venerdì 29 novembre 2024

Nel regno della "consecutio temporum"


 Viveva una volta, in un lontanissimo regno, Verbalia, un giovane principe, sua altezza reale Tempore. Questi era affascinato dal tempo e dalla sua capacità di intrecciarsi nel linguaggio, rendendo le storie fluide e comprensibili. In quel magico regno il linguaggio era governato da una regola chiamata “consecutio temporum”, che garantiva che ogni parola e ogni frase trovassero il loro giusto posto nel flusso del tempo. Un bel giorno, mentre passeggiava, attorniato dalle sue fedeli guardie, Tempore si imbatté in una giovane e misteriosa maga, Verba. Costei aveva il potere di manipolare le parole e i tempi verbali, ma molto spesso si trovava in difficoltà nel mantenere l'ordine temporale nei suoi incantesimi. Curiosa della magia della “consecutio temporum”, ebbe l’ardire di fermare il principe perché le spiegasse il “funzionamento” di quella regola.

Sua altezza Tempore, per nulla infastidito, con un sorriso gentile, iniziò a spiegare. "Nel nostro regno," disse, "ogni frase ha un tempo e un luogo. Quando parliamo del presente usiamo tempi come il presente o il futuro: so che tu studi ogni giorno l’arte della magia. Se, invece, vogliamo parlare del passato dobbiamo adattare i nostri verbi."
"Come si fa?", domandò Verba, affascinata dalle parole del principe.
"È semplicissimo," rispose Tempore. "Se la nostra frase principale è al passato, dobbiamo cambiare il tempo del verbo nella frase subordinata. Per esempio, 'sapevo che tu studiavi ogni giorno.' "


V
erba annuì, sforzandosi di comprendere la magia. "E se volessi parlare di qualcosa che è già accaduto prima della mia frase principale, come dovrei regolarmi?”
"In quel caso, la legge linguistica del nostro regno impone l’uso del passato prossimo o del trapassato prossimo," spiegò Tempore. "Per esempio, 'so che hai già studiato' o 'sapevo che avevi già studiato'."
La giovane maga era sempre più affascinata. "E se voglio parlare di qualcosa che accadrà in futuro?"
Sua altezza sorrise. "Se la frase principale è al presente diciamo 'so che studierai domani.' Se, invece, è al passato dobbiamo dire 'sapevo che avresti studiato il giorno dopo.' I linguisti del regno chiamano questa costruzione ‘futuro nel passato” e si costruisce, appunto, con il condizionale passato”.


D
opo queste spiegazioni, Verba cominciò ad adoperare la magia della “consecutio temporum” con grande professionalità e abilità, incantando i sudditi del regno con i suoi verbi perfettamente “sincronizzati”. E così, grazie al principe Tempore e alla maga Verba, il regno di Verbalia prosperò, con storie e incantesimi che fluivano armoniosamente e cronologicamente nel tempo.

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"Il tempo giusto fa il discorso armonioso"

"Senza la giusta sequenza, il verbo perde essenza"

"Nella danza dei verbi, il tempo è il maestro"


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La lingua “biforcuta” della stampa

AAA Mercatini di Natale cercasi

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Correttamente: cercansi (o si cercano). Non è un “si impersonale”, ma “passivante”. I mercatini vengono (sono) cercati.




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giovedì 28 novembre 2024

L'anacoluto, questo sconosciuto


Probabilmente i nostri venticinque lettori, per dirla col Manzoni, si imbattono per la prima volta nell’anacoluto - una figura retorica intrigante che ha affascinato per secoli glottologi e scrittori – perché non tutti i sacri testi scolastici lo trattano. Vediamo, dunque, questa figura. Proviene dal greco anakólouthon, nt. di anakólouthos “che non segue”, comp. di an- con valore privat. e akólouthos “seguente” (dizionario De Mauro), quindi “discontinuità”. Questo termine è perfetto per descrivere l'anacoluto, poiché rappresenta una rottura nella struttura grammaticale di una frase.

Immaginiamo di cominciare una proposizione con una costruzione grammaticale ben precisa, poi però, nel corso dello scritto o del discorso cambiamo direzione e la concludiamo in un modo che non segue il percorso inizialmente tracciato. Questo è ciò che fa, esattamente, l'anacoluto: comincia una frase suggerendo una costruzione sintattica che viene poi abbandonata a favore di un'altra. Per esempio, nella frase come "quelli che muoiono, bisogna pregare per loro" il soggetto "quelli” non si lega direttamente con il resto della frase, creando un effetto di sospensione.
Questa figura retorica è molto comune nella lingua parlata, dove la spontaneità del discorso può portare a interruzioni e cambiamenti improvvisi di struttura. Ma anche nella letteratura l'anacoluto trova un suo spazio importante. Scrittori e poeti lo adoperano per vari scopi: rendere il discorso più naturale, enfatizzare un concetto o per mettere in evidenza il disordine dei pensieri di un dato personaggio.


Q
uando parliamo con naturalezza molto spesso non seguiamo una struttura grammaticale lineare; può capitare, quindi, di cominciare una frase in un modo e poi modificarla strada facendo. Vediamo con un esempio: mio nonno, quando era giovane, lui ha viaggiato molto. In questo caso l'aggiunta di "lui" crea una rottura nella struttura iniziale, rendendo il discorso più vicino alla realtà del linguaggio parlato.
L'anacoluto si può anche adoperare – come dicevamo - al fine di creare enfasi o per drammatizzare una situazione. Prendiamo la frase "questa situazione, non la posso sopportare più!" Qui, l'interruzione iniziale mette in risalto l'intensità del sentimento espresso, dando forza e drammaticità al discorso.


U
n'altra funzione molto interessante dell'anacoluto - come già accennato - è quella di riflettere il pensiero disordinato o confuso di un personaggio. Nei monologhi o nei dialoghi può mostrare come i pensieri si sovrappongano e si mescolino senza seguire, pertanto, un ordine preciso: "Io, questo progetto, non so da dove cominciare" esprime chiaramente la confusione del parlante. Non possiamo, però, concludere queste noterelle senza invitare il lettore a fare un uso parco dell’anacoluto perché alcune volte si tratta di un vero e proprio errore sintattico-grammaticale, occorre saperlo usare, dunque.


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La lingua “biforcuta” della stampa


La norma

Affitti brevi, ecco il Codice identificativo: fuorilegge 1 struttura su 3. Multe fino a 8 mila euro

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Le strutture non sono fuorilegge, cioè “banditi”, ma “fuori (della) legge”, cioè illegali. Correttamente: fuori legge 1 struttura su 3.




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mercoledì 27 novembre 2024

Emigrante e... migrante: sinonimi?

 

 C'erano una volta, in un regno lontano, Lessicolandia, due villaggi confinanti: Emigrania e Migrania. In questi agglomerati vivevano due cugini, Emigrante e Migrante, che spesso venivano confusi per la loro “somiglianza sonora”. Nel villaggio di Emigrania, Emigrante vantava una lunga storia. Proveniva dal verbo latino "emigrare", che significava "uscire da un luogo per stabilirsi altrove". Gli emigranti, pertanto, erano così chiamati perché lasciavano il loro paese d'origine per cercare opportunità di lavoro in terre lontane.
Nel villaggio di Migrania viveva il cugino Migrante, anche lui aveva radici latine provenendo dal verbo latino "migrare", che voleva dire "spostarsi da un luogo all'altro". I migranti, dunque, erano tutti coloro che si muovevano, indipendentemente dalla direzione, per trovare condizioni di vita migliori.


U
n bel giorno, gli abitanti di Lessicolandia cominciarono a confondere Emigrante e Migrante, pensando che fossero sinonimi, data la loro somiglianza di “suono”. Ciò creava non poca confusione, perché i due cugini avevano significati leggermente diversi.
Emigrante si lamentava spesso: "Non capiscono che io rappresento chi lascia la propria patria per stabilirsi altrove!"
Migrante, con pazienza, rispondeva: "Non capiscono neanche che io rappresento tutti coloro che si spostano sia all'interno sia al di fuori del loro paese”. Si rivolsero, quindi, alla regina Grammaticanda, molto amata dai sudditi e nota per la sua saggezza, perché trovasse una soluzione al loro problema.


S
ua maestà Grammaticanda volle accontentarli, per la loro fedeltà, e organizzò, con l’aiuto dei suoi consiglieri, una grande assemblea per chiarire la spinosa questione. Convocò, a tal fine, tutti i sudditi del regno e spiegò loro, con pacatezza ma anche con autorità: "Carissimi sudditi fedeli, è molto molto importante capire le differenze tra i due nostri connazionali, Emigrante e Migrante. Gli emigranti sono coloro che abbandonano il proprio paese d'origine, o meglio la loro nazione, per vivere in un altro Stato. I migranti, invece, sono tutti coloro che si spostano, indipendentemente dalla destinazione finale. Questo significa che tutti gli emigranti sono migranti perché si spostano, ma non tutti i migranti sono emigranti, perché alcuni migrano all'interno del loro stesso Stato".


V
i faccio alcuni esempi – proseguì la regina – perché capiate meglio la differenza.
"Pensate a Maria, che ha lasciato l'Italia per andare in Canada. Maria, dunque, è un'emigrante perché ha lasciato il suo paese d'origine. Ma pensate anche a Luigi, che si è trasferito da Crotone a Treviso. Luigi è un migrante, ma non un emigrante, perché è rimasto all'interno del suo Paese."
Da quel giorno, nel piccolo regno di Lessicolandia, nessuno confuse più "emigrante" con "migrante". Le parole vissero felici, rispettate per la loro unicità e per il ruolo importante che svolgevano nel raccontare le storie delle persone che si spostavano nel mondo.

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"Chi emigra lascia la patria, chi migra cerca una nuova via" (l'emigrante lascia il proprio paese d'origine, mentre il migrante può spostarsi ovunque in cerca di nuove opportunità).

"Ogni emigrante è un migrante, ma non ogni migrante è un emigrante." (tutti coloro che emigrano sono migranti, ma non tutti i migranti lasciano il proprio paese d'origine).

"L'emigrante porta con sé la nostalgia, il migrante la speranza" (l'emigrante spesso sente la mancanza della propria patria, mentre il migrante guarda avanti con speranza verso nuove possibilità).



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lunedì 25 novembre 2024

Il giorno della chiarezza (la sconfitta degli intercalari)

 


C'era una volta, nel bellissimo Regno delle Parole Perfette, una piccola ma importante città, Conversazione. Qui vivevano le parole, che si divertivano a comporre discorsi chiari e armoniosi. Negli ultimi tempi, però, una minaccia incombeva sulla città: i malefici Intercalari. Costoro erano parole (o frasi) inutili che interrompevano e, quindi, disturbavano il flusso naturale del discorso, come "uhm", "cioè", "praticamente", “diciamo”, "tipo", “ossia”, “allora”, “appunto”, “insomma”, "come dire" ecc.
Gli Intercalari erano dappertutto. Si infiltravano, subdoli, nelle frasi e nei discorsi dei cittadini di Conversazione, rendendo ogni dialogo confuso e pesante. La situazione stava diventando insostenibile. La regina, sua maestà La Sapienza, decise di combatterli. Convocò, allo scopo, un'assemblea straordinaria e chiamò a raccolta tutte le parole più importanti: Chiarezza, Eloquenza, Sintesi, e Fluida Comunicazione.
Nella stupenda sala del trono la regina parlò con autorità:
"Carissimi sudditi, gli Intercalari stanno rovinando i nostri discorsi. Dobbiamo trovare un modo e usare qualunque mezzo per liberarci di loro e riportare armonia nelle nostre conversazioni."
Chiarezza suggerì di organizzare delle lezioni speciali per insegnare a tutti come parlare senza quegli orribili intercalari.
"Dobbiamo educare le nuove parole – disse - fin dalla nascita, perché capiscano l'importanza di un discorso fluido e chiaro."
Eloquenza propose di creare delle guide pratiche, “avviamento all’uso coretto dello scrivere e del parlare”, al fine di aiutare le parole a esprimersi in modo elegante e senza inutili interruzioni, dovute agli intercalari.
"Le parole devono imparare l'arte dell'eloquenza e della precisione."
Sintesi propose un esercizio quotidiano: tutte le parole avrebbero dovuto praticare la brevità e l'essenzialità nei loro discorsi.
"Solo in questo modo possiamo sconfiggere gli Intercalari”.
Fluida Comunicazione, con la sua voce dolce e armoniosa, preparò tutti per la grande battaglia contro gli Intercalari. Le parole si allenarono duramente, giorno e notte, imparando a esprimersi senza riempitivi, a essere precise e dirette.
Quando arrivò il giorno della battaglia tutte le parole – come stabilito - si disposero in fila indiana e cominciarono a parlare con chiarezza, senza interruzioni inutili. Gli Intercalari, resisi conto del fatto che non riuscivano più a intrufolarsi nei discorsi, cominciarono a perdere forza e a scomparire.
Così, grazie all’impegno di Chiarezza, Eloquenza, Sintesi e Fluida Comunicazione, il Regno delle Parole Perfette fu liberato da quegli odiosi Intercalari. I discorsi tornarono – come una volta - a essere chiari, fluidi e piacevoli da ascoltare. La regina La Sapienza, felicissima, dichiarò quel giorno festa nazionale, e da celebrare ogni anno come il Giorno della Chiarezza.

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"Chi parla con chiarezza, il mondo ammira" (la chiarezza nel linguaggio è apprezzata e rispettata).

"Intercalari nel discorso, come sabbia negli ingranaggi" (gli intercalari interrompono e rendono meno fluido il discorso, proprio come la sabbia danneggia i macchinari).

"Ogni parola inutile, un passo verso la confusione" (l'uso eccessivo di parole inutili porta a incomprensioni e confusione).

"Chi evita gli intercalari, l'eloquenza conquista" (chi parla senza intercalari dimostra maggiore capacità oratoria).

"Poche parole, scelte bene, valgono più di mille riempitivi" (è meglio usare poche parole precise e ben pensate piuttosto che riempire il discorso con intercalari).


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La lingua “biforcuta” della stampa

Multa da 5 milioni a Glovo per l’sms "automatico" dopo la morte del rider

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In buona lingua: multa di 5 milioni. La preposizione “di” specifica l’importo (della multa).



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domenica 24 novembre 2024

Tra la sineddoche e l'iperbole


C
iao, amico mio – disse Alice, rivolgendosi a Lucio - stavo sfogliando un vecchio libro di retorica e mi sono imbattuta in due termini che mi hanno incuriosita: metonimia e sineddoche. Hai un po’ di tempo per spiegarmeli? 

– Senz’altro, Alice! Sono felice di poterti aiutare. Cominciamo con la metonimia. Questo termine di provenienza greca, "metonymía", composto con “meta-” (oltre) e “onyma” (nome), significa "scambio di nome". È una figura retorica in cui un termine viene sostituito con un altro con il quale ha una stretta relazione di contiguità logica o materiale. Per esempio, quando diciamo "leggere Dante", intendiamo leggere le opere del Divino, non lui stesso. Oppure, "bere un bicchiere" vale a dire bere il contenuto del bicchiere, non il bicchiere, ovviamente. È interessante notare che questo termine è adoperato anche in ambito psichiatrico per designare un disturbo mentale in cui il paziente non è capace di adoperare vocaboli appropriati per definire un oggetto (o una situazione). 
 
- Interessante, veramente interessante! È come un gioco di sostituzione basato su un legame diretto tra i due termini. E per quanto attiene alla sineddoche? 
 
- Esatto, Alice! Anche la sineddoche proviene dal greco "synekdoche", derivato di synekdékhomai, che significa "comprendere (prendere) insieme". È una figura retorica in cui una parte viene adoperata per rappresentare il tutto o viceversa. Per esempio, quando diciamo "chiedere una mano" intendiamo chiedere aiuto a una persona, nominando una parte del corpo per rappresentare l'intera persona. Oppure, "cento vele" per indicare cento navi. 
 
- L
a sineddoche, quindi, si basa su una relazione quantitativa, mentre la metonimia su una contiguità logica o materiale. Sbaglio? 
 
- No. È proprio così. La sineddoche usa una parte per rappresentare il tutto o il tutto per una parte, come in "un tetto" per indicare una casa, o "l'Italia ha vinto la partita" per dire che la squadra italiana ha vinto. La metonimia, invece, sostituisce un termine con un altro che è logicamente o materialmente connesso, come "il Palazzo" per indicare il governo o "il trono" per rappresentare la monarchia. Occorre rilevare, però, che non è sempre facile distinguere le due figure, avendo significati affini. 
 
- Questo è davvero affascinante! Grazie di cuore, Lucio, per aver chiarito questi concetti “astrusi”. Ora mi sento più sicura nel riconoscere e, quindi, nell’usare queste figure retoriche. 
 
- Sono felice di esserti stato di aiuto, Alice! Se hai altre domande o vuoi approfondire altri termini retorici, non esitare a chiedere. Ah, a proposito, hai mai sentito parlare di altre figure retoriche come l'ossimoro o l'iperbole? 
 
- Sì, ho sentito questi termini, ma non sono sicura di conoscerne il significato esatto. Potresti spiegarmi anche questi? 
 

- Certo! L'ossimoro è una figura retorica che racchiude in sé due termini o concetti opposti al fine di creare un effetto paradossale come, per esempio, "silenzio assordante", "lucida follìa". L'iperbole, invece, è un'esagerazione, intenzionale, per enfatizzare un concetto o una situazione, come "ho aspettato un'eternità" o "questa borsa è veramente pesante: più di una tonnellata". Anche questi termini hanno "sangue ellenico" che scorre nelle loro vene.

 
- Grazie, grazie Lucio! Ora ho le idee molto più chiare su queste figure retoriche. È sempre interessante imparare cose nuove. 
 
- Il piacere è tutto mio, Alice cara. Imparare insieme rende tutto più semplice e più interessante. Alla prossima lezione di retorica! 

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La lingua “biforcuta” della stampa

Epidemia di listeria, morto un bimbo piccolo: quali sono gli alimenti a “rischio”

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C’è anche un bimbo “grande”?

 


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sabato 23 novembre 2024

L'epanalepsi


In un favoloso regno lontano, dove le parole e le frasi erano dotate di poteri magici, vivevano in assoluta armonia le varie figure retoriche. Ciascuna di queste aveva una propria unicità e un ruolo molto speciale al fine di rendere il linguaggio più espressivo. Tra queste spiccava una figura veramente particolare e affascinante: l’ Epanalepsi.  

 
L' Epanalepsi, il cui nome proveniva dal greco antico "epanálēpsis", che significa "ripresa" o "ripetizione", era famosa per il suo potere di ripetere una parola o un'espressione all'inizio e alla fine di una proposizione o di un verso. Questo ‘dono’ le permetteva di enfatizzare il discorso dandogli un senso di circolarità, unendo in un abbraccio magico l'inizio e la fine della frase o di un verso. 
 
Un giorno, una suddita del regno, la giovane frase "Oh sole, mia luce" si sentiva speciale, ma nello stesso tempo incompleta. L' Epanalepsi decise di aiutarla e le suggerì di ripetere il nome "sole" anche alla fine. La frase divenne, così: "Oh sole, mia luce, oh sole." Tutti ebbero l’opportunità di notare, grazie all’ Epanalepsi, come la ripetizione enfatizzasse l'importanza del sole come fonte di luce, creando un effetto poetico e ritmico. 
 
Unaltra suddita, la frase "La guerra è distruzione", cercava di esprimere un concetto forte, ma sentiva che mancava di impatto. L' Epanalepsi intervenne e consigliò anche a lei di riprendere l'ultima parola all'inizio della nuova frase. Così diventò: "La guerra è distruzione. Distruzione è la guerra." Questo gioco di parole rafforzava il legame tra guerra e distruzione, rendendo il messaggio decisamente più potente. 
 
Per celebrare l'utilità dell' Epanalepsi il Gran Consiglio delle Figure Retoriche, col benestare del re, organizzò una riunione di tutti gli appassionati di lingua e invitò la saggia parola Conoscenza, presidente onoraria della locale Accademia, perché spiegasse agli astanti l’immenso valore di questa figura retorica. "L' Epanalepsi", esordì Conoscenza, "è una figura che unisce l'inizio e la fine di una frase o di un verso, creando enfasi e circolarità. È una sorta di magico cerchio di parole che avvolge il concetto centrale." 
 
Durante la riunione, Conoscenza menzionò anche la cugina dell' Epanalepsi, chiamata Epanadiplosi (anche questa di provenienza ellenica, "epanadìplosis", 'ripetizione'), perché sebbene condividessero lo stesso potere magico della ripetizione, le due figure retoriche erano conosciute con nomi diversi. 
 
Conoscenza, quindi, spiegò: "Sia l' Epanalepsi sia l' Epanadiplosi svolgono la medesima funzione, ma non tutte le figure retoriche hanno l’onore di essere attestate nei comuni vocabolari; tuttavia la loro bellezza e la loro utilità rimangono inalterate”. 
 
Nel corso della riunione intervennero anche alcuni studiosi, con altri esempi, per mostrare, ancora una volta, il potere dell' Epanalepsi: "L'amore è eterno. Eterno è l'amore." Questa costruzione mette in evidenza l'idea di come l'amore e l'eternità siano indissolubilmente legati. "Il mare è vasto, infinito è il mare." La ripetizione di "mare" all'inizio e alla fine del verso crea un effetto visivo e ritmico che cattura, inevitabilmente, l'attenzione del lettore. 
 
Da quel giorno, l'Epanalepsi e l'Epanadiplosi furono celebrate, in tutto il regno, come eroine del linguaggio, capaci di creare connessioni magiche tra le parole.  


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La lingua “biforcuta” della stampa

I Guai giudiziari del nuovo presidente

Trump e il caso Stormy Daniels, la sentenza «rinviata a data da destinarsi»

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Meglio: a data da destinare (senza la  particella 'si'). La preposizione ‘da’ anteposta a un verbo di modo infinito rende quest’ultimo di forma passiva (da destinare = che deve essere destinata).


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Il lottatore irlandese

McGregor condannato in sede civile per stupro: alla vittima un risarcimento da 250mila euro

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Risarcimento di 250mila euro, non 'da' (la preposizione ‘di’ specifica la quantità di denaro versato).



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