Probabilmente molti lettori non hanno mai sentito parlare della paronomasia, e non c’è da stupirsi: è una figura retorica poco conosciuta, quasi invisibile, eppure sorprendentemente presente nel linguaggio quotidiano. Si nasconde nei proverbi, nei giochi di parole, nella pubblicità e persino nei versi dei poeti. Il suo nome - che suona quasi misterioso - affonda le radici nel greco e nel latino, e descrive un raffinato gioco fonico tra parole simili nel suono ma diverse nel significato. Scoprirla è come svelare un piccolo segreto della lingua: una tecnica sottile che dà ritmo, ironia e profondità al discorso.
La paronomasia, dunque, deriva dal greco paronomasía, composto da ‘pará, “vicino” e ‘onomasía’, “denominazione”, e indica l’accostamento di parole dal suono simile ma dal significato diverso. Il termine è stato poi adottato dal latino tardo come paronomasĭa, e in italiano ha acquisito anche le varianti annominazione, bisticcio di parole e parechesi.
Si tratta di una figura retorica che consiste nell’accostare due o più termini foneticamente simili - spesso paronimi - ma semanticamente distinti. Questo gioco fonico può servire a creare effetti comici, evocativi, musicali o persuasivi. È molto usata nella pubblicità, nei proverbi, nella poesia e persino nella lingua quotidiana.
Si distinguono due principali tipi di paronomasia:
Apofonica: basata sull’alternanza vocalica nella radice (es. risica ~ rosica)
Isofonica: fondata sull’uguaglianza dei suoni accentati (es. traduttore ~ traditore)
Esempi “celebri” includono:
Chi non risica non rosica
Dalle stelle alle stalle
Capire fischi per fiaschi
Traduttore, traditore
Donna danno
Carta canta
Fare la fame
Amore amaro
Spendere e spandere
Volente o nolente
Questa figura è documentata in autori come Dante Alighieri, che nella Divina Commedia ricorre alla paronomasia per rafforzare il ritmo e il significato. Un esempio si trova nell’Inferno, canto XXVII, verso 115: Io fui per ritornar più volte volto, dove “volto” assume significati diversi con suono identico.
Anche Pier Paolo Pasolini ne fa uso consapevole, soprattutto in La Divina Mimesis, dove riflette sulla lingua e sulla retorica dantesca. Il suo stile, teso tra oralità e scrittura, tra imitazione e rottura, sfrutta giochi fonici e accostamenti paronimici, come nel celebre passaggio la parola è parola, ma anche parolaccia.
La paronomasia è come una scintilla nel linguaggio: discreta, ma capace di accendere significati, emozioni e ironie. È il gioco sottile tra suono e senso, tra ciò che si dice e ciò che si suggerisce. Non necessariamente si deve essere poeti per usarla: basta ascoltare con attenzione, parlare con gusto, scrivere con ritmo. In un mondo dove le parole spesso si rincorrono senza incontrarsi, la paronomasia ci ricorda che anche una piccola variazione fonica può fare la differenza. E allora, perché non riscoprirla? Chi non rischia non rosica, anche in retorica.
Pur essendo poco nota – e concludiamo queste noterelle - come termine tecnico, la paronomasia è profondamente radicata nella nostra comunicazione. Saperla riconoscere e adoperarla consapevolmente può arricchire il nostro modo di parlare e di scrivere, rendendolo più efficace, elegante e... memorabile.
***
La lingua “biforcuta” della stampa
Il sindaco: ‘Abbiamo risolto il problema dell’illuminazzione pubblica’
I cittadini protestano per la mancanza di segnaletica stradale adeguatta
Sciopero dei mezzi: disagi per i pendolari, sopratutto nelle periferie
Alluvione in Calabria: danni ingenti alle infrastutture
Il nuovo piano urbanistico sarà presentato giovedì prossimo in consiglio comunale, secondo quanto riferito dall’assesore

Nessun commento:
Posta un commento