Ci è capitato, infatti, di sentire una frase che ci ha fatto rizzare i capelli:
«Sei contento del complemento che hai ricevuto questa mattina?». Dobbiamo
anche dire che l'autore di questo svarione non è una persona sprovveduta. Ma
tant'è. Vediamo, quindi, di fare chiarezza in merito.
Entrambi i vocaboli, pur provenendo da uno stesso padre, il verbo latino complère (compire, completare), hanno significati distinti; quello con la i (complimento), oltre tutto, ci è stato restituito dallo spagnolo cumplimiento, divenuto — per il solito processo linguistico — complimento, appunto. Quello con la e (complemento) è, invece, il diretto discendente del latino complementum (da complère, come abbiamo visto).
Stabilita la diversa grafia, vediamo i diversi significati cominciando dalla voce spagnoleggiante complimento. Il complimento, dunque, nell'accezione generica è una dimostrazione di ossequio, di fede, di gentilezza; è, insomma, una parola che esprime rispetto, garbo, ammirazione, rallegramenti e, per estensione, un meridionalismo che indica un rinfresco, un ricevimento: i promessi sposi offriranno un complimento nuziale. Ancora. Il complimento, nel gergo teatrale, nei tempi andati, era anche un brevissimo discorso di saluto e di presentazione che i primi attori indirizzavano al pubblico all'inizio o alla fine dello spettacolo.
E vediamo il complemento, quello con la e. Questo termine ha varie accezioni:
1) quanto si aggiunge a una cosa per renderla compiuta, per finirla, per... completarla;
2) ciascuno elemento nominale della proposizione che, insieme con il soggetto, con il predicato (verbo), con l'attributo, con l'apposizione, serve a determinare o compierne il senso; è, insomma, un elemento che completa la proposizione. Nel gergo militare (quando la leva era obbligatoria) gli ufficiali non di carriera vengono/venivano denominati di complemento, infatti, perché servono/servivano a completare i quadri dell'esercito e possono/potevano essere richiamati in caso di necessità.
Entrambi i vocaboli, pur provenendo da uno stesso padre, il verbo latino complère (compire, completare), hanno significati distinti; quello con la i (complimento), oltre tutto, ci è stato restituito dallo spagnolo cumplimiento, divenuto — per il solito processo linguistico — complimento, appunto. Quello con la e (complemento) è, invece, il diretto discendente del latino complementum (da complère, come abbiamo visto).
Stabilita la diversa grafia, vediamo i diversi significati cominciando dalla voce spagnoleggiante complimento. Il complimento, dunque, nell'accezione generica è una dimostrazione di ossequio, di fede, di gentilezza; è, insomma, una parola che esprime rispetto, garbo, ammirazione, rallegramenti e, per estensione, un meridionalismo che indica un rinfresco, un ricevimento: i promessi sposi offriranno un complimento nuziale. Ancora. Il complimento, nel gergo teatrale, nei tempi andati, era anche un brevissimo discorso di saluto e di presentazione che i primi attori indirizzavano al pubblico all'inizio o alla fine dello spettacolo.
E vediamo il complemento, quello con la e. Questo termine ha varie accezioni:
1) quanto si aggiunge a una cosa per renderla compiuta, per finirla, per... completarla;
2) ciascuno elemento nominale della proposizione che, insieme con il soggetto, con il predicato (verbo), con l'attributo, con l'apposizione, serve a determinare o compierne il senso; è, insomma, un elemento che completa la proposizione. Nel gergo militare (quando la leva era obbligatoria) gli ufficiali non di carriera vengono/venivano denominati di complemento, infatti, perché servono/servivano a completare i quadri dell'esercito e possono/potevano essere richiamati in caso di necessità.
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La parola proposta da questo portale: procerità.
Sostantivo femminile di origine dotta (latina) che vale "grandezza",
"altezza". È tratto dal latino proceritate(m),
da procerus, alto, slanciato.
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