venerdì 25 febbraio 2022

L'ingenuo e l' 'apirologo'

 


Avreste mai immaginato, gentili amici, che il termine “ingenuo” – il cui significato è a tutti noto – in origine indicava il neonato “preso dal padre sulle sue ginocchia”? Come si è arrivati all’accezione di  “persona poco accorta”, “persona priva di malizia”? Vediamo assieme i vari passaggi risalendo, come sempre, alla lingua dei nostri padri: il latino. Ingenuo, dunque, è il latino “ingenuu(m)”, derivato di “genu” (ginocchio) e aveva il significato suddetto, valendo “riconosciuto autentico” (dal padre che lo aveva preso sulle sue ginocchia). Con il trascorrere del tempo il vocabolo fu inteso come formato da “in” e “genus” (casato, stirpe) mantenendo press’a poco il significato originario: “nato da stirpe interna” (non da schiavi o barbari) e, per tanto, “libero”, “nobile”. Passato in italiano, il termine, attraverso il significato di “schietto”, “genuino”, “libero nel parlare” ha acquisito l’accezione di “eccessivamente spontaneo” e, quindi, “poco accorto”, “senza malizia”. Ma le sorprese non sono finite. Prima che la parola approdasse in Italia (si fa per dire) anche in latino “ingenuus” era adoperato, talvolta, come sinonimo di “limitato”, “delicato”, “sprovveduto”, “debole” (di carattere). 

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Una pagella piena di quattri


Qualche sedicente linguista strabuzzerà gli occhi nel leggere che gli aggettivi numerali cardinali  “due”, “tre”, “quattro”, “cinque”, “sette” e “otto” se considerati sostantivi possono, in via familiare e scherzosa, avere una forma particolare plurale: dui, trei, quattri, cinqui, setti e otti. Un genitore che abbia voglia di scherzare sulla bocciatura del figlio potrà dire che quest’ultimo ha riportato una pagella piena di  “quattri” e di “trei” e nessuno, naturalmente, potrà tacciarlo di ignoranza linguistico-grammaticale. Sono di una ignoranza crassa, invece, coloro – e non sono pochi, anche tra le cosí dette grandi firme del giornalismo – che non accentano la  “e” nei numeri composti di “tre”: ventitré, ottantatré, cinquantatré e via dicendo.

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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: apirología. Sostantivo femminile di provenienza classica: parlare incessantemente, a ruota libera, in modo prolisso, enfatico e inconcludente. Alla lettera, "discorso senza limiti". È composto con le voci greche "alfa privativo", "peras" (limite) e "logos" (discorso). Chi ha l'abitudine di fare discorsi prolissi e inconcludenti si può  chiamare, dunque, apirologo.

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(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)

2 commenti:

falcone42 ha detto...

Attenzione però: si stanno già progettando edifici da costruire su Marte. Quando ce ne saranno alcuni, potremo dire "l'edificio più bello di Marte". Non ponendo Marte come secondo termine di paragone, ma volendo affermare che si tratta de "l'edificio più bello tra quelli di [o esistenti su] Marte". Se con "mondo" intendiamo "Terra", può forse valere la stessa considerazione?
P.P. Falcone

V.Ppnr ha detto...

@falcone42
Non penso che sia necessario attendere che costruiscano edifici su Marte per considerare accettabile una forma come "l'edificio più bello/più grande del mondo".
Preciso che ho compreso il suo esempio e aggiungo che le osservazioni di Raso riguardo a "più bello/più grande del mondo" a me sembrano superflue.
Vittorio Pepe