In un universo linguistico che spesso si immagina lineare e progressivo, dove le parole nascono, si coniugano e si evolvono secondo regole prestabilite, esistono percorsi inversi e sorprendenti. Uno di questi è la retroformazione, un processo che ribalta la direzione canonica della derivazione lessicale: non è più l'infinito del verbo a generare il participio, ma il participio a generare il verbo. Un cortocircuito affatto affascinante, che ci invita a riconsiderare l’ordine delle cose nel vocabolario.
La retroformazione, dunque, si ha quando una parola, spesso percepita come derivata, si rivela invece essere la base originaria. Un caso di retroformazione è il verbo acquisire, che a prima vista sembrerebbe derivare dal participio passato acquisito, come se quest’ultimo fosse la forma originaria da cui poi si fosse ricavato il verbo. In realtà, è vero il contrario: acquisito non è il punto di partenza, bensì un adattamento italiano del latino acquisitus, participio passato del verbo acquirĕre. Il verbo acquisire, dunque, non nasce da una forma verbale italiana preesistente, ma viene coniato direttamente sulla base del participio latino, secondo un processo di retroformazione che risale alla lingua dotta. In altre parole, acquisire è stato modellato ex novo sull’etimo latino, e solo in un secondo momento ha generato il participio passato acquisito nella forma italiana. L’apparente sequenza “verbo → participio” è quindi, in questo caso, una costruzione illusoria: è il participio latino a precedere, e il verbo italiano a derivarne, non viceversa. In altre parole, acquisire non è figlio di acquisito, ma fratello maggiore, nato prima e per via autonoma.
Questo meccanismo non è un’anomalia isolata, ma una dinamica ricorrente nella storia della lingua. Talvolta il participio, già attestato e diffuso, viene percepito come forma verbale e da lì si genera un verbo che lo “retroforma”. È il caso di sospettare, che si può considerare retroformato da sospetto, oppure di donare, che si affianca a dono in un rapporto non sempre lineare. In altri casi, la retroformazione avviene da nomi o aggettivi che sembrano implicare un verbo sottostante, come telefonare da telefono, o visionare da visione, anche se qui il confine con la derivazione classica si fa più sfumato.
Un altro esempio particolarmente interessante, e spesso liquidato come errore, è redarre. Sebbene non accolto nei dizionari normativi, redarre si presenta come verbo retroformato dal participio redatto, che a sua volta deriva dal latino redactus, participio passato di redigere. In questo caso, l’italiano ha conservato il participio ma non il verbo originario, e redarre nasce come tentativo di ricostruzione, di riempimento di un vuoto percepito. Non è quindi un’invenzione arbitraria, ma una retroformazione coerente, che risponde a una logica interna alla lingua e alla sua evoluzione.
La retroformazione è dunque una forma di creatività linguistica che agisce a ritroso, riscrivendo la genealogia delle parole. Non è un errore né una forzatura, ma una testimonianza della vitalità del lessico, capace di reinventarsi anche partendo da ciò che sembrava già concluso. In questo senso, ogni verbo retroformato è una piccola rivoluzione: ci ricorda che la lingua non è una linea retta, ma un sistema vivo, dove anche il passato può generare il futuro.
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Tondo e rotondo, "pari" non sempre lo sono
Gli aggettivi/sostantivi “tondo” e “rotondo” sembrano gemelli, ma in realtà hanno caratteri diversi. “Rotondo” viene dal latino rotundus, legato alla ruota, e porta con sé un’aura più precisa, regolare, quasi elegante. “Tondo”, invece, è la sua forma popolare, nata come abbreviazione e rimasta nel linguaggio di tutti i giorni, soprattutto nei modi di dire. Così possiamo dire, indifferentemente, “un tavolo tondo” o “un tavolo rotondo”, ma se parliamo di “cifra tonda” o di “girare in tondo” non c’è alternativa: in questi casi funziona solo “tondo”. Al contrario, in un contesto più descrittivo o tecnico, come “un viso rotondo” o “il muscolo grande rotondo”, la scelta ricade naturalmente sull’altra forma. In fondo, i due termini raccontano la stessa idea di circolarità, ma con sfumature diverse: “tondo” più immediato e colloquiale, “rotondo” più formale e armonico. Due facce della stessa medaglia, che la lingua di Dante ha deciso di conservare entrambe.
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Dizionario e vocabolario, “fratelli”? Sì, ma di padri diversi
Dizionario e vocabolario sono uno sinonimo dell’altro, ma hanno origini (“padri”) diverse. Il primo è tratto dal participio passato del verbo latino dicere, dictus, da cui proviene anche dizione, i.e. 'modo di parlare'. Il secondo dal latino vocare, tratto da una radice indoeuropea, vak, vale a dire “chiamare”.

2 commenti:
Come si coniuga "redarre"?
Si usa solo l'infinito. Non è consigliabile adoperarlo in uno scritto sorvegliato.
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