martedì 11 settembre 2018

Sgroi - Il "mio" Nencioni, linguista "puro" (non purista)


Il prof. Salvatore Claudio Sgroi, dell’università di Catania, ricorda il presidente emerito dell’Accademia della Crusca, Giovanni Nencioni, a dieci anni dalla scomparsa.

di Salvatore Claudio Sgroi

 1. Chi era Giovanni Nencioni?
Come emerge dalla nutrita bibliografia (1929-2003) in rete nel sito dell'Accademia della Crusca,  Nencioni si caratterizza innanzi tutto come studioso di formazione giuridica (1929-1935), laureato con P. Calamandrei nel 1932 e tesi edita nel 1935, con una promettente carriera di giurista però non proseguita.
Poi, per 10 anni (1936-1946) funzionario al Ministero della P.I., ministro G. Bottai.
Quindi, per un altro decennio (1939-1950) glottologo, allievo di V. Bertoldi, e prof. di Glottologia nel 1944-45, a Roma, al posto dell'epurato Antonino Pagliaro.
Nel successivo cinquantennio -- 1950-2000 -- prof. di Storia della lingua italiana a Bari e a Firenze, e di Linguistica Italiana a Pisa. Per oltre un trentennio (1972-2000) presidente alla guida dell'Accademia della Crusca.

1.1. Autore di saggi "aperti" avveniristici
Nencioni è autore di oltre 250 titoli, con netta preferenza per saggi capaci di intravedere e additare strade per la futura ricerca, rispetto a opere sistematiche o manualistiche.
Saggi che lo definiscono: a) storico della lingua italiana (da Dante ai giorni nostri), b) storico del pensiero linguistico italiano (dal '500 ai giorni nostri), c) filologo tout court di testi del '500 e del '900.
Ma qui mi piace privilegiare il linguista teorico, la cui formazione giuridica e glottologica lo mette al riparo da ogni tentazione "neo-puristica".
Poche citazioni testuali -- spesso anti-convenzionali e tutt'altro che eufemistiche -- servono a definire il suo orizzonte teorico sul linguaggio umano e le lingue storico-naturali.

2. L'oggetto della linguistica
L'oggetto della glottologia/linguistica è per Nencioni la realtà linguistica, ovvero la lingua della eterogenea e mobilissima collettività dei parlanti nella triplice funzione bühleriana rappresentativa, comunicativa ed espressiva. Saussurianamente la lingua, oltre ad essere "una delle istituzioni umane", è un complesso di elementi interdipendenti e coerenti, che formano un tutto unitario, risultante dalla compenetrazione di tre sistemi (fonetico, morfo-sintattico e lessicale). Il cui funzionamento è caratterizzato da un "dinamismo metabolico" con tendenze innovative del singolo parlante, dettate da cause interne ed esterne, e innovazioni che devono trovare compatibilità strutturali e sociali nel tempo e nello spazio.

2.1. Caratteri del linguaggio verbale
Illuminanti, decisamente anti-convenzionali, certe sue definizioni delle proprietà del linguaggio verbale. Da quella più neutrale: «la lingua propriamente detta viene usata, prima o poi, a tradurre tutte le esperienze umane», a quella, certamente, meno convenzionale e più sorprendente: «una lingua intera deve disporre di mezzi per significare tutti i sentimenti e le idee dell’uomo, anche i più abbietti», ovvero in termini più crudi e meno eufemistici: «una lingua veramente comune deve essere in grado di dar voce a tutta l’esperienza d’un popolo, anche ai gerghi, al turpiloquio e alla bestemmia».

2.2. Lingua vs teoria linguistica
Nel rapporto tra lingua e teoria linguistica, se la teoria dev'essere coerente, priva di contraddizioni, e semplice, la sua adeguatezza rispetto all'oggetto è sempre relativa e approssimativa. In termini icastici Nencioni dichiara ai lettori de "la Crusca per voi": «Le lingue naturali non sono algebriche e danno scacco matto ai grammatici e ai loro volenterosi settatori. Mi verrebbe la voglia di maledirle se non fossi loro creato e vassallo». E così continua: «Per superare le ambiguità, le arcaicità, le lacune che la affliggono, e rendere chiara, univoca, attuale la comunicazione [la lingua] confida nell’intuito, nelle capacità d’integrazione e d’interpretazione, nella collaborazione insomma dell’interlocutore e del lettore. Essa è un atto non di sola intelligenza ma di vita, non di sola comunicazione ma di comunione».

