Ma può anche designare il collegamento a pantografo (carrello) del filobus, ossia le due aste inclinabili che lo collegano alla rete elettrica.
Sull’esempio di “trolley” abbiamo anche “extension”, che in inglese vuol dire estensione, prolunga, derivazione. In italiano il termine “extension” viene usato per designare l’allungamento dei capelli con l’aggiunta di ciocche artificiali o naturali. In inglese, per dire la stessa cosa, occorrerebbe specificare “hair extension”. Da questi ultimi due esempi traspare che gli italiani danno prova di inventiva riguardo alle parole inglesi importate. Un’inventiva che spesso va a scapito del significato originario di tali parole.
Claudio Antonelli
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
Nessun commento:
Posta un commento