mercoledì 21 febbraio 2024

Come si va "a capo"

 


Alcuni lettori ci hanno posto il problema  dell' "a capo". Come si fa ad andare "a capo" senza tema di sbagliare? "Giriamo" il quesito a Si dice o non si dice? (Hoepli Editore).

Quante volte ci mettiamo le mani nei capelli perché dobbiamo andare a capo e non sappiamo come! Il problema è quello della divisione delle parole in sillabe, che i programmi di scrittura dei computer non sempre azzeccano. Le regole dell’a capo, cioè della divisione in sillabe, dobbiamo conoscerle bene, non fidiamoci del computer o ci troveremo a compiere strafalcioni come quelli che incontriamo ogni tanto sui giornali. Si tratta di capire e di applicare cinque regole chiare e pratiche. Eccole.

Prima regola: quando una parola comincia per vocale seguíta da consonante semplice, la vocale fa sillaba a sé: a-moree-remoi-solao-noreu-manesimo.

Seconda regola: le consonanti semplici fanno sillaba con la vocale che le segue; dunque, tornando agli esempi precedenti: a-mo-ree-re-moi-so-lao-no-reu-ma-ne-si-mo. Altri esempi: se-re-nove-lo-ci-pe-deta-vo-li-no.

Terza regola: le consonanti doppie si dividono a metà: una va nella sillaba che precede, l’altra nella sillaba che segue: mot-tet-toboz-zel-loaz-zur-roel-la.

Quarta regola, è la più complicata e riguarda i gruppi di consonanti diverse, come brtrdrsprczgm eccetera. Come si dividono? Dobbiamo distinguere due casi.

Caso a)

Sono quei gruppi di due o tre consonanti diverse che potremmo trovare sia nel corpo che all’inizio di una parola. Per esempio, il gruppo br lo troviamo sia nel corpo di parola (Abramo, imbrunire) che all’inizio (bravo, bruma). Questi gruppi di consonanti si uniscono tutti alla vocale che segue. Vediamoli in pratica. Gruppo br: bra-vobre-veA-bra-moim-bru-ni-re; gruppo tr: tra-vetro-noa-tro-ce; gruppo str: stra-nostro-febi-stro; gruppo spr: spro-nespruz-zove-spro; gruppo cr: cro-cecri-sia-cro-sti-co; gruppo ststa-tostu-fore-sta-re; gruppo sfsfe-rasfa-scia-resod-di-sfa-re; gruppo dr: dro-me-da-riodru-pala-dro.

Caso b)

Sono quei gruppi di due o tre consonanti che nella nostra lingua non vengono mai a trovarsi in principio di parola, come lmcntmptczcqgmntrtlcmttrltrntrmplbdcmgnmscrxpzmnlmdmztct. In questi casi la prima consonante va con la vocale della sillaba che precede, l’altra o le altre consonanti con la vocale della sillaba che segue: el-motec-ni-coa-rit-me-ti-ca crip-taec-ze-maac-quaseg-men-toan-ti-por-taAlc-ma-nespet-troal-tro con-tra-stoe-sem-pla-resub-do-loac-meWag-nerGram-scimar-xi-staop-zio-neam-ne-siacal-moaz-te-cooc-to-pla-sma eccetera.

Quinta regola: riguarda i gruppi di vocali, che si distinguono in dittonghi e iati. I dittonghi sono quei gruppi di vocali che vanno pronunciate con una sola emissione di fiato, dunque formano insieme una sola sillaba: per esempio la au di pau-sa, la io di pio-ve, la ie di ie-ri. Gli iati sono invece quei gruppi di vocali che suonano separatamente, quindi formano due sillabe separate: la au di pa-u-ra, la io di pi-o-lo, la ui di be-du-i-no. E così abbiamo visto anche l’ultima delle regole che presiedono alla divisione in sillabe: le vocali di un dittongo restano unite, quelle di uno iato si separano.

Un consiglio: se non abbiamo sufficiente dimestichezza con dittonghi e iati, cosa più che legittima, atteniamoci a questa regola prudenziale: non andiamo mai a capo con una vocale.

Il discorso su sillabe e a capi potrebbe anche bastare ma... c’è sempre qualcuno che ama complicarci la vita. In questo caso sono certi grammatici che hanno posto il problema dei prefissi. Dicono: “Lasciate integri i prefissi e dividete in sillabe il resto della parola”. Per esempio: ben-ar-ri-va-tomal-au-gu-rioin-a-bi-ledis-di-recis-al-pi-notras-por-totrans-a-tlan-ti-co e simili. Perché creare questa complicazione inutile, che può portare a errori disastrosi? Non tutti sanno distinguere un prefisso al volo. E poi, il prefisso non è un elemento a sé, è entrato a far parte integrante della parola e non si capisce perché non debba seguire, con il resto della stessa, le normali regole della divisone sillabica. Dunque, be-nar-ri-va-to, ma-lau-gu-rioi-na-bi-ledi-sdi-reci-sal-pi-notra-spor-totran-sa-tlan-tico.

E buon “a capo” a tutti.


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Che prandipeta!

Prandipeta! Chi è costui?, parafrasando il Manzoni. È la persona che, per professione, scrocca i pranzi e le cene. L'origine è chiara, il latino prandium (pranzo) e il verbo petere (chiedere).
Il vocabolo non è attestato nei vocabolari dell'uso, tuttavia si può "vedere" cliccando qui.


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La lingua "biforcuta" della stampa

In questo Borgo del piacentino c'è uno dei Castelli più belli D'Italia

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Questa frase contiene tre errori. Piacentino ha la "p" minuscola, castelli e la preposizione "di" (d'Italia) con la maiuscola. Rettifichiamo, gli errori sono quattro: la "b" maiuscola di borgo. Ai "massinformisti" consigliamo un'attenta lettura sul corretto uso delle maiuscole.


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GLI IMMOBILI

Berlusconi e le mega ville: da Roma al lago Maggiore, ecco come i figli se le stanno spartendo

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Correttamente: megaville. I prefissi e i prefissoidi si scrivono uniti alla parola che segue. Mega, da solo, non ha alcun significato. Anzi, lo ha, ma è l'accorciamento del termine informatico megabyte.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: faraso1@outlook.it)

 

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