3. Ruolo dell'insegnante e della Scuola nell'educazione metalinguistica e linguistica
Qual'è il ruolo dell'insegnante dinanzi alla continua variabilità della grammatica della lingua e alla tendenziale fissità della grammatica dei grammatici? «La grammatica della lingua -- avverte Nencioni --è più ampia e più mobile di quella dei grammatici».
Secondo Nencioni, per quanto riguarda l'educazione meta-linguistica, lo studio cioè della grammatica teorica, «L’insegnante di lingua potrà profittare di questo stato di agitazione [dell’italiano] non per violare la norma necessaria o per rinnegarla, ma per spiegarne la natura e per togliere di mezzo tante false regole grammaticali enunciate da una tradizione razionalistica e restrittiva, ripristinando le flessuose libertà di cui la nostra lingua godeva in antico e che, represse nello scritto, si sono mantenute nel parlato».
Riguardo invece all'educazione linguistica, al potenziamento cioè della competenza della lingua a livello di comprensione e produzione, parlata e scritta, per Nencioni, "Soltanto la scuola può dare al giovane la consapevolezza del suo primo bene, la lingua; soltanto la scuola può insegnargli, fuori di un utopistico spontaneismo, a conquistarla e dominarla pienamente nei suoi vari registri, orali e scritti, e può infine mantenerlo in contatto coi testi ‘classici’, del nostro passato".

3.1. Norma ed errore
Qual'è la soglia che separa la norma dall'errore per Nencioni? "Una giusta spregiudicatezza nei confronti della norma e dell’errore, -- sostiene Nencioni -- e la capacità di trasformare i dubbi in problemi suscitando nei giovani la responsabilità della lingua che li realizza come individui e come cittadini, sono frutto di una cultura storica e tecnica che l’Università – dobbiamo riconoscerlo – non ha saputo, fino ad oggi, impartire ai futuri insegnanti".
Se Nencioni da un lato non può non ritenere come scorretti gli usi poco comunicativi della lingua da parte di qualsiasi tipo di parlante, dall’altro non ha dubbi nello stabilire la soglia da non superare per non incorrere nell’errore. Tale soglia è costituita dal cosiddetto «italiano popolare», ovvero nella sua 'tastiera' (o architettura) della lingua nazionale, dall'«italiano deficitario» o «italiano selvaggio».

3.2. Nencioni e gli esotismi
Quanto al problema degli esotismi, ovvero degli angli(ci)smi, la sua posizione è 'laica', libertaria dinanzi agli anglicismi tecnologici in quanto internazionalismi: «nel mondo scientifico e tecnologico in cui viviamo fare opera di purismo linguistico (...) -- sostiene Nencioni -- equivarrebbe a chiudersi in una cultura nazionalistica, inconcepibile, se non come determinazione politica, nella cultura internazionale e scientifico-tecnologica cui oggi partecipiamo».
L'Autore ribadisce ciò col richiamo allusivo a Machiavelli: «un isolamento puristico della lingua nazionale è -- scrive Nencioni -- improponibile, anche perché un antico fiorentino ci ha autorevolmente insegnato che ‘le lingue non possono esser semplici, ma conviene che sieno miste con l’altre lingue’».
Quanto agli anglicismi comuni, di moda, transeunti, egli ritiene che tale problema rientri nell'ambito dell'Educazione linguistica, che deve perseguire il fine di un insegnamento di una lingua consapevolmente chiara e rigorosa, i cui esempi dovrebbero essere forniti dai mass media cartacei e radio-televisivi.

4. Il credo epistemologico di G. Nencioni
In conclusione, volendo definire l’orizzonte epistemologico di Giovanni Nencioni, si può pertinentemente attribuire a lui quanto egli scrisse a proposito del classicista Giovanni Puglisi Carratelli, propugnatore di una «concezione umanistica del conoscere scientifico» ispirata a Ippocrate e a Tucidide, caratterizzata da tre momenti distinti ma inseparabili: a) interpretazione del passato (anamnesi), b) intelligenza del presente (diagnosi), c) previsione per comprendere il presente (pronoia), rinunciando nel contempo al miraggio di una conoscenza totale della realtà, ovvero con la consapevolezza del carattere relativistico del sapere, che è sempre relativo ai criteri di interpretazione del divenire umano.

(Per le fonti delle citazioni cfr. S.C.Sgroi, Maestri della linguistica italiana, Alessandria, Edizioni dell'Orso 2017, capp. I-II-III).

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