Epitalamio - Sostantivo maschile composto con le voci
greche "epì" (dinanzi) e "thàlamos" (letto nuziale o giorno
delle nozze). Componimento poetico in occasione di uno sposalizio.
Erubiscente - Aggettivo tratto dal verbo latino
"erubèscere" (arrossire) e vale "che diventa rosso" per
vergogna o per pudore.
Faldistorio o faldistoro - Sostantivo maschile
tratto dal germanico "Faldastol" (sedia) e questo dal basso latino "faldistorium"
e indica un sedile pieghevole (senza spalliera) usato dal papa e dai vescovi in
alcune funzioni sacre. In passato era adoperato anche da regnanti e nobili.
Flebotomo - Sostantivo maschile e aggettivo, indica la
persona che in passato faceva salassi. È composto con le voci greche "phleps"
(vena) e "tomos" (che taglia). Attualmente viene adoperato,
spregiativamente, per indicare un chirurgo mediocre.
Gipsoteca - Sostantivo femminile. Formato con
le voci greche "gypos" (gesso) e "thèke" (deposito,
raccolta) indica un museo in cui sono esposti calchi in gesso di statue e
bassorilievi di illustri artisti.
Lalofobia - Sostantivo femminile con il quale
si definisce la paura morbosa di parlare; l'avversione alla loquacità. Dal
greco "làlos" (loquace) e "fobìa" (timore, paura).
Lutolento o lutulento - Aggettivo che
significa "fangoso", "sudicio", "sporco". Dal
latino "lutum" (fango).
***
A proposito di "onde" e l'infinito
Alcuni lettori
hanno contestato la nostra condanna circa l'uso di onde seguito da un infinito (intervento
del 27 scorso) sostenendo che l’hanno adoperato il Leopardi, il Parini, persino il
purista Leonardo Salviati, per non parlare del Tommaseo (al punto 6) che lo ha registrato
nel suo vocabolario. E che cosa significa? Un uso improprio è e un uso
improprio resta!
Onde è un avverbio
di moto da luogo, è il latino unde, e
significa da dove: “onde venisti?, quali a noi secoli...” (Carducci). Da questo
significato primitivo sono derivati tutti gli altri, sempre con valore di
provenienza. Abbiamo, così, onde adoperato come pronome invariabile nel senso
di di cui, da cui, con cui, per cui: «i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi onde (di cui)
cotanto ragionammo insieme» (Leopardi). Quando in onde manca l'idea della
provenienza, insomma, è bene non adoperarlo.
Vediamo ciò che
dice in proposito il linguista Giuseppe Pittàno: «Il significato fondamentale
dell’avverbio onde (...) è quello di da
quale luogo, da chi: onde vieni?
onde ti viene tanto coraggio? (...) Abbastanza frequente è l’uso di onde più
l’infinito: ti scrivo onde informarti, accorse onde aiutarlo. Si tratta di un
uso condannato dai grammatici che consigliano di ricorrere in questi casi alla
preposizione per: ti scrivo per informarti, accorse per aiutarlo». Il linguista
Basilio Puoti - esagerando - affisse a
una parete del suo studio un cartello con la scritta: «Chi usa 'onde' in
iscambio di 'affinché' o di 'per' è un solenne somaro!». Vincenzo Ceppellini
nel suo "Dizionario Grammaticale" scrive che è scorretto l'uso (di
onde) con l'infinito («Accorremmo sul posto per [e non onde] recare aiuto ai
feriti»). Il vocabolario Palazzi: « ónde avv. di luogo, di dove; donde ll pron.
di che, del quale, per il quale, con 'che: i mali onde era afflitto ll cong.
affinché: te lo dico, onde ti serva di regola il dal che, per il che: onde
avvenne che tutti corsero là ll M.E. evita di usare onde con l'infinito: onde
raggiungere gli amici; dirai meglio: per raggiungerli». A questo punto, amici,
seguite la vostra "coscienza linguistica".
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