Avreste mai immaginato, gentili amici, che il termine “ingenuo” – il cui significato è a tutti noto – in origine indicava il neonato “preso dal padre sulle sue ginocchia”? Come si è arrivati all’accezione di “persona poco accorta”, “persona priva di malizia”? Vediamo assieme i vari passaggi risalendo, come sempre, alla lingua dei nostri padri: il latino. Ingenuo, dunque, è il latino “ingenuu(m)”, derivato di “genu” (ginocchio) e aveva il significato suddetto, valendo “riconosciuto autentico” (dal padre che lo aveva preso sulle sue ginocchia). Con il trascorrere del tempo il vocabolo fu inteso come formato da “in” e “genus” (casato, stirpe) mantenendo press’a poco il significato originario: “nato da stirpe interna” (non da schiavi o barbari) e, per tanto, “libero”, “nobile”. Passato in italiano, il termine, attraverso il significato di “schietto”, “genuino”, “libero nel parlare” ha acquisito l’accezione di “eccessivamente spontaneo” e, quindi, “poco accorto”, “senza malizia”. Ma le sorprese non sono finite. Prima che la parola approdasse in Italia (si fa per dire) anche in latino “ingenuus” era adoperato, talvolta, come sinonimo di “limitato”, “delicato”, “sprovveduto”, “debole” (di carattere).
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Una pagella piena di
quattri
Qualche sedicente linguista strabuzzerà gli occhi nel leggere che gli aggettivi
numerali cardinali “due”, “tre”, “quattro”, “cinque”, “sette” e
“otto” se considerati sostantivi possono, in via familiare e scherzosa, avere
una forma particolare plurale: dui, trei, quattri, cinqui, setti e otti.
Un genitore che abbia voglia di scherzare sulla bocciatura del figlio potrà
dire che quest’ultimo ha riportato una pagella piena di “quattri” e
di “trei” e nessuno, naturalmente, potrà tacciarlo di ignoranza
linguistico-grammaticale. Sono di una ignoranza crassa, invece, coloro – e non sono
pochi, anche tra le cosí dette grandi firme del giornalismo – che non accentano
la “e” nei numeri composti di “tre”: ventitré, ottantatré,
cinquantatré e via dicendo.
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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: apirología. Sostantivo femminile di provenienza classica: parlare incessantemente, a ruota libera, in modo prolisso, enfatico e inconcludente. Alla lettera, "discorso senza limiti". È composto con le voci greche "alfa privativo", "peras" (limite) e "logos" (discorso). Chi ha l'abitudine di fare discorsi prolissi e inconcludenti si può chiamare, dunque, apirologo.
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La lingua "biforcuta" della stampa
La curiosità
A Dubai inaugurato
l’edificio più bello del mondo
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Quanto è bello il mondo?
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MODA E BEAUTY
Accordo
prematrimoniale: cos'è e a cosa serve. La parola a due avvocatesse
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Non ci arrendiamo: avvocate!
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico,
quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
2 commenti:
Attenzione però: si stanno già progettando edifici da costruire su Marte. Quando ce ne saranno alcuni, potremo dire "l'edificio più bello di Marte". Non ponendo Marte come secondo termine di paragone, ma volendo affermare che si tratta de "l'edificio più bello tra quelli di [o esistenti su] Marte". Se con "mondo" intendiamo "Terra", può forse valere la stessa considerazione?
P.P. Falcone
@falcone42
Non penso che sia necessario attendere che costruiscano edifici su Marte per considerare accettabile una forma come "l'edificio più bello/più grande del mondo".
Preciso che ho compreso il suo esempio e aggiungo che le osservazioni di Raso riguardo a "più bello/più grande del mondo" a me sembrano superflue.
Vittorio Pepe
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