domenica 24 novembre 2024

Tra la sineddoche e l'iperbole


C
iao, amico mio – disse Alice, rivolgendosi a Lucio - stavo sfogliando un vecchio libro di retorica e mi sono imbattuta in due termini che mi hanno incuriosita: metonimia e sineddoche. Hai un po’ di tempo per spiegarmeli? 

– Senz’altro, Alice! Sono felice di poterti aiutare. Cominciamo con la metonimia. Questo termine di provenienza greca, "metonymía", composto con “meta-” (oltre) e “onyma” (nome), significa "scambio di nome". È una figura retorica in cui un termine viene sostituito con un altro con il quale ha una stretta relazione di contiguità logica o materiale. Per esempio, quando diciamo "leggere Dante", intendiamo leggere le opere del Divino, non lui stesso. Oppure, "bere un bicchiere" vale a dire bere il contenuto del bicchiere, non il bicchiere, ovviamente. È interessante notare che questo termine è adoperato anche in ambito psichiatrico per designare un disturbo mentale in cui il paziente non è capace di adoperare vocaboli appropriati per definire un oggetto (o una situazione). 
 
- Interessante, veramente interessante! È come un gioco di sostituzione basato su un legame diretto tra i due termini. E per quanto attiene alla sineddoche? 
 
- Esatto, Alice! Anche la sineddoche proviene dal greco "synekdoche", derivato di synekdékhomai, che significa "comprendere (prendere) insieme". È una figura retorica in cui una parte viene adoperata per rappresentare il tutto o viceversa. Per esempio, quando diciamo "chiedere una mano" intendiamo chiedere aiuto a una persona, nominando una parte del corpo per rappresentare l'intera persona. Oppure, "cento vele" per indicare cento navi. 
 
- L
a sineddoche, quindi, si basa su una relazione quantitativa, mentre la metonimia su una contiguità logica o materiale. Sbaglio? 
 
- No. È proprio così. La sineddoche usa una parte per rappresentare il tutto o il tutto per una parte, come in "un tetto" per indicare una casa, o "l'Italia ha vinto la partita" per dire che la squadra italiana ha vinto. La metonimia, invece, sostituisce un termine con un altro che è logicamente o materialmente connesso, come "il Palazzo" per indicare il governo o "il trono" per rappresentare la monarchia. Occorre rilevare, però, che non è sempre facile distinguere le due figure, avendo significati affini. 
 
- Questo è davvero affascinante! Grazie di cuore, Lucio, per aver chiarito questi concetti “astrusi”. Ora mi sento più sicura nel riconoscere e, quindi, nell’usare queste figure retoriche. 
 
- Sono felice di esserti stato di aiuto, Alice! Se hai altre domande o vuoi approfondire altri termini retorici, non esitare a chiedere. Ah, a proposito, hai mai sentito parlare di altre figure retoriche come l'ossimoro o l'iperbole? 
 
- Sì, ho sentito questi termini, ma non sono sicura di conoscerne il significato esatto. Potresti spiegarmi anche questi? 
 

- Certo! L'ossimoro è una figura retorica che racchiude in sé due termini o concetti opposti al fine di creare un effetto paradossale come, per esempio, "silenzio assordante", "lucida follìa". L'iperbole, invece, è un'esagerazione, intenzionale, per enfatizzare un concetto o una situazione, come "ho aspettato un'eternità" o "questa borsa è veramente pesante: più di una tonnellata". Anche questi termini hanno "sangue ellenico" che scorre nelle loro vene.

 
- Grazie, grazie Lucio! Ora ho le idee molto più chiare su queste figure retoriche. È sempre interessante imparare cose nuove. 
 
- Il piacere è tutto mio, Alice cara. Imparare insieme rende tutto più semplice e più interessante. Alla prossima lezione di retorica! 

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