sabato 6 luglio 2019

Sgroi - 25 - Sessismo linguistico e libertà del(la) parlante

di Salvatore Claudio Sgroi *

 1. L'evento
 Un caro, giovane, collega ed amico, riconoscendo da un lato l'equivocità della teoria sessista sul versante strettamente grammaticale da me sostenuta (cfr. per es. qui Per smentire la teoria della lingua sessista, 17.I 2017; -- Ancora sul sessismo linguistico, 20.I.2017; -- La Crusca neo-sessista "con juicio", 25.VII.2017; -- Gli usi dei parlanti e la pseudo-teoria del 'sessismo' linguistico, 23.VI.2019) ha osservato che "stupisce piuttosto [...] come venga [da parte mia] liquidata la questione del genere femminile dei nomi di professione". Ovvero che "tuttavia Sgroi sembra ignorare il principio del diritto di scelta di una categoria di parlanti, in questo caso le donne: vale a dire il diritto di scegliere come voler essere chiamate".

2. Laicità e prescrittivismo
         Ora la mia concezione 'laica' (id est non-purista, né 'sovranista') del linguaggio non può condividere o giustificare l'atteggiamento prescrittivista di chi impone per es. la ministra (o la rettrice), nel caso di una donna ministro o rettore, perché chiamare una donna ministro o rettore sarebbe avallare un uso sessista della lingua.

 3. Laicità e libertà di espressione
         Il nostro critico non ha invero tenuto presente quanto da me scritto nel 2018 in "Il genere grammaticale e la teoria sessista della lingua", nella Festschrift del collega Rosario Coluccia, rist. nel mio vol. (As)saggi di gramm. 'laica' 2018. Di cui riprendo solo le conclusioni:

"Condividiamo quindi la posizione del Parlamento europeo (2008) che laicamente, come ricorda Marazzini (2016), “lasciava libertà alle persone che rivestivano ruoli istituzionali, se donne, di scegliere il titolo maschile o femminile” (p. 119).

 4. Un portiere o una portiera?
         Nel "7" del "Corriere della Sera" di venerdì 5 luglio Giuseppe Antonelli, titolare dell'agile (e tradizionale, anziché no) rubrica "Lezioni di italiano" si è chiesto:

"La calciatrice che gioca in porta è un portiere o una portiera?" (p. 107).

Nella domanda è implicita invero una posizione neo-puristica del grammatico che critica sottilmente il maschile "un portiere" che sarebbe da scartare a favore di "una portiera".

A proposito della partita Italia-Cina dei mondiali di Calcio, Antonelli ricorda infatti che, come sottolineato dalla telecronista, il n. 1 della Nazionale Laura Giuliano "ci tiene a essere chiamata portiere", al maschile cioè e non "portiera".

La giustificazione della telecronista è duplice: (i) "a prescindere da uomo o donna è il ruolo che conta; inutile stravolgere il linguaggio"; (ii) termini del genere "se fossero declinati al femminile sarebbero cacofonici".

Antonelli replica che la cacofonicità di portiera, o di voci come arbitra e capitana dipende dal fatto che "non ci siamo abituati". Si può anche condividere con Antonelli, ma rimane il fatto della legittimità dell'uso "portiere" riferito a una donna, perché questa è la scelta della protagonista, condivisa dalla telecronista con una duplice argomentazione.

 4.1. Malizia grammaticale
          La stessa telecronista -- sottolinea con sottile malizia grammaticale Antonelli -- aveva utilizzato il maschile riferito a donne in frasi come "Si è rialzata <,> il nostro portiere". Dove si noterà l'apparente soggetto di genere maschile concordato col part. pass. al femm. (anziché al maschile). Quasi una frase sgrammaticata. In realtà, la frase è ellittica. Dal contesto (qui omesso) il soggetto di "Si è rialzata" è la donna che giocava, certamente prima menzionata, un soggetto quindi "anaforico", mentre il portiere non è che l'apposizione del soggetto femm. sottinteso, di cui si sottolinea il ruolo.
 
5. La portiera (inesistente) nella lessicografia
         A voler poi documentare la fortuna lessicografica della portiera s.f. sport., si potrà constatare che nessun dizionario lemmatizza portiera s.f. 'donna-portiere'. Il femm. portier-a è presente, peraltro non sempre, come forma flessa o derivata del lemma portiere s.m.: "f. -a".

Il De Mauro (2000) sub portiera s.f. rinvia a portiere s.m. polisemico, ma sotto portiere l'accezione sport. è solo s.m.

Il Sabatini-Coletti (2007) riporta portiere s.m. unigenere, promiscuo, ambisesso, esplicitando: "2. sport. (anche con riferimento a donna)", implicitamente negando il femm. derivato: portier-a (il lemma portiera è sì registrato ma come s.f. non-animato polisemico).

Invece il Treccani-Simone 2005-2009 registra ben due omonimi portiera s.f. 1) 'sportello', e portiera s.f. 2) 'portinaia' e 'moglie del portinaio'. Ma nessun lemma 3) sportivo. E sotto portiere s.m. sport. è ignorata l'esistenza del derivato "f. -a" 'donna-portiere'.

Garzanti-Patota 2013 lemmatizza un solo portiere n.m. polisemico, con il femm. "f. -a".

Devoto-Oli-Serianni-Trifone 2018 registra portiera s.f. non-animato e portiere s.m. (f. -a).

Zingarelli 2018 infine lemmatizza portiera s.f. polisemico anche 3. 'portinaia' ma non 'donna-portiere'; e portiere s.m. (f. -a).

 6. Conclusione
          Che sia il parlante in generale, e le donne nel caso specifico, a decidere se usare il titolo professionale al maschile o al femminile. I grammatici si limitino ad osservare i loro comportamenti e ad esplicitare le regole, consce o inconsce alla base delle loro scelte, tutte legittime e corrette, anche perché di parlanti colti o mediamente colti.

* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania







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