Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:
marta scrive:
L’insegnante di mio figlio ha considerato errore l’aver definito nella seguente frase “Caterina ci sgridava” la particella pronominale “ci” come complemento oggetto e, conseguentemente, nell’analisi grammaticale della stessa frase, il verbo “sgridava” come transitivo.
Ha corretto attribuendo a “ci” il valore di complemento di termine ed a “sgridava” funzione intransitiva.
Io non sono d’accordo, avendo consultato anche il “Devoto Oli” che riporta “sgridare” come verbo transitivo, ma vorrei un Vs. autorevole parere.
Ringrazio anticipatamente.
Marta F.
linguista scrive:
L’errore è stato commesso dall’insegnante. Il “ci” in questione è assolutamente, senza alcuna possibilità di dubbio, complemento oggetto e, per conseguenza, è corretto affermare che “sgridare” ha valore transitivo, come lei ha già avuto modo di verificare consultando il Devoto-Oli.
La particella pronominale “ci” può, è vero, avere valore di complemento di termine, ma non certo in questo caso, in cui precede, come si è detto, un transitivo. Probabilmente l’insegnante è stata tratta in inganno dalla presenza, in alcuni dialetti meridionali, del cosiddetto “accusativo preposizionale”, un complemento oggetto (retto pertanto da verbi transitivi) introdotto però dalla preposizione “a” (in frasi come “ho chiamato a Mario” o, per rifarci al suo esempio, “Caterina ha sgridato a Giovanni”): l’esito finale è un costrutto formalmente (ribadisco, solo formalmente) simile al complemento di termine, ma con intatto il valore di complemento oggetto. Ora, se un costrutto del genere è tollerato in alcuni dialetti e italiani regionali (ma sempre nell’uso orale informale e nello scritto che voglia imitare il parlato), diventa irrimediabilmente errore se parliamo di lingua italiana, in cui la relazione verbo-oggetto nel caso diretto non ha mediazioni. Direi, in conclusione, che suo figlio non ha nulla da rimproverarsi. A differenza della sua insegnante.
Alessandro Di Candia
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Ha ragione il linguista di "Repubblica" ed è la prova provata - qualora ce ne fosse ancora bisogno - di quanto andiamo “predicando” da tempo: la scuola italiana - ma anche l’università - è sempre piú affidata a docenti non all’altezza del loro compito. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: basta ascoltare un radiotelegiornale o leggere un qualsivoglia giornale. C’è da rabbrividire. Povera nostra lingua, come ti hanno ridotta!
marta scrive:
L’insegnante di mio figlio ha considerato errore l’aver definito nella seguente frase “Caterina ci sgridava” la particella pronominale “ci” come complemento oggetto e, conseguentemente, nell’analisi grammaticale della stessa frase, il verbo “sgridava” come transitivo.
Ha corretto attribuendo a “ci” il valore di complemento di termine ed a “sgridava” funzione intransitiva.
Io non sono d’accordo, avendo consultato anche il “Devoto Oli” che riporta “sgridare” come verbo transitivo, ma vorrei un Vs. autorevole parere.
Ringrazio anticipatamente.
Marta F.
linguista scrive:
L’errore è stato commesso dall’insegnante. Il “ci” in questione è assolutamente, senza alcuna possibilità di dubbio, complemento oggetto e, per conseguenza, è corretto affermare che “sgridare” ha valore transitivo, come lei ha già avuto modo di verificare consultando il Devoto-Oli.
La particella pronominale “ci” può, è vero, avere valore di complemento di termine, ma non certo in questo caso, in cui precede, come si è detto, un transitivo. Probabilmente l’insegnante è stata tratta in inganno dalla presenza, in alcuni dialetti meridionali, del cosiddetto “accusativo preposizionale”, un complemento oggetto (retto pertanto da verbi transitivi) introdotto però dalla preposizione “a” (in frasi come “ho chiamato a Mario” o, per rifarci al suo esempio, “Caterina ha sgridato a Giovanni”): l’esito finale è un costrutto formalmente (ribadisco, solo formalmente) simile al complemento di termine, ma con intatto il valore di complemento oggetto. Ora, se un costrutto del genere è tollerato in alcuni dialetti e italiani regionali (ma sempre nell’uso orale informale e nello scritto che voglia imitare il parlato), diventa irrimediabilmente errore se parliamo di lingua italiana, in cui la relazione verbo-oggetto nel caso diretto non ha mediazioni. Direi, in conclusione, che suo figlio non ha nulla da rimproverarsi. A differenza della sua insegnante.
Alessandro Di Candia
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Ha ragione il linguista di "Repubblica" ed è la prova provata - qualora ce ne fosse ancora bisogno - di quanto andiamo “predicando” da tempo: la scuola italiana - ma anche l’università - è sempre piú affidata a docenti non all’altezza del loro compito. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: basta ascoltare un radiotelegiornale o leggere un qualsivoglia giornale. C’è da rabbrividire. Povera nostra lingua, come ti hanno ridotta!
2 commenti:
già mi sembra pazzesco che gli insegnanti non conoscano determinate regole, quali quelle della dizione ad esempio, ma che correggano le frasi corrette mi sembra decisamente raccapricciante.
Beh, gentile Dottor Raso, l'errore-orrore commesso dall'insegnante in questione è madornale.
Ammesso che - come sostiene il linguista - esistano (ed esistono) forme dialettali in cui il complemento oggetto appare come un complemento di termine, un/una insegnante degno/a di questo titolo dovrebbe (deve!) saper distinguere la tendenza dialettale dall'uso corretto della lingua italiana!
Cordialmente
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