Prima di addentrarci nei meandri della lingua che – come abbiamo visto altre volte – è ricchissima di parole che usiamo con la massima indifferenza senza conoscerne il significato “recondito”, soffermiamoci un attimo sull’accezione “nascosta” di meandro, appunto.
Adoperiamo questo termine quando vogliamo mettere in particolare evidenza l’ “intricatezza” e la “tortuosità” del linguaggio di talune persone nell’esporre il proprio pensiero o il proprio scritto. Il meandro, dunque, è ciascuna delle anse, delle sinuosità che i fiumi determinano scorrendo su un terreno piano o con lieve pendenza. Anche questo vocabolo proviene dal tanto bistrattato latino: “meandrus” (curva), tratto dal nome del fiume Meandro che scorre in Asia Minore in numerosissime sinuosità.
In senso traslato, quindi, meandro è sinonimo di “tortuosità di pensiero”: non è affatto possibile seguirlo nei meandri del suo ragionamento. La nostra lingua – a nostro modo di vedere – è ricca di “meandri” dai quali molte persone, anche quelle meno sprovvedute culturalmente, non sanno uscire. Prova ne sia il fatto che moltissime "grandi firme" della carta stampata e no – “spalleggiate” dai soliti vocabolari permissivi – scrivono (e dicono) “coproduzione “ in luogo della sola forma corretta “comproduzione”.
Si deve dire – ripetiamo – “comproduzione”, e non lo sostiene l’illustre signor nessuno, estensore di queste noterelle, ma l’insigne linguista Aldo Gabrielli che nel suo Dizionario Linguistico Moderno così spiega: “coproduzione è brutto neologismo, specie nel gergo cinematografico. In buon italiano il prefisso ‘co’ (per ‘con’) si costruisce solo dinanzi a vocale: coabitazione, coincidenza, cooperare, coutente; in ogni altro caso si ha il prefisso ‘con’, mutato anche in ‘com’.” E aggiunge: “coproduzione, forma nell’uso, ma errata”.
Riteniamo doveroso, per tanto, soffermarci sul corretto uso del prefisso “con”. Detto prefisso, dunque, perde la “n” davanti a parole comincianti con vocale (coinquilino); muta la “n” in “m” dinanzi a parole che cominciano con le consonanti “b” e “p” (combelligerante, comproprietario); si assimila davanti alle parole che cominciano con le consonanti “l”, “m” e “r”: collaboratore, commilitone, corregionale. L’assimilazione – è utile ricordarlo – è un processo linguistico per cui dall’incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda, cioè si “assimila”.
È chiaro, però, che in casi di ambiguità non possiamo rispettare “alla lettera” le norme che regolano l’uso di tale confisso, occorre affidarsi al buon senso. Il “correttore”, infatti, è colui che corregge, il “conrettore”, invece, anche se non a lemma nei vocabolari dell'uso, ma "immortalato" in alcune pubblicazioni, è la persona che divide la responsabilità del rettorato con un’altra. E che dire del "co-fondatore" in luogo della grafia corretta "confondatore", lemmatizzata nel prestigioso vocabolario Treccani e nel DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia? Basta applicare la "regola del prefisso -con" e non si hanno problemi di sorta. Finiamola, quindi, di scrivere co-conduzione, co-locazione, co-locatario ecc.
Avete visto, cortesi amici, quanti “meandri” linguistici abbiamo incontrato durante la nostra chiacchierata? Ma non finisce qui. La “congestione”, vale a dire la “gestione comune” di una determinata cosa si potrebbe confondere con la congestione, termine usatissimo in campo medico. Allora? Allora, gentili lettori, in casi di ambiguità dobbiamo ricorrere – giocoforza* – all’uso, per altro non molto bello, della perifrasi.
Amici della carta stampata, non fate gli indiani, sapete benissimo di avere un gravoso compito: quello di educare la gente anche e soprattutto dal punto di vista linguistico. Non diffondete, per tanto, parole errate e “coproduzione” è una di queste.
Dimenticavamo: crediamo sia chiaro a tutti il significato dell’espressione “fare l’indiano”, ossia far finta di non capire. L’espressione è nata dalla figura dell’indigeno stereotipato, esattamente degli abitanti delle Indie occidentali, che agli occhi degli uomini europei appariva assente, sbalordito, dando la chiara impressione, appunto, di non capire.
-----------
* A proposito di giocoforza quasi tutti i vocabolari attestano la locuzione come sostantivo maschile specificando, però, che si adopera esclusivamente nell'espressione "essere giocoforza". Solo il De Mauro e l' Olivetti lemmatizzano, giustamente (e correttamente), l'espressione come avverbio.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: faraso1@outlook.it)
Nessun commento:
Posta un commento