di Salvatore Claudio Sgroi
Il
lungo e "grasso" (avrebbe detto Tomasi di Lampedusa) articolo di Ugo Iannazzi (ben 12 pp.) La difesa dei nostri patrimoni linguistici sopraffatti
dall’inglese, appena apparso in Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021,
scandito in 6 §§ non numerati, di diversa lunghezza, rivela già nel titolo il
punto di vista di un neo-purista, non-linguista, dinanzi al problema
degli anglicismi.
Il che suscita in me la curiosità di analizzare dati e argomentazioni di un neo-purista. Il problema della "difesa" della lingua nativa in termini sociolinguistici riguarda il tema della "fedeltà linguistica" al proprio idioma materno (L-1) rispetto agli altri idiomi (lingue o dialetti) (L-2).
È, com'è noto, un universale linguistico che lingue di comunità diverse "in contatto" si influenzino tra di loro e che la lingua di maggior prestigio internazionale, culturale, scientifico, politico, ecc. influenzi in misura diversa l'altra, a livello grafo-fonologico, morfologico, sintattico, lessicale, testuale. Il che costituisce un arricchimento per la lingua ricevente, soprattutto a livello lessicale. È questo il caso dell'italiano (Lingua-1) rispetto all'inglese/anglo-americano (Lingua-2).
Ma una L-2 può anche arrivare a scalzare del tutto la L-1, che finisce con lo scomparire in una comunità. Il che è un'ovvia perdita per la ricchezza idiomatica nel mondo.
Nell'articolo di U. Iannazzi ci si sofferma a lungo sui casi di interferenza lessicale tra inglese e italiano, ovvero sugli anglicismi lessicali (non sui calchi semantici o strutturali, più difficili da individuare per un non-linguista) che vengono giudicati, in maniera inaccettabile per un linguista, come ess. di "sgretolamento", "svilimento", "danno" della lingua, di "lingua infarcita di forestierismi", di "terminologia infarcita di anglicismi", di "criptica crudeltà", di "comportamento molto provinciale e masochista" degli italiani, di "lingua spudoratamente adottata dal nostro mondo politico", di "degenerazione di molti italiani ad abbandonare la nostra lingua per abbandonarsi nell'idioma inglese", di "guasti (...) nei confronti dell'italiano", di "inglese di troppo [che] inquina l'italiano", di "corruzione linguistica dell'italiano", di "sperper[o] [del]la nostra lingua", di "disgregazione e annichilimento linguistico", ecc.
Anche per un dialettologo come Luciano Giannelli nel suo contributo nella stessa sede "Riflettendo sui sopraffatti", ci troviamo dinanzi a una "immissione orgiastica di lessico inglese e costrutti inglesi", per es. multitasking, multiuso, scuolabus, corona virus.
Lo stesso Giannelli ritiene che occorra "contrastare il degrado della lingua" dovuto agli anglicismi e dichiara il suo "sostegno" per i "non molti intellettuali [come U. Iannazzi] che si spendono" in tal senso, augurandosi che "la scuola" e le "scuole di giornalismo" si pongano tale problema.
Solo en passant, U. Iannazzi si sofferma sul fatto che "il Politecnico di Milano, tradendo incredibilmente l’italianità, sti[a] tentando di svolgere i loro corsi non più nella nostra lingua (!), ma solo in [...] inglese [...], tentativo [...] per fortuna considerato incostituzionale". "Promuovere l’internazionalismo linguistico è un’aspirazione legittima, che si concretizza nel pluralismo. Altra cosa -- continua condivisibilmente Iannazzi -- è il procedere con metodi, che si configurano come sottomissione culturale, di tono quasi colonialista, a un monolinguismo globale".
Il che significherebbe invero una "infedeltà" verso la lingua nativa anche per me inaccettabile. Si tratta insomma della vera "fedeltà" alla lingua irrinunciabile, ovvero di una "macro-fedeltà" alla L-1, rispetto alla quale gli anglicismi, in quanto interferenze linguistiche, sono solo secondarie "micro-infedeltà".
Rifiutare invece i "doni stranieri" (come li definisce Mario Alinei) significherebbe rasentare l'"autarchia" linguistica, e limitare le possibilità espressive-comunicative e cognitive della lingua.
Molto esplicito nei riguardi della "macro-fedeltà linguistica" è inoltre l'intervento di Giannelli, che si sofferma sui problemi della "pianificazione linguistica" in vari paesi d'Europa e in America Latina.
Questa la narrazione neopuristica dei diversi §§ del saggio di U. Iannazzi, alla luce delle mie reazioni di linguista-laico:
§ 0. Premessa catastrofista sulla dinamica della lingua italiana, inaccettabile.
§ 1. "L'italiano nel mondo" con dati sugli italofoni nel mondo non controllabili.
§ 2. "L'invasione dell'idioma inglese nell'italiano" con concezione del funzionamento delle lingue e terminologia impertinente e inaccettabile ("invasione" ecc.), come sopra indicato (§ 3).
§ 3. "Addizione ed erosione", inaccettabile nell'analizzare il rapporto dell'influenza dell'inglese sull'italiano, ma con ricca -- ed apprezzabile -- esemplificazione di anglicismi lessicali, fin troppo diffusi (e-mail, abstract, audience, bluff, brandy, ecc.) "tratti da un quotidiano e due settimanali (quali?), da "alcuni programmi televisivi" (non precisati), per ognuno dei quali si indicano dei traducenti italiani definiti degli "onesti vocaboli", così già li definiva R. Coluccia nella sua rubrica domenicale "Parole al Sole" in <www.quotidianodipuglia.it>, come se gli anglicismi fossero lessemi "disonesti".
La filosofia del neo-purista è, come noto, quella logicistica dei "vocaboli per necessità d'uso" distinti da quelli giudicati "di lusso".
Gli anglicismi sono poi utilmente distinti in tre ricchissimi gruppi (più che "elenco molto sintetico") con vari commenti: A) anglicismi di ambito politico, B) anglicismi dell'informazione e della pubblicità, C) anglicismi dei media al tempo del Coronavirus. E un'appendice interlinguistica sui vari traducenti di lockdown in più lingue. Ma sarebbe stato ben più utile riportare le frasi in cui tali anglicismi occorrono, per coglierne i precisi valori.
Per Iannazzi si tratta de "la tragedia della sostituzione" che dimostra che "i citati vocaboli inglesi sono ormai stati assimilati stabilmente nella nostra povera[!] lingua italiana". Quando invece è la prova di un arricchimento dell'italiano e di una possibilità in più a disposizione del parlante.
Iannazzi sembra al riguardo non tener conto di quanto scrive nel § successivo "L'Italiano è nelle mani dei nostri governanti e dei nostri concittadini", dove si sofferma opportunamente su "l’uso, signore assoluto del linguaggio, fonte del suo diritto e sua legge". Dove pure ricorda che "Le acute parole di Orazio ci dicono come sia l’uso, che ne fanno i parlanti, a decretare il mantenimento in vita di una lingua.".
E questo vale naturalmente per tutti i "doni" stranieri integrali, variamente adattati o ricalcati.
Per una mia più esplicita concezione laica, antipuristica, sul tema della macro-fedeltà e micro-infedeltà linguistica nel rapporto tra l'italiano e l'inglese il lettore potrà rifarsi a vari miei interventi in questo blog. Per un'analisi più sistematica rinvio invece a un mio intervento apparso il 3 aprile 2016 nel sito della Treccani I "doni" ovvero le "importazioni" dell'inglese in italiano, in “Speciale nella sezione Lingua italiana del portale Treccani.it sulla vexata quaestio del morbus anglicus” a cura di Silverio Novelli.
Sommario
1. L'evento culturale
2. Il punto di vista del linguista
3. Gli anglicismi (neopuristicamente) ess. di "sgretolamento" dell'italiano e di "comportamento masochista" degli italiani?
4. L'inglese al posto dell'italiano?
5. Narrazione neopuristica nei 6 §§
5.1. "Adozione linguistica e protezionismo"
5.2 "Le traduzioni
tecno-digitali"
6. Per chi voglia saperne di più
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