sabato 8 novembre 2025

Quando la lingua parla di sé stessa: il potere nascosto del metalinguaggio

 


La metalingua, o metalinguaggio, è la capacità che ha una lingua di parlare di sé stessa. Il termine, “ibrido”, deriva dal greco metá (“oltre”, “al di là”) e dal latino lingua (“lingua, parola, linguaggio”): indica, dunque, un linguaggio che si colloca “al di sopra” o “oltre” il linguaggio comune, per descriverlo e spiegarlo.

In pratica, il metalinguaggio è l’uso delle parole non per comunicare contenuti, ma per chiarire come funzionano le parole medesime. Senza questa funzione non potremmo scrivere grammatichedizionari, manuali o insegnare una lingua, perché mancherebbero gli strumenti per spiegare regole e significati.

Pensiamo a una scena quotidiana: un bambino chiede “che vuol dire sale?”, e l’adulto risponde “è quella polvere bianca che usiamo per insaporire i cibi”. Qui non si sta usando la parola sale per chiedere di passare la saliera, ma per chiarire il significato della parola stessa. Questo è metalinguaggio.

La metalingua si manifesta in diversi ambiti. Nella grammatica, per esempio, quando un insegnante dice “amico è un sostantivo, indica una persona”, non sta parlando di un amico reale, ma sta classificando la parola. Nel vocabolario, quando leggiamo “albero: pianta con tronco legnoso”, il dizionario usa altre parole per spiegare il senso di albero. Nella comunicazione quotidiana, capita di dire “quando dico seriamente, intendo che non sto scherzando”: qui non si aggiunge un contenuto, ma si chiarisce come interpretare ciò che segue.

Un altro esempio comune, per meglio chiarire: quando tra amici qualcuno dice “hai scritto figo nel tema, ma è un termine colloquiale, meglio evitarlo in un compito scolastico”. In questo caso non si discute il contenuto della frase, ma il registro linguistico della parola usata. Oppure in famiglia: “non dire buongiorno la sera, si usa buonasera”. Qui si corregge l’uso di una formula di saluto, spiegando la regola che la governa.

La metalingua, insomma, è presente anche quando si chiarisce un senso figurato: “il verbo correre può significare anche ‘diffondere’, come in ‘far correre la voce’”. Non si sta correndo davvero, ma si spiega un uso particolare del sintagma (correre).

In sintesi, la metalingua è lo strumento che ci permette di riflettere sulla lingua, di renderla consapevole e di insegnarla. È ciò che ci consente di passare dall’uso spontaneo delle parole alla loro analisi, classificazione e spiegazione. Senza metalinguaggio potremmo solo parlare, ma non potremmo mai spiegare come e perché parliamo in un certo modo. La metalingua è il respiro riflessivo della lingua: la dimensione che ci permette non solo di parlare, ma di capire come e perché parliamo. È lo specchio che la lingua rivolge a sé stessa, rendendo visibili regole, significati e sfumature che altrimenti resterebbero implicite.

Ogni qual volta che – per concludere - definiamo una parola, correggiamo un uso, distinguiamo un registro o chiarifichiamo un senso figurato, stiamo esercitando questa funzione preziosa. Senza metalinguaggio la comunicazione sarebbe soltanto immediata e spontanea; con esso, diventa consapevole, analizzabile e trasmissibile. È ciò che ci consente di costruire grammatiche e dizionari, ma anche di educare, di interpretare testi, di affinare il pensiero. In fondo, la metalingua è la voce della lingua che parla di sé: un invito continuo a riflettere sul potere delle parole e sul modo in cui esse plasmano la nostra comprensione del mondo.

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Il segreto di due complementi (o espansioni)


C’
era una volta, nel Regno della Lingua, un grande Castello delle Parole. In quel castello vivevano due nobili complementi: il Complemento di Specificazione e il Complemento Partitivo. Condividevano la stessa dimora, ma avevano caratteri molto diversi. Gli studenti, quando si trovavano davanti a loro, spesso non riuscivano a distinguerli con chiarezza.

Il Complemento di Specificazione era un cavaliere elegante e preciso. Amava chiarire ogni cosa e non lasciava mai nulla nel vago. Quando qualcuno gli chiedeva “Di chi?” o “Di che cosa?”, rispondeva con fermezza, indicando appartenenza. Se un viandante mostrava una borsa, diceva: “Quella è la borsa di Maria, appartiene a lei!” Era come un custode che rendeva ogni parola più chiara e definita.

Il Complemento Partitivo, invece, era un viaggiatore curioso che amava muoversi tra i gruppi e le moltitudini. Non si accontentava di parlare di un singolo possesso (o di un argomento): voleva sempre mostrare la parte rispetto al tutto. Quando qualcuno gli chiedeva “Tra chi?” o “Tra che cosa?”, indicava l’insieme da cui si estraeva una parte. Se al banchetto del re arrivavano molti ospiti, diceva: “Molti degli invitati sono già qui: non tutti, ma una parte di loro!”. Se un poeta mostrava il suo quaderno, aggiungeva: “Ho letto alcune delle tue poesie: non tutte, ma solo una parte”. Era come un mercante che sceglieva gemme preziose da un grande scrigno, sempre attento a distinguere il particolare dal totale.

Un giorno, nel Castello delle Parole, scoppiò una piccola disputa: gli studenti confondevano spesso i due complementi e non sapevano a chi rivolgersi. Il Re della Lingua, allora, li convocò e chiese loro di spiegare la differenza. Il cavaliere della Specificazione disse: “Io vivo accanto ai nomi, agli aggettivi e ai verbi che hanno bisogno di essere chiariti. Rispondo a ‘Di chi?’ o ‘Di che cosa?’. Senza di me, le frasi resterebbero incomplete o poco precise”. Il viaggiatore del Partitivo replicò: “Io accompagno i pronomi e i numerali che indicano una parte. Rispondo a ‘Tra chi?’ o ‘Tra che cosa?’. Senza di me, non si capirebbe da quale insieme proviene quella parte”.

Il Re della Lingua sorrise e disse: “Ora è chiaro: siete entrambi indispensabili, ma diversi. Tu, Specificazione, sei come un pittore che aggiunge dettagli a un quadro già iniziato. Tu, Partitivo, sei come un giardiniere che coglie alcuni fiori da un grande prato. Non siete rivali, ma complementari”.

Da quel giorno, gli studenti impararono a riconoscere i due nobili complementi. Quando vedevano un nome che aveva bisogno di essere precisato, chiamavano il cavaliere della Specificazione. Quando invece incontravano un pronome o un numero che indicava solo una parte, si rivolgevano al viaggiatore del Partitivo. Così, nel Regno della Lingua, regnarono l’ordine e la chiarezza, e ogni frase divenne più bella e comprensibile.

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Nel Castello delle Parole, vivon due complementi in fiore:

Specificazione chiarisce il possesso,

Partitivo mostra soltanto un pezzo.

Di chi? Di che cosa?” chiede il primo,

Tra chi? Tra che cosa?” risponde il secondo.

Diversi ma amici, entrambi importanti,

rendon le frasi più belle e brillanti.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Venerdì “nero” per i trasporti (e non solo) in Italia. Lo sciopero riguarderanno molti settori in diverse parti del nostro Paese

Avevano avuto anche il coraggio di chiamarla “Per Mano”, la casa degli orrori che è stata scoperta e grazie al cielo sgominata dai Carabinieri a Cuneo






















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