mercoledì 30 giugno 2021

«San Giovanni non vuole inganni»

 Qual  è il significato (e quando si usa) di questo modo di dire? Ce lo spiega il sito "Libreriamo".

 

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La parola proposta da questo portale: paralogismo.  Sostantivo maschile con il quale si definisce un ragionamento errato. È termine aulico composto con le voci greche "para-", simile, affine e "logismòs", ragionamento.

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La lingua "biforcuta" della stampa

TECNOLOGIA

L'atterraggio dell'An-225, l'aereo più grande del mondo per navicelle spaziali

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Può esistere un aereo "piú grande" del mondo? Correttamente: piú grande al mondo.


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Riceviamo e pubblichiamo

Da qualche tempo sento parlare (e leggo) di "politica attiva"; meglio al plurale: "politiche attive" (del lavoro, del credito, di sviluppo, ...). I soggetti che usano queste espressioni sono i soliti: politici, sindacalisti, giornalisti, opinionisti.

Questa locuzione mi turba, poiché ho sempre pensato, nel mio piccolo, che una politica fosse una linea d'azione; non riesco quindi ad immaginare una "politica passiva"!

Ho voluto rifarmi al dizionario. Leggo:

b. Più concretam., l’attività svolta per il governo di uno stato, il modo di governare, l’insieme dei provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini …
estens. Particolare modo di agire, di procedere, di comportarsi in vista del raggiungimento di un determinato fine …

Trovo quindi termini quali "attività", "agire", "procedere" che - evidentemente - non hanno bisogno di ulteriori aggettivi. A meno che l'aggettivo "attiva" stia a significare che, abitualmente, i politici menano il can per l'aia ...

 P.P. Falcone









martedì 29 giugno 2021

Il "lei di rispetto"

 Riproponiamo un nostro vecchio intervento sull'uso corretto del "lei di rispetto" perché la stampa...


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LEI è veramente buona, signor capitano, nel concedermi la licenza», disse la recluta irrigidita sull’attenti. Il giovanotto, però, dieci minuti più tardi, anziché sul treno diretto a casa, si ritrovò, piangente, in cella di rigore: quel buona aveva offeso l’ufficiale, colpito nella sua virilità.
Vediamo, quindi, le concordanze delle varie parti del discorso quando si usa il lei allocutivo, il così detto lei di rispetto.
La logica vuole che le voci verbali diventino femminili perché lei è, appunto, un pronome personale di terza persona singolare femminile. Diremo, quindi, lei è invitata alla cerimonia, oppure lei è stata rimproverata per… tanto riferito a una donna quanto a un uomo.
Quando in una frase c’è un aggettivo con funzione di predicato, secondo la norma logico-grammaticale, dovremmo, dunque, metterlo al femminile e dire lei è cattiva e presuntuosa sia con riferimento a un uomo sia con riferimento a una donna?
In casi del genere occorre affidarsi al buon senso; se il lei si riferisce a un uomo, le voci verbali e gli aggettivi saranno, ovviamente, maschili: lei è buono, signor capitano.
Saranno rigorosamente femminili, invece, le particelle pronominali (anche se si tratta di un uomo): signor capitano, la prego, mi conceda una breve licenza. Rivolgendoci a più persone il lei diventa, naturalmente loro e segue le medesime regole che sono state menzionate per il lei allocutivosignori, loro almeno, siano tanto comprensivi nei nostri riguardi; signore, siano sempre buone con i loro pargoletti.
Va da sé che quando si adopera la perifrasi dell’eccellenza vostra, signoria vostra ecc., si deve mettere tutto al femminile (verbi, aggettivi, pronomi). E a proposito del "lei allocutivo", ci è venuta alla mente, per assonanza, l'allocuzione che molti confondono con la locuzione: sono due cose completamente diverse. Per la differenza tra i due lemmi si veda qui e qui.

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Sarebbe interessante sapere perché buona parte dei dizionari  attesta/attestano "malafede" come sostantivo femminile solo singolare, eppure il plurale c'è e non è scorretto: malefedi (ed è "immortalato" in numerose pubblicazioni).


lunedì 28 giugno 2021

Osservazioni (pedantesche?)...

 A  costo di attirarci le ire di qualche “linguista d’assalto” (e ce ne sono a iosa), vogliamo mettere in evidenza il fatto che - a nostro modo di vedere - gli aggettivi “adeguato” ed “equo”, nonostante la stretta parentela etimologica, non si possono considerare “perfettamente” sinonimi. Adopereremo l’aggettivo adeguato quando sta per “proporzionato”: occorre dargli un risarcimento adeguato (proporzionato) al danno subíto. Useremo “equo” quando quest’aggettivo significa “giusto”, “ragionevole”: tutti, per il loro lavoro, hanno diritto a un’equa (giusta) retribuzione. Scriviamo queste noterelle perché abbiamo letto, su un giornale locale, che “gli avvocati hanno chiesto al tribunale di dare una pena equa all’atrocità del delitto”. Ancora ridiamo.

  I sostantivi scrittoio e scrivania - anche se i vocabolari ci smentiscono - non sono l’uno sinonimo dell’altro; non si “potrebbero”, quindi, adoperare indifferentemente. Il primo termine indica lo studio, la stanza, cioè, dove si scrive. Deriva, infatti, dal tardo latino “scriptorium”, di qui l’italiano antico “scrittorio”. Lo “scriptorium”, dunque, era la sala del convento dove i frati amanuensi copiavano i manoscritti. La scrivania, invece, indica il tavolino, la tavola, il mobile per scrivere ed è un denominale provenendo da “scrivano”, il “tavolino dello scrivano”. Dovremmo dire, per tanto, volendo essere particolarmente pedanti, rispettando l'etimologia, “che il dr Pasquali si è recato nello scrittoio per prendere gli occhiali dimenticati sulla scrivania”.

  Quanto stiamo per scrivere - siamo certi - non avrà l’ «approvazione» di qualche linguista se dovesse imbattersi, per caso, in questo sito. Comunque...

Il sostantivo femminile “pena” che, a seconda del contesto, può significare
“castigo”, “punizione”, “sanzione”, “tormento”, “compassione” ricorre in numerose locuzioni “francesizzanti” che in buona lingua andrebbero evitate, anche se “immortalate” negli scritti di autori classici. Vediamole. “Prendersi la pena di...” o “Darsi la pena di...”: Giovanni si dia la pena di rispondermi al piú presto. In buona lingua meglio: Giovanni si prenda la briga di (o locuzioni simili) rispondermi al piú presto; “Aver pena a...”: Luigi non avrà troppa pena a fare quel lavoro. Molto meglio: Luigi non avrà troppa difficoltà a fare quel lavoro; “Valer la pena di...”: Vale la pena di ignorare tutto ciò che dice. In lingua sorvegliata si dirà: Conviene, è meglio ignorare tutto ciò che dice; “A pena di...”: I trasgressori sono soggetti a pena di multa. Meglio: I trasgressori sono soggetti a una multa.

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 La parola proposta da questo portale, ripresa dal dizionario Olivettigeromarasma. Sostantivo maschile, forse poco conosciuto, con il quale si indica la demenza senile. È termine aulico essendo composto con le voci greche "geron" (anziano, vecchio) e "marasmòs" (decadimento, deperimento e simili). Il lemma in oggetto, stranamente, non è attestato nella lessicografia della Crusca.

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La lingua "biforcuta" della stampa

FISCO

Dalla tassa sui funghi al tributo di discarica: Draghi pronto a sforbiciare la raffica di micro balzelli

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Secondo l'idioma di Dante: microbalzelli (parola unica). Qui, esempi sull'uso corretto del prefisso.

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Da un autorevole quotidiano in rete:

(...) I certificati medici parlano di una frattura al naso, del “versamento del liquido celebrale” e di una serie di ematomi e patologie “derivanti da tentativi di soffocamento”(...).

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Correttamente: liquido cerebrale. Probabilmente l'articolista confonde "cerebrale" con un impossibile aggettivo *celebrale.

Qui una recensione


 

 



sabato 26 giugno 2021

Cybersicurezza: con la "y" o con la "i"?

 Dal sito "Libreriamo.it" apprendiamo che l'Accademia della Crusca ha bacchettato il governo italiano per l'errata grafia di "cybersicurezza".


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La lingua "biforcuta" della stampa

Due ore di caos in A4: auto piomba su mezzi fermi per incidente. Mezzora dopo un altro tamponamento

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Meglio ("piú corretto"): mezz'ora.  DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia



giovedì 24 giugno 2021

La “messa a terra”

 Da oggi gli articoli non saranno piú corredati di immagini alla sinistra del testo

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 Riceviamo e pubblichiamo

 Ormai, nel linguaggio dei nostri politici e giornalisti della carta e dell’etere, i progetti non vengono più realizzati, o attuati, o messi in pratica.

È di gran moda, specie parlando di quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, affermare che si passerà dal dire al fare “mettendoli a terra”. Le locuzioni sono essenzialmente due: “mettere a terra il progetto” e “la messa a terra del progetto”.

Tutto bene, salvo il fatto che “messa a terra” non è sinonimo di “messa in pratica”; a meno che si tratti di un progetto di … rimboschimento. Più propriamente, la locuzione “mettere a terra” indica l’insieme di azioni e sistemi volti a portare un elemento metallico al potenziale elettrico del terreno, considerato di per sé nullo. Lo si fa, ad esempio, nell’impianto elettrico domestico, per evitare di prendere la cosiddetta scossa quando si tocca la carcassa della lavatrice.

Forse i nostri soloni del linguaggio intendono dire che questi progetti dovranno avere potenziale zero? O, più banalmente, sono tutti pronti a scimmiottare il primo che ha detto una baggianata?

Pier Paolo Falcone

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La lingua "biforcuta" dei mezzi di comunicazione di massa

Saman, la comunità pachistana sta aiutando le indagini?

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Correttamente: sta collaborando alle indagini? Non sapevamo che si potessero aiutare le indagini.

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La procura sta valutando se il poliziotto abbia esagerato "nell'uso legittimo delle armi" quando ha sparato al quarantaquattrenne che domenica ha seminato il panico brandendo un coltello tra le vie adiacenti la stazione. Telefonata di solidarietà di Salvini all'agente

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Correttamente: adiacenti alla stazione.  Treccani: adiacènte agg. [dal lat. adiăcens -entis, part. pres. di adiacere «giacere accanto»]. – 1. Che sta, giace, è posto vicino: stradacasa aal poderela piazza e le vie aerano gremite di popolomare a., rispetto alla terra che bagna, lo stesso che mare costiero.


mercoledì 23 giugno 2021

Sgroi - 106 - L'algoritmo della Intelligenza Artificiale (I.A), ovvero la Regola della frequenza degli usi, alla base della Norma di Google Docs


 di Salvatore Claudio Sgroi

 

 1. L'evento mediatico

Un caro amico, conoscendo la mia refrattarietà a navigare in Internet, mi ha girato il link di Andrea Daniele Signorelli: <https://www.lastampa.it/tecnologia/2021/06/22/news/google_docs_e_il_dilemma_del_qual_e_-307190290/?ref=twhpv>, intitolato < Google Docs e il dilemma del qual è - La Stampa>. Apparentemente l'ennesimo  articolo sul tormentone del <qual(')è> con/senza apostrofo.

 2. La Norma paradossale di Google Docs

Signorelli nel suo articolo dichiara di essere rimasto non poco colpito dal fatto che, avendo ortografato il canonico  <qual è> (senza apostrofo), "Google Docs" gli chiedeva paradossalmente di "utilizzare la forma [da lui giudicata] scorretta", cioè <qual'è> con l'apostrofo.

 3. "Norma-1" canonica, etimologico-clericale, Regola-1 del troncamento di <qual è>

Signorelli ricorda nel contempo che la Regola-1 alla base dell'uso senz'apostrofo (qual è), giudicato norma corretta, è quella del troncamento, indicata dalla Treccani. Che sarebbe apparentemente la stessa alla base di uno/un: un altro, un ragazzo (e non già *uno altro, *uno ragazzo), ma in realtà se qualcuno dice qual ragazzo (?!), qual piuma al vento, tutti possono dire quale ragazzo, ecc.

 4. "Norma-2" della maggioranza e Regola-2 di frequenza di <qual'è>

Il problema centrale del comportamento normativo-prescrittivo di Google Docs è capire i criteri alla base della sua norma pro <qual'è> con apostrofo.

La risposta -- illuminante -- indicata nell'articolo di Signorelli è che Google Docs utilizza "un algoritmo" della Intelligenza Artificiale (I.A.), che "analizza statisticamente l'uso della lingua", giudicando "corrette" le forme più frequenti. E quindi siccome <qual'è> (con apostrofo) risulta la grafia più frequente, viene indicata come quella corretta.

 5. I limiti della Norma-1 <qual è> (etimologico-clericale) della Regola-1 (troncamento) e della Norma-2 <qual'è> (della maggioranza) della Regola-2 (frequenza)

La Norma-1 <qual è> etimologico-clericale della Regla-1 (troncamento) presenta il limite di non essere inclusiva, in quanto confligge con la Norma-2 (giudicandola errata) della Regola-2 (elisione) <qual'è> in base a cui invece nell'italiano contemporaneo nessuno dice *qual ragazzo uscirebbe con lei?, ma quale ragazzo...

Il limite della Norma-2 indicata da Google Docs consiste a sua volta nel privilegiare il comportamento della maggioranza degli scriventi ("la dittatura della maggioranza") <qual'è> con apostrofo, ritenendo errato l'uso della minoranza senz'apostrofo (<qual è>).

Signorelli, se da un lato è ideologicamente favorevole alla Norma-1 canonica <qual è>, dinanzi alla Regola-2 della frequenza di Google Docs che giudica "sbagliata" proprio la grafia <qual e> e prescrive (Norma-2) la grafia con apostrofo <qual'è>, si pone il quesito: "vogliamo che sia un algoritmo a contribuire ai cambiamenti della lingua italiana"?.

In realtà, Google Docs registra -- descrittivamente -- gli usi della maggioranza dei parlanti, ma non è inclusivo nei riguardi della minoranza.

Entrambe le posizioni sono quindi lungi dall'accettare la variabilità come norma della lingua, ovvero come corrette entrambe le grafie.

 6. La Regola "laica": pluri-norme <qual(')è>. Norma-3 "vel/oppure" non Norma "aut"

Concludendo, una scelta "laica" del comportamento dei parlanti (colti e mediamente colti) --dinanzi alla loro variabilità -- suggerisce non l'adozione di "una" Norma, ma il riconoscimento di "più norme", "pluri-norme", non quindi una "Norma aut", ma una "Norma-3 vel/oppure".

 Sommario

1. L'evento mediatico

2. La Norma paradossale  di Google Docs

3. "Norma-1" canonica, etimologico-clericale, Regola-1 del troncamento di <qual è>

4. "Norma-2" della maggioranza e Regola-2 di frequenza di <qual'è>

5. I limiti della Norma-1 <qual è> (etimologico-clericale) della Regola-1 troncamento e della Norma-2 <qual'è> (della maggioranza) della Regola-2 (frequenza)

6. La Regola "laica": pluri-norme <qual(')è>. Norma-3 "vel/oppure" non Norma "aut"

 

martedì 22 giugno 2021

Verbo prendere: uso e... abuso

 


Qualche giorno fa abbiamo visto l'uso e l'abuso del verbo dire, vediamo ora l'uso e l'abuso del verbo prendere affinché i cortesi lettori,  che ci onorano della loro attenzione seguendo le nostre noterelle, possano regolarsi in merito. 

Spesso, dunque, scrivendo o parlando adoperiamo il verbo prendere in luogo di uno piú appropriato alla bisogna. Si abusa, insomma, del verbo in oggetto a scapito dell' "eleganza stilistica" dei nostri scritti (e dei nostri discorsi).Vediamo, come sempre, piluccando qua e là tra le varie pubblicazioni, l'abuso del verbo in oggetto. In corsivo il verbo prendere e in parentesi quello appropriato.  

Dopo mesi di indagini e pedinamenti le forze dell'ordine sono riuscite a prendere (catturare, arrestare) gli assassini della prostituta; l'impiegato infedele, sospettato di aver preso (sottratto) dei documenti importanti, è stato licenziato immediatamente; i coniugi premiati hanno preso (adottato) come figli i bimbi scampati alla tragedia; domani il nuovo direttore prenderà (assumerà) l'incarico conferitogli; con l'avvento dell'inverno è facile prendersi (buscarsi) un raffreddore; l'uccello prese (spiccò) il volo e il novello cacciatore restò con tanto di naso; giunti in città i novelli sposi presero (noleggiarono) un'automobile e la visitarono tutta; i rapinatori furono presi (colti) in flagrante e processati per direttissima; il giovane praticante giornalista fu mandato subito a prendere (raccogliere, attingere) notizie sull'accaduto.

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La lingua "biforcuta" della stampa

ECONOMIA

Assegno unico per i figli, domande all'Inps dal 1° luglio al 30 settembre. Tridico: "Compatibile col reddito di cittadinanza"

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Correttamente: dal 1 luglio (senza esponente). Il primo giorno del mese è un ordinale. Crusca: Le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870»". Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, "Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]."







lunedì 21 giugno 2021

Gazebo: si pluralizza o no?

 


Un altro termine causa di "accapigliamento" tra lessicografi: gazebo. I vocabolari, infatti, non concordano sulla variabilità/invariabilità del lemma. Tra i dizionari consultati alcuni ritengono il lessema variabile, altri invariabile, altri ancora sono salomonici (variabile o invariabile). Sono per la variabilità il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, e il vocabolario Olivetti: il gazebo/i gazebi; salomonico lo Zingarelli: il gazebo/i gazebo/i; il Devoto-Oli non specifica, quindi variabile. Attestano gazebo invariabile il Gabrielli, il Garzanti, il Treccani, il Sabatini Coletti e il De Mauro. Come regolarsi? Affidandosi  alla monetina: testa variabile; croce invariabile. Bando agli scherzi: non sbaglia chi opta per la variabilità né chi preferisce l'invariabilità. Chi scrive segue e consiglia, comunque, di attenersi al DOP, l'unico vocabolario strettamente normativo: il gazebo/i gazebi.

sabato 19 giugno 2021

Sull'uso "corretto" di alcuni verbi

 


CALCOLARE — il significato principe del verbo è fare i conti. È un francesismo bello e buono usarlo nel significato di: valutare, soppesare, considerare, pensare, stimare e simili. Chi ama il bel parlare e il bello scrivere non dirà, per esempio, “abbiamo calcolato il pro e il contro prima di prendere questa decisione”, ma “abbiamo valutato il pro e il contro”.

DATARE ─ verbo transitivo. Significa, propriamente, mettere la dataporre la data. Molti lo adoperano alla francese, dandogli un'intransitività (che non ha, appunto), nell'espressione a datare da... Si dirà, correttamente, a cominciare da... e simili.

DECLASSARE — verbo da lasciare ai gerghi ferroviario e marinaro. Una persona non si declassa, si rimuove da un incarico, da un posto. Ecco alcuni verbi che possono fare — secondo i casi — alla bisogna: deporre, retrocedere, rimuovere e simili.

ECLISSARSI ─ altro verbo francesizzante (s'éclipser). Gli amatori della buona lingua useranno, per dire che una persona è andata via furtivamente, i verbi italiani scompariresvignarselaandar via alla chetichella ecc.

ECONOMIZZARE ─ verbo che riprende pari pari il francese économiser. Chi ama la buona lingua dirà, italianamente, risparmiare o ricorrerà alla locuzione fare economia.

ESULARE — significa andare in esilio. Gli amanti della buona lingua non lo usino nell'accezione di essere estraneo e simili: quello che stai facendo esula dalle tue competenze.

FIGURARE — si eviti l'uso del verbo in oggetto nel significato di essere presente: alla cerimonia figuravano le massime cariche dello Stato.

FORMARE — non si adoperi questo verbo nell'accezione di costituire, rappresentare e simili. Non si dica, per esempio, l'appartamento in cui abito è formato da quattro stanze.

GIUBILARE — provare giubilo. È invalso l'uso di dargli l'accezione di mandare in pensione, collocare a riposo. Non tutti, però, giubilano nel momento di andare in quiescenza...

LUSINGARE — verbo adoperato nell'accezione di sperare, confidare e simili, soprattutto nel gergo commerciale: ci lusinghiamo di averla sempre come cliente. In uno scritto (e parlato) sorvegliato si dirà: confidiamo, speriamo di averla sempre come cliente.

(I vocabolari, però, non stanno tutti dalla parte di chi scrive...).

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La lingua "biforcuta" della radio

(GR 1 RAI - 19/06/2021 ore 8,00; voce femminile poco dopo l'inizio del GR)

 

"... libera scelta ... Mario Draghi sgombra il campo da ogni dubbio e dice sì al mix con prìncipi diversi ..."

 

Si tratta forse di curare il Co.Vi.D contratto da Biancaneve?

(da Pier Paolo Falcone)


giovedì 17 giugno 2021

CO.VI.D e inglese

 


Riceviamo e pubblichiamo

Open day, open night, open week, vax day, hub vaccinali, green pass (a dispetto di Draghi, che ha parlato di certificato verde)

Ho provato a fare un piccolo sondaggio con amici e conoscenti della mia età: pochi comprendono appieno cosa significhino queste “espressioni”.

Ormai ci si mette pure il serissimo generale Figliuolo, che non sa dire altro (in compagnia di politici, giornalisti, scienziati e sanitari) che “vaccination day”, “over 60” e “under 60”; arrivando all’obbrobrio (11 giugno): “le seconde dosi da fare sotto gli over 60”!

Vorrei che qualcuno mi spiegasse cosa capita a chi ha 60 anni giusti: va a farsi vaccinare a Dubai? Dove, tra l’altro, l’inglese lo conoscono piuttosto bene.

Pier Paolo Falcone

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Chi desidera intervenire può "postare" un commento in calce.

Sull'uso smoderato dei barbarismi rimandiamo a un nostro vecchio intervento.

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La lingua "biforcuta" della stampa

L'ARRESTO

Si aggira con una pistola carica per le vie di Trastevere: fermato il "Conte nero", pronipote di papa Pio II dal passato violento

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Il passato violento di Pio II o del pronipote? Questo, il dilemma!

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L'INTERVISTA

La pescatrice ingegnere che aiuta le donne del Perù

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Ancora una concordanza spallata (sic!). Correttamente: la pescatrice ingegnera.


mercoledì 16 giugno 2021

Verbo dire: uso e... abuso

 Alcune persone (anche gente di cultura e linguisti) sostengono che il verbo dire, finendo in –ire, appartenga /appartiene alla terza coniugazione, come finire, per esempio.

Non è affatto vero. Dire si classifica fra i verbi della seconda coniugazione – come temere – in quanto è la forma sincopata del latino di(ce)re.

Altre ancora ritengono che il predetto verbo è/sia correttamente adoperato solo nel suo significato proprio di esprimere con la voce, quindi proferire. E dove sta scritto?

Per il suo significato generico dire è usato – frequentemente e… correttamente – al posto di altri più propri e determinanti come, per esempio, soggiungere, rispondere e simili, ma non per questo è un uso errato. In uno scritto sorvegliato non bisogna, però, abusarne e ove possibile va sostituito con verbi che fanno alla bisogna. Come sempre pilucchiamo qua e là dai vari giornali e pubblicazioni. In corsivo il verbo dire e in parentesi quello appropriato.

Molti sono i concorrenti, disse (annunciò) il direttore, e qui disse (snocciolò) una serie di nomi; il giocatore ha avuto da dire (un diverbio) con l’arbitro; l’imputato, interrogato dal giudice, si è detto (dichiarato, protestato) innocente; amici cari, ora vi dirò (spiattellerò) in faccia la verità; Mario ha detto (proposto) a Federico di fare una gita al mare; ti dico (assicuro), mio caro, che le cose sono andate come ti ho detto (raccontato); il candidato, se eletto, ha detto (assicurato) che manterrà le promesse; credo che le cose siano andate in questo modo, ma non lo posso dire (affermare) con certezza; Giuseppe gli disse (confidò) in tutta segretezza ciò che aveva appreso.

martedì 15 giugno 2021

Cinque regole (o principi fondamentali) per un'ottima elocuzione.


 Si parla e si scrive bene, vale a dire correttamente, quando parlando o scrivendo si rispettano cinque princìpi fondamentali: purezza, proprietà, armonia, eleganza e convenienza. Esaminiamo, succintamente, ogni singolo principio.


Purezza: consiste nell'usare parole e frasi schiettamente italiane. Sono da evitare, per tanto, i barbarismi, cioè parole e costrutti introdotti, senza alcuna necessità, nella nostra lingua da altri idiomi: anglismi e francesismi la fanno da padroni.

Proprietà: consiste nell'usare quei termini che esprimono il nostro pensiero con somma precisione. Si ottiene la proprietà facendo un buon uso dei sinonimi, cioè di quei vocaboli che hanno un significato affine ma non identico come, per esempio, scalino e gradino; strillare e urlare. Chi parla e scrive con proprietà evita le ambiguità, le lungaggini e i così detti giri di parole.

Armonia: si ottiene evitando le cacofonie (cattivi suoni), le ripetizioni sgradevoli, i periodi troppo lunghi o costruiti malamente.

Eleganza: consiste nella semplicità e naturalezza dell'espressione. L'eleganza è anche grazia e leggiadria. Guai a esagerare nelle ricerca dell'effetto: si cade nella leziosaggine.

Convenienza: adoperare parole e frasi meglio adatte all'argomento e alle persone per le quali si scrive o si parla. Altro è un discorso (o uno scritto) per una solenne cerimonia, altro è una lettera familiare.

Chi rispetta queste cinque regole ottiene la chiarezza che è il maggior pregio dell'elocuzione.

domenica 13 giugno 2021

Rischievole...

 Non capiamo, proprio non capiamo, per quale motivo la totalità (quasi) dei vocabolari dell'uso ─ consultati ─  non lemmatizza/lemmatizzano l'aggettivo denominale "rischievole" preferendolo a rischioso (si vedano i commenti in calce). Eppure il lemma in oggetto è immortalato nella lessicografia della Crusca. Alcuni dizionari, pochissimi per la verità, attestano  "rischievole" sinonimo di rischioso, ma noi faremmo un distinguo: riserveremmo "rischievole" in costrutti impersonali, con uso neutro (è rischievole affidare i bambini a persone che non si conoscono); rischioso in tutti gli altri casi. Rischievole, insomma, si adopera/adopererebbe ─ come si evince dal suffisso "-evole" quando l'azione che si sta per intraprendere (o per fare svolgere) "potrebbe procurare, comportare" dei rischi. Attendiamo, naturalmente, gli strali e gli anatemi dei linguisti (o lessicografi) "ufficiali".

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La parola proposta da questo portale: gabbadeo. Sostantivo maschile che vale imbroglione, truffatore e simili. 

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La lingua "biforcuta" della stampa

L’ingegnere biomedico che per hobby (e lavoro) fa la promotrice turistica

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Correttamente: l'ingegnera biomedica. È il classico accordo spallato (sic!). "Sapere.it" (De Agostini):«Il femminile regolare di ingegnere è ingegnera, e così si può chiamare una donna che eserciti il mestiere di ingegnere. Alcuni preferiscono però chiamare una donna ingegnere, al maschile. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze». Ed è il caso del titolo in oggetto.


sabato 12 giugno 2021

L'avverbio ovvero il modificante




 Nessun sacro testo in nostro possesso specifica che l’avverbio è chiamato anche modificante perché modifica, per l’appunto, il significato di un verbo, di un nome, di un aggettivo o di un altro avverbio. L’avverbio, dunque, prende il nome dal latino adverbum, composto con ad- (accanto, presso) e con verbum (parola) e costituisce una delle nove parti del discorso. Non specificano inoltre — sempre i sacri testi in nostro possesso — che i modificanti (gli avverbi) si sogliono dividere in tre categorie: semplici, composti, derivati .

Sono semplici quei modificanti che non derivando da altre parole hanno forma autonoma: già; mai, bene; oggi, domani; ieri; forse; poco ecc. Sono chiamati composti quelli che in origine costituivano delle locuzioni avverbiali formate da due o più termini, poi fusi in un’unica parola (la così detta univerbazione): inoltre (in oltre); infatti (in fatti); indietro (in dietro); talvolta (tal volta) ecc. Si chiamano derivati, infine, i modificanti o avverbi che traggono origine da un termine mediante l’aggiunta di un suffisso, come -mente o -oni ( -one ): sereno/ serenamente ; bello/ bellamente ; onesto/ onestamente ; balzello/ balzelloni ; ginocchio/ ginocchioni ecc. E a proposito degli avverbi in "-oni" non capiamo per quale motivo i vocabolari li fanno precedere dalla preposizione "a": a cavalcioni. Non c'è alcun motivo logico-grammaticale che giustifichi l'uso (errato) della preposizione. Si dice, forse, a lentamente?

Accanto agli avverbi veri e propri ci sono le locuzioni avverbiali , che hanno il medesimo significato e la medesima funzione grammaticale dei modificanti. Sono frasi fatte costituite da gruppi di termini in sequenza fissa. Vediamone qualcuna: a poco a poco; or ora; a stento, d’ora in poi; all’improvviso; di frequente; per caso; di bene in meglio ecc.

E già che siamo in argomento vediamo - sia pure per sommi capi - i vari tipi di avverbi:
   a) di maniera o modo (male, meglio, bene, peggio, carponi, tastoni ecc);
   b) di tempo (oggi, ieri, domani, adesso, ora, mai, sempre ecc);
   c) di luogo (qua, qui, lí, là, costí, sopra, sotto, lassú);
   d) di dubbio (forse, probabilmente, se mai (o semmai)*;
   e) di affermazione (sí, certamente, appunto, davvero);
   f) di negazione (no, neanche, nemmeno, neppure);

   g) di quantità (abbastanza, poco, meno, piú, tanto, alquanto);
   h) presentativo.

E concludiamo con un pensiero di Giuseppe Pontiggia: «Praticamente – Avverbio prediletto per ridurre l'ignoto al noto. Popolare tra gli studenti. Praticamente il misticismo di Caterina da Siena. Praticamente ciò che non sarà mai pratico è pratico».


martedì 8 giugno 2021

Ancora un ritocco "irruento" dei revisori del vocabolario Gabrielli (in rete)

 Ci piacerebbe tanto conoscere il motivo per cui i redattori-revisori hanno “ritoccato” il vocabolario Gabrielli in rete contraddicendo, al lemma “irruente”, quanto sostiene il Maestro nel suo “Si dice o non si dice?”.

irruente
[ir-ruèn-te]
o irruento
agg. (pl. -ti)

Ed ecco ciò che scrive il Gabrielli nel suo libro:

      Si dice “una folla irruenta” o “una folla irruente”? “Parlava con tono irruento” o “con tono irruente”? Si dice folla irruentetono irruente, per la semplice ragione che un maschile singolare “irruento” e un femminile “irruenta”, coi rispettivi plurali “irruenti” e “irruente”, nella lingua italiana non esistono. Esiste solo la forma irruente, unica per il maschile e il femminile, e di conseguenza un solo plurale, irruenti. Volete una spiegazione più convincente? Eccola: irruente è un aggettivo modellato sul latino irruentem, caso accusativo del participio presente del verbo irrùere, correre contro, irrompere.

       Nota bene: nell’etimologia latina di nomi e aggettivi quasi sempre dobbiamo risalire al caso accusativo: per chi conosca un po’ di analisi logica, è il caso del complemento oggetto. Esempio: vedente deriva da videntem, participio presente accusativo di videoamante viene da amantem, participio presente accusativo di amo eccetera.

Tornando a irruente, in italiano segue la forma di qualsiasi participio presente della seconda coniugazione come ad esempio, correntevincente, che nessuno penserebbe mai di mutare in “corrento”, “vincento”.

        "Irruento", per la verità, è lemmatizzato anche in altri vocabolari, ma non per questo è da ritenere voce corretta.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Green pass, via libera del Parlamento Ue: ecco come viaggeremo dal 1° luglio

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Correttamente: dal 1 luglio (senza esponente). Crusca: Le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870»". Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, "Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]."





 

lunedì 7 giugno 2021

Delizioso e... delizievole


 Chissà perché i vocabolari non attestano "delizievole" preferendo  delizioso. Eppure, a nostro modo di vedere, è un aggettivo perfettamente in regola con le norme orto-sintattico-grammaticali: quell'abito è veramente "delizievole", desta, cioè, delizia. È un aggettivo deverbale della seconda classe essendo composto con il verbo "deliziare" e il suffisso "-evole". Se da lodare abbiamo lodevole, da ammirare ammirevole, da girare girevole e via discorrendo, perché da deliziare non dovremmo avere delizievole? Faremmo un distinguo, però, tra i due aggettivi: delizioso per qualcosa che ha dato piacere (è stato uno spettacolo delizioso); delizievole per qualcosa che può procurare piacere, godimento (spero che il libro che mi hanno regalato sia delizievole). I lessicografi ci facciano un... pensierino. Delizievole, "schifato" dai vocabolaristi, si trova, comunque, in alcune pubblicazioni.


domenica 6 giugno 2021

Evitiamo i troppi "tagli"


 Quando scriviamo ─ e forse senza rendercene conto ─ adoperiamo il verbo tagliare in tutte le salse, come usa dire; ciò rende i nostri scritti poco "appetibili" e disturbano il lettore. Evitiamo, quindi, i troppi "tagli" adoperando i vari sinonimi ─ quando possibile ─ del verbo "incriminato"; le nostre "opere letterarie" saranno molto più leggibili. 

Vediamo, piluccando qua e là, le proposizioni  in cui il verbo tagliare può essere sostituito da un sinonimo, oltre tutto più appropriato. In corsivo il verbo tagliare e in parentesi il sinonimo. 

Gli assassini hanno tagliato in quattro pezzi (squartato) il corpo della vittima; dopo l'incidente i medici hanno dovuto tagliare (amputare) la gamba schiacciata dalle ruote del tram; in alcuni Stati arabi usano tagliare (mozzare) la mano ai ladri; nel mese di giugno si taglia (miete) il grano mentre a maggio, luglio e settembre si taglia (falcia) il fieno; il boia ha eseguito la sentenza tagliando (recidendo) nettamente la testa del condannato; i rami degli alberi  vanno tagliati (troncati) di tanto in tanto; il piccolo Lucio ha tagliato le penne delle ali  (tarpato le ali) al pappagallo per non farlo volare.

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Ancora un "test" del sito "Libreriamo" per mettere alla prova la (nostra/vostra) conoscenza "perfetta" della grammatica della lingua italiana.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Vaccini, a Torino ora è più facile: si può cambiare con un click data e luogo dell'appuntamento

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Correttamente: si possono cambiare (gli elementi sono due).


venerdì 4 giugno 2021

«Scrivere per il "Sole24ore"»


 Ci siamo imbattuti ─ casualmente ─  nel sito "Come si scrive per il Sole24ore", "navigandolo" abbiamo notato alcune inesattezze, per non definirle errori, che ─ a nostro avviso ─ vanno corrette per non confondere i lettori.

 A CAPO

Nei gruppi di tre o più consonanti la divisione va fatta fra la prima e la seconda: inter-stizio, scon-tro, pol-trona;  queste regolette vanno applicate anche alle parole composte con un prefisso come trans, iper, sub, super: quindi tran-salpino e non trans-alpino, iperat-tivo e non iper-attivo, superat-tico e non super-attico.

Con le parole composte con i prefissi la divisione in sillabe si può fare anche considerando il prefisso sillaba a sé, quindi: trans-al-pi-no o tran-sal-pi-no

CHE

Non dire: «Il giorno che arrivò», ma: «Il giorno in cui arrivò».

Si può dire (anche se non bello stilisticamente) "il giorno che arrivò" perché si tratta del cosí detto che polivalente.

 CONCORDANZE

Nei riflessivi apparenti il participio passato concorda col soggetto («Mi sono lavato le mani»; «I medici si sono riservati la prognosi»).

Si può concordare anche con l'oggetto (essendo, appunto, un riflessivo apparente): mi sono lavate le mani o mi sono lavato le mani.

DERIVATI

Presidente, forma sostantivata del participio presente di presiedere, mantiene il maschile anche se riferito a donna. Idem per ministro e architetto. Esempi: il presidente (e non la presidentessa) della Camera; il ministro Livia Turco. Alla stessa stregua: avvocato e non avvocatessa; vigile e non vigilessa; giudice e non giudichessa.

Femminili corretti: la presidente del Senato; la ministra dell'Interno; l'avvocata Brambilla; la giudice Susanna; l'architetta Sofia; la vigile Serafina; l'ingegnera Clotilde; l'assessora Silvana; la consigliera Stefania; la sindaca Filomena; la magistrata Irene; la soldata Patrizia; la medica (sic!) Valeria*; la capa** (sic!) dell'ufficio.

FORME IMPROPRIE

«Secondo noi, secondo l’oratore» ecc. Ma non: «Secondo i casi». In tale espressione si dice: «A seconda dei casi, a seconda delle circostanze».

Si possono adoperare, indifferentemente, entrambe le locuzioni: secondo i casi o a seconda dei casi.

 PIOVERE 

Ieri è piovuto, non ha piovuto. Questo verbo vuole “essere” e non “avere” come ausiliare.

Piovere, come tutti i verbi "meteorologici", prende l'ausiliare "avere" quando è indicata la durata del fenomeno: ieri ha piovuto dalle 16.00 alle 21.00; oggi non è piovuto.

NOMI COMPOSTI  (impropriamente, perché non si tratta di nomi composti)

Vicepresidente, e non vice-presidente; vicedirettore, e non vice-direttore. Allo stesso modo maxijoint, e non maxi-joint; superindice e non super-indice. Nel caso, però, di scontro di due vocali uguali usare il trattino. Quindi: maxi-intesa o mega-accordo.

Sempre senza trattino. Se si "scontrano" due vocali la prima "assorbe" la seconda: maxintesa; megaccordo. Si ha la crasi, insomma.

 DIFFIDARE

 Si diffida qualcuno a fare qualcosa. O si diffida da qualcuno che non ci piace del tutto.

Si diffida "di" qualcuno (non "da" qualcuno).

Se stesso (e non sé stesso). Ma «sé stessi» (perché si può confondere con «se io stessi» e «se tu stessi» e «sé stesse» (perché si può confondere con «se egli stesse»).

Il pronome sé seguito da stesso e medesimo conserva (sempre) l'accento; non c'è un motivo logico-grammaticale per ometterlo (la "regola" citata nella parentesi è una... regola fantasma).

Sfilare è transitivo se deriva da filo (sfilare una collana), è intransitivo se deriva da fila (sfilata militare). Nel primo caso, ausiliare avere (egli ha sfilato un bracciale), nel secondo caso, essere (gli alpini sono sfilati).

Sfilare nell'accezione di "camminare, marciare" si coniuga con l'ausiliare avere, per analogia con i verbi sopra citati: gli alpini hanno sfilato (marciato) per le vie della città. 

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 * Nota d'uso ("Sapere.it" De Agostini)

  Il femminile regolare di medico è medica, e così si può chiamare una donna che eserciti il mestiere di medico. Alcuni preferiscono però chiamare anche una donna medico, al maschile. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche, ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze.

** Nota d'uso ("Sapere.it" De Agostini)

Il femminile regolare di capo, nel significato di persona che esercita un comando o dirige un’impresa, è capa, e così si può chiamare una donna che svolge tale funzione; tuttavia, poiché questa forma ha spesso un uso scherzoso, molti preferiscono chiamare anche una donna capo, al maschile. Si tratta di una scelta, però, che può creare nel discorso qualche problema per le concordanze.

Potremmo continuare...

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La lingua "biforcuta" della stampa

SCUOLA

Speciale Maturità Ecco come si svolgerà quest'anno tra mascherine, elaborato e maxi esame orale | Il dossier

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Non ci stancheremo mai di ripeterlo: i prefissi e i prefissoidi si scrivono "attaccati" alla parola che segue: maxiesame.

Treccani: maxi-. – Primo elemento di parole composte formate modernamente, tratto dal lat. maxĭmus «massimo» per tramite dell’inglese e in contrapp. a mini-, usato per indicare dimensioni o lunghezze superiori al normale; originariamente adoperato nel linguaggio della moda (per es., maxigonna, maxicappotto) e anche nel linguaggio sport. (per es., maximoto), è molto frequente in ambito giornalistico e nell’uso com. in luogo di perifrasi di analogo sign.: maxitruffa, maxitamponamento, maxirissa.