La lingua italiana è piena di trappole sonore: parole che si assomigliano nella forma, che condividono suffissi e cadenze, ma che divergono radicalmente nel senso. È proprio questa somiglianza esteriore che induce a errori di comprensione o di uso, soprattutto quando il ritmo fonetico sembra suggerire una parentela semantica inesistente. Tra i casi più insidiosi c’è la coppia collusione e illusione: due termini che si vestono dello stesso finale in ‑usione, eppure abitano universi lontanissimi.
Collusione è parola dura, tecnica, che appartiene al linguaggio giuridico e politico. Indica un accordo segreto e fraudolento tra più soggetti, un’intesa occulta che viola la legge o danneggia terzi. Porta con sé l’ombra della complicità e della corruzione, e si usa per descrivere rapporti torbidi, connivenze, patti clandestini. Dire “la collusione tra alcuni dirigenti e imprenditori ha falsato l’appalto” è un esempio tipico: qui la parola segnala un patto illecito, una complicità che mina la giustizia.
Illusione, invece, è parola che si muove nella sfera psicologica e percettiva. Significa inganno dei sensi, falsa rappresentazione della realtà, speranza vana. Può avere valore negativo, quando denuncia la fragilità delle aspettative, ma anche poetico, quando evoca sogni e desideri che danno colore all’esistenza. Dire “vive nell’illusione di un successo imminente” mostra l’aspetto ingannevole della parola; mentