La pigrizia è il rifiuto di fare non soltanto ciò che annoia, ma anche quella moltitudine di atti che senza essere, a rigore, noiosi, sono tutti inutili; allora la pigrizia dev’essere considerata una fra le manifestazioni più sicure dell’intelligenza.
Questo pensiero di Montherlant ci ha dato lo spunto
per intraprendere un breve viaggio attraverso la sterminata foresta del
vocabolario della lingua italiana alla ricerca di parole di tutti i
giorni, di parole che adoperiamo per pratica il cui
significato nascosto, però, non sempre è noto. Questo viaggio fa
tappa, dunque, alla voce pigrizia.
Il significato scoperto è chiaro a tutti: il non far
nulla; stato di svogliatezza; stato d’animo di chi non si dedica a
nessuna attività fisica o intellettuale. Bene.
Ma qual è il significato che sta dentro la parola? In altre parole, donde viene
questo sostantivo? Per scoprirlo occorre rifarsi al padre della nostra lingua,
il solito nobile latino: pigrizia, derivato dell’aggettivo (latino,
appunto) piger (pigro).
Ma abbiamo scoperto ben poco… Che fare? Poiché la pigrizia è un deaggettivale,
vale a dire un sostantivo che discende da un aggettivo, dobbiamo esaminare il
padre. Questo è, appunto, il latino piger, affine al verbo
impersonale piget (essere increscioso, di peso,
spiacersi, fare controvoglia). Il pigro quando fa una cosa, se la fa, non
la fa controvoglia? Spesso non è di peso agli altri?
Ma l’esame non è finito. Ci sono alcuni Autori che vogliono il latino piger discendere
dalla medesima radice di pinguis (pingue, grasso),
donde il senso di pesante. La persona pigra non è moralmente pesante?
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