Due verbi quasi identici nella forma, ma lontanissimi nel significato: avallare e avvallare si somigliano, si rincorrono, si confondono. Eppure uno approva, l’altro scende. Uno sigilla, l’altro (si) insabbia. Capita spesso, infatti, di vedere confusi i due sintagmi, quasi fossero sinonimi. In realtà, la loro somiglianza grafica nasconde due etimologie e due campi semantici ben diversi. Queste noterelle li mettono “a nudo”, ne chiariscono l’etimologia, ne tracciano i confini semantici e ne mostrano l’uso corretto. Perché distinguere non è pedanteria: è precisione, è stile.
Secondo il Vocabolario Treccani, avallare è un verbo transitivo che deriva da avallo, a sua volta dal francese aval (“a valle, in basso”), con riferimento alla firma che si appone in calce a una cambiale o a un titolo di credito. Da qui il significato originario: “garantire con avallo”. In senso figurato, il verbo si è poi esteso a “confermare, rendere credibile, approvare, sostenere”. Dire che “il presidente ha avallato la proposta” significa che l’ha convalidata, assumendosene la responsabilità.
Avvallare, invece, ha radici più direttamente legate al latino vallis, “valle”. Significa “rendere concavo, abbassare, creare un avvallamento”, oppure “scendere verso valle”. È un verbo che appartiene al linguaggio della geografia, della topografia, della fisica dei terreni. Dire che “la strada avvalla” significa che presenta un tratto in discesa, un abbassamento del livello. L’immagine è concreta, visiva, legata al paesaggio e alla sua morfologia.
La Crusca ha chiarito, in proposito, che avallare e avvallare si distinguono non solo per la grafia (una sola v contro due), ma anche per il significato, “distinto e quasi opposto”. Avallare appartiene al vocabolario comune e indica l’approvazione o la garanzia; avvallare, invece, significa “rendere concavo, abbassare, insabbiare”, e si usa per descrivere un terreno che si abbassa o una strada che degrada verso valle. La Crusca ricorda anche che in passato i due sintagmi verbali si sono talora confusi, ma nell’italiano contemporaneo si sono ormai specializzati: “Se avallo una proposta la accetto, se la avvallo cerco di insabbiarla”.
Qualche esempio aiuterà a fissare la distinzione. “Il consiglio ha avallato la decisione” equivale a dire che l’ha approvata e garantita; “la strada avvalla dopo il tornante” descrive invece un abbassamento del terreno. “Non posso avallare un progetto così rischioso” significa che non posso approvarlo, mentre “il terreno avvalla verso il fiume” indica che si abbassa in direzione della valle.
In letteratura, entrambi i verbi compaiono con i rispettivi significati: avallare nel senso di approvare o garantire, avvallare nel senso di descrivere un abbassamento o un declivio. La tradizione scritta conferma dunque la distinzione semantica che la lingua comune talvolta dimentica.
“Concatenando” questi esempi si vede come avallare evochi la responsabilità e la garanzia, mentre avvallare richiami la concretezza del paesaggio. Confondere i due verbi significa mescolare ambiti semantici lontani: quello della firma e quello della valle. La chiarezza nasce proprio dal riconoscere questa biforcazione: un verbo per la convalida, l’altro per la discesa.
Così, la prossima volta che ci troveremo a scrivere o a parlare, sarà bene ricordare che avallare non è sinonimo di avvallare: il primo sigilla, il secondo scende. Due percorsi paralleli che non vanno confusi, pena un inciampo linguistico che, seppur comune, resta sempre evitabile con un po’ di attenzione.
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Gratuìto? Non fa una grinza
I cortesi lettori non più tanto giovani ricorderanno i rimproveri o le “bacchettate” degli insegnanti se durante un’interrogazione si lasciavano sfuggire un “gratuìto”, con l’accento sulla “ì”, invece di “gratùito”, con l’accento sulla “u” (la sola pronuncia ritenuta corretta). Bene, anzi male, questi docenti hanno sempre insegnato una “regola fasulla”, riportata dalle grammatiche. L’aggettivo in oggetto “gode” di due pronunce, entrambe corrette: alla greca, con l’accento sulla “u” (gratùito) e alla latina, con l’accento tonico sulla “ì” (gratuìto). Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, attesta, infatti, le due ortoepie.
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La lingua “biforcuta” della stampa
Alberto Trentini, l’imbarazzo di Chigi. “Ma ci sono ancora dei canali aperti”
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Chi è Chigi? Perché prova imbarazzo?

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