di Salvatore Claudio Sgroi
1. L'evento
mediatico di Rai-3 della domenica
L'appuntamento
domenicale delle 10h20 su Rai-3 con la trasmissione "Le parole per
dirlo" rivolto a un pubblico 'laico', cioè non specialista, è, va riconosciuto,
stimolante per gli stessi linguisti, che sono invitati a riflettere sulla
miriade di osservazioni, scontate e meno scontate, sulla lingua e sul
linguaggio non solo dei due esperti storici della lingua Giuseppe Patota e
Valeria Della Valle, ma anche della brava conduttrice Noemi Gherrero, nonché
dell'ospite settimanale, degli studenti invitati, e di vari soggetti di volta
in volta coinvolti (bambini e adulti), contemporanei o di epoche precedenti.
Un
tema rilevante della trasmissione di domenica 30 gennaio ha riguardato il
problema, centrale in grammatica, delle Regole.
Opportunamente
il buon Patota ha distinto due tipi di regole, le Regole alla base del
funzionamento della lingua, che ha definito "Regole descrittive",
proprie della "Grammatica descrittiva", e le Regole in quanto "precetti", o indicazioni
fornite dai grammatici per l'uso corretto, ovvero "Regole
prescrittive", proprie della "Grammatica prescrittiva". Una buona
grammatica dovrebbe quindi presentare a suo giudizio un carattere
"eclettico" tra descrittivismo e prescrittivismo.
2.1. L'Errore: un uso "colpevole", ma in quali casi?
Nella stessa
trasmissione è anche emersa la nozione di "Errore" variamente
esemplificata. Così a proposito del tormentone <qual(')è> con o senza apostrofo, dinanzi a opposte risposte di
utenti occasionalmente intervistati, i due grammatici hanno sancito
apoditticamente la correttezza del solo <qual
è> senz'apostrofo, ma senza esplicitare alcun criterio per giustificare
il loro giudizio "proscrittivo" di <qual'è> e "prescrittivo" di <qual è>. Su cui qui non mi pronuncerò per l'ennesima volta,
rimandando il lettore ai vari interventi apparsi in questo blog, variamente
ripresi nel mio Gli Errori ovvero le
Verità nascoste (Centro di studi filologici e linguistici siciliani 2019,
pp. 39-51 e L'uso del qual(’)è nella grafia di Leonardo Sciascia (in Accademia
della Crusca, «Italiano
digitale» - XVIII, 2021/3 luglio-settembre, pp. 124-27).
Anche
il me lo ha imparato 'me lo ha
insegnato', ricordato da V. Della Valle come esempio (fortunatamente) ora meno
diffuso, che il De Mauro registra come accezione "3. RE[gionale]
centromerid., insegnare", è stato proscritto, con l'argomentazione
etimologica per cui imparare con
l'accezione standard di "acquisire e ritenere nella memoria" deriva
dal "lat. *impărāre, comp. di in- con valore
raff. e parāre "procurare'" rispetto a insegnare 'fare imparare' derivante dal "lat. tardo
insĭgnāre propr. "imprimere un
segno". Un'argomentazione, per me invece valida alla base del giudizio
negativo è il suo uso tipico dell'italiano popolare (cfr. il citato Gli Errori... pp. 252-54). Il Devoto-Oli-Serianni-Trifone
(2021) registra da parte sua tale accezione come "pop." e con un es.
"lett." di G. Carducci.
L'espressione
stiamo litigati 'abbiamo litigato' è
stata invece bollata come errata perché dovuta a un'interferenza dialettale col
napoletano.
V.
Della Valle ha raccomandato ancora di non incorrere nell'"errore" di
confondere il pedagogo 'educatore'
col pedagogista 'esperto di
pedagogia' (1861), qual'è per l'occasione l'ospite Daniele Novara. Il tutto in
sintonia per es. con lo Zingarelli 2021. Ma il Devoto-Oli-Serianni-Trifone 2021
segnala anche un significato "2. Non
com. Pedagogista", non diversamente dal Sabatini-Coletti 2007 "Non com. pedagogista", e analogamente
il De Mauro (2000) con il significato "4. B[asso]U[so] pedagogista". In
questo caso il criterio implicito adottato dalla Della Valle sembrerebbe quello
della "maggioranza degli utenti", con il sacrificio della minoranza.
Un criterio sbandierato peraltro in una precedente puntata (23 gennaio) da G. Patota:
"vince la maggioranza degli usi".
Quanto
alla pronuncia (trisillabica) Ucràina
o (quadrisillabica) Ucraìna, Patota,
pur riconoscendo la correttezza delle due varianti, ha consigliato la prima in
quanto doppiamente etimologica (in russo e in ucraino) come assicuratogli da
una collega docente di russo.
Il
De Mauro che indica la doppia pronuncia, nell'ordine: "u·cra·ì·no, u·crài·no", indica
invece l'etimo "dal russo ukrájnej, der. di Ukrájna propr.
"regione di confine", it. Ucraina, nome di uno stato dell'Europa
orientale, dalla loc. u kráj "al margine", mentre L. Canepari nel
suo DiPI (Zanichelli) qualifica "per
fare sfoggio" la pronuncia quadrisillabica.
Il
clou della puntata riguarda l'analisi
del titolo giornalistico: [1] I contagi
che salgono e la variante fantasma, come alzare le difese di Michele Bocci
(Repubblica.it. 30 gennaio 2022). Il titolo, riportato su tre righe, è stato
invero decurtato della virgola:
[2] I contagi che salgono
e la variante
fantasma
come alzare le
difese.
Alla
domanda della presentatrice se andrebbe forse scritto con la lettera maiuscola
in Come, la risposta di Della Valle è
stata che va bene così perché si tratta di un titolo giornalistico che fa
effetto.
L'analisi
è stata invece giudicata "lassista" dal collega Patota, per il quale
la frase avrebbe dovuto essere scritta con un punto fermo e quindi con la
maiuscola:
[3] I contagi che salgono e la variante
fantasma. Come alzare le difese.
Qualcuno
potrebbe invero proporre anche una variante con due punti, al posto della
virgola o del punto fermo:
[4] I contagi che salgono e la variante
fantasma: come alzare le difese, ovvero una ulteriore variante, con
addendum del punto interrogativo:
[5] I contagi che salgono e la variante
fantasma: come alzare le difese?
La
correzione avanzata dubitativamente dalla presentatrice e sostenuta senza
tentennamenti da Patota non è invero molto giustificata, in quanto presuppone
erroneo un uso diverso dal proprio, anziché cercare di capire le ragioni
dell'altro.
In
realtà, il titolo (manipolato) senza punto, quello originale con la virgola e
quello corretto (normativamente per alcuni) col punto o con i due punti (al
posto della virgola) e con ulteriore addendum del punto interrogativo, obbediscono
a Regole diverse, che spiegano la loro diversità strutturale e di significati.
Direi
che il titolo [2] manipolato senza punto, privo com'è di punteggiatura, è
semanticamente poco chiaro, e quindi errato.
Invece
il titolo [3] modificato col punto fermo, in un'ottica per alcuni normativa,
pone il lettore dinanzi a due periodi giustapposti (mediante il punto fermo):
a)
Periodo-1: frase nominale (priva cioè del predicato verbale, pragmaticamente sottinteso):
[3.a] I contagi che salgono e la variante
fantasma; la frase nominale essendo a sua volta formata da due Sintagmi
nominali coordinati, di cui uno con relativa restrittiva: [3.a.i.] I contagi che salgono e [3.a.ii] la variante fantasma; e
b)
Periodo-2: frase verbale, non indipendente, ovvero argomentale, interrogativa indiretta,
[3.b] Come alzare le difese, anche in
questo caso con il predicato verbale della reggente pragmaticamente sottinteso.
Il
predicato verbale sottinteso in [3-a] e [3.b] da inferire pragmaticamente in
entrambi le frasi può essere: "[Si informa su] I contagi che salgano e la variante fantasma. [Si informa altresì
su] Come alzare le difese".
Il
titolo originale [1] I contagi che
salgono e la variante fantasma, come alzare le difese forma invece un solo
periodo (o frase complessa) con due frasi
coordinate (asindeticamente, mediante virgola):
[1.a
Frase nominale] I contagi che salgono e
la variante fantasma, [1.b Frase verbale dipendente argomentale, interr.
indiretta] come alzare le difese.
Come
nel caso precedente, nelle due frasi è da inferire un comune predicato verbale
sottinteso pragmaticamente in entrambe le frasi:
"[Si
informa su] I contagi che salgono e la
variante fantasma, [si informa altresì su] come alzare le difese".
La
presenza della virgola fa di questo titolo, come detto, un solo periodo formato
da due frasi, con una continuità semantica e fluidità ben maggiore rispetto al
precedente caso [3], che giustifica quindi il giudizio di particolare
"effetto" colto da V. Della Valle, qualcuno direbbe "un flusso
di pensieri ininterrotto", "proscritto", ovvero bandito invece
da G. Patota.
Il
titolo [4] modificato con i due punti, in un'ottica per alcuni normativa, pone
il lettore dinanzi a un periodo strutturalmente identico al precedente, tranne
per i due punti che introducono focalizzandola la interrogativa indiretta con
ellissi pragmatica della reggente:
[4] I contagi che salgono e la variante
fantasma: come alzare le difese.
Il
titolo [5] infine modificato con i due punti e il punto interrogativo finale,
in un'ottica decisamente normativa, pone il lettore dinanzi a un periodo
strutturalmente diverso dal precedente, perché il punto interrogativo trasforma
la interrogativa indiretta del titolo precedente in interrogativa diretta,
azzerandone l'ellissi pragmatica della reggente:
[5] I contagi che salgono e la variante
fantasma: come alzare le difese?
con
il risultato di avere un solo Periodo "normale" costituito da una
frase nominale [5.a] I contagi che
salgono e la variante fantasma: seguita dalla principale interrogativa
diretta [5.b] come alzare le difese? tutta
in primo piano.
Alla
luce di quanto sopra possiamo allora distinguere le "Regole inconsce"
dei parlanti, interiorizzate dall'interazione con gli altri, grazie a cui
possono intendersi, peraltro mai in maniera perfetta e compiuta, attraverso una
continua "negoziazione".
Con
Giacomo Devoto (1935), riteniamo infatti che
Come
ogni azione educativa, essa deve essere inconscia: quando mai s’è visto del
resto persona educata che applichi canoni logicamente ordinati? L’educazione
consiste nel fare spontaneamente, istintivamente, quello che corrisponde a
certe regole astratte e nel fare alle regole le eccezioni opportune. Consiste
nell’associare a emozioni più o meno vive degli atti misurati e insieme
spontanei ".
Potremmo
ancora identificare le Regole inconsce con le "Regole costitutive"
della lingua di J. Searle, senza le quali una lingua non potrebbe esistere come
strumento di comunicazione-espressione-cognizione dell'uomo.
I
linguisti da parte loro cercano di rendere esplicite tali Regole sulla scorta
di modelli teorici, variamente sofisticati, tradizionali o moderni che siano,
proponendo "Regole e Grammatiche descrittive" e a un tempo
"normative", indicanti cioè gli usi dei parlanti colti ma anche di
quelli meno colti o incolti, segnalando quindi sulla base di criteri espliciti
gli usi normativamente corretti e quelli errati.
Meno giustificate sono invece le Regole e grammatiche "proscrittive", che vietano cioè certi usi, condannandoli spesso apoditticamente senza esplicitare i criteri, e le Regole e grammatiche "prescrittive" di imposizione di certi usi, come se il grammatico fosse un medico che prescrive certe medicine per parlanti giudicati "ammalati".
Sommario
1. L'evento
mediatico di Rai-3 della domenica
2. Le Regole
descrittive e prescrittive e la grammatica "eclettica"
2.1. L'Errore:
un uso "colpevole", ma in quali casi?
3. Analisi
sintattica
3.1. Titolo con
variazioni non innocue
3.1.1. Titolo
manipolato
3.1.2. Titolo
modificato con punto fermo
3.1.3. Titolo
originale
3.1.4. Titolo
modificato con i due punti
3.1.5. Titolo
modificato con i due punti e punto interrogativo finale
4. Regole
inconsce
5. Regole
costitutive, regole descrittive, normative, proscrittive e prescrittive
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico,
quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
2 commenti:
Azzeccato, nonché divertente, l'accostamento tra i linguisti puristi come Patota e Della Valle , e i medici mancati. Tutti noi siamo "mancati" qualcosa, però questo non ci autorizza a rompere le scatole agli altri come fanno i due professoroni in questione.
Credo che il loro intervento sul qual'è apostrofato (che loro condannano senza spiegarne i motivi, furbescamente perché non ce ne sono di motivi veri) rappresenti un punto abbastanza basso della loro carriera di linguisti: qual'è è corretto comunque la si guardi.
Si può infatti facilmente argomentare che sia più corretto della versione apocopata.
Da un punto di vista normativo, come sappiamo oramai, non esiste nessuna autorità addetta a dettare le norme ortografiche e grammaticali italiane, ma solo convenzioni su cui i grammatici grossomodo (e sottolineo il grossomodo) si trovano d'accordo. Quindi non c'è la base per dire che una grafia sia sbagliata se un madrelingua la adotta, tanto più se lo fa a ragion veduta e difendendo la scelta.
Da un punto di vista descrittivista, "qual'è" , oltre alle note attestazioni letterarie, è usato oggi da una percentuale significativa di scriventi anche colti, come ha riconosciuto in trasmissione la stessa Della Valle. Quindi è italiano.
Da un punto di vista strutturale (sincronico), se "quale è" è corretto, ne segue la correttezza di "qual'è". L'elisione è regola generale dell'italiano e nessun grammatico, che io sappia, ha provato a sostenere che esista un'eccezione alla regola dell'elisione che valga in un caso specifico.
Da un punto di vista della pronuncia, sia "qual" che "è" sono portatori di accento tonico. Ne segue che "qual'è" più fedelmente riproduce la pronuncia italiana.
Tra l'altro, l'italiano è pieno di espressioni scritte in due o più modi. Per cui non occorre neanche dichiarare errato "qual è" per ammettere la correttezza di qual'è.
Potrei scrivere alla Rai per lamentarmi dell'assenza di contraddittorio.
Azzeccato, nonché divertente, l'accostamento tra i linguisti puristi come Patota e Della Valle , e i medici mancati. Tutti noi siamo "mancati" qualcosa, però questo non ci autorizza a dare fastidio agli altri come fanno i due professoroni in questione spacciando fantagrammatica sulla TV pubblica.
Credo che il loro intervento sul qual'è apostrofato (che loro condannano senza spiegarne i motivi, furbescamente perché non ce ne sono di motivi veri) rappresenti un punto abbastanza basso della loro carriera di linguisti: qual'è è corretto comunque la si guardi.
Si può infatti facilmente argomentare che sia più corretto della versione apocopata.
Da un punto di vista normativo, come sappiamo oramai, non esiste nessuna autorità addetta a dettare le norme ortografiche e grammaticali italiane, ma solo convenzioni su cui i grammatici grossomodo (e sottolineo il grossomodo) si trovano d'accordo. Quindi non c'è la base per dire che una grafia sia sbagliata se un madrelingua la adotta, tanto più se lo fa a ragion veduta e difendendo la scelta.
Da un punto di vista descrittivista, "qual'è" , oltre alle note attestazioni letterarie, è usato oggi da una percentuale significativa di scriventi anche colti, come ha riconosciuto in trasmissione la stessa Della Valle. Quindi è italiano.
Da un punto di vista strutturale (sincronico), se "quale è" è corretto, ne segue la correttezza di "qual'è". L'elisione è regola generale dell'italiano e nessun grammatico, che io sappia, ha provato a sostenere che esista un'eccezione alla regola dell'elisione che valga in un caso specifico.
Da un punto di vista della pronuncia, sia "qual" che "è" sono portatori di accento tonico. Ne segue che "qual'è" più fedelmente riproduce la pronuncia italiana.
Tra l'altro, l'italiano è pieno di espressioni scritte in due o più modi. Per cui non occorre neanche dichiarare errato "qual è" per ammettere la correttezza di qual'è.
Potrei scrivere alla Rai per lamentarmi dell'assenza di contraddittorio.
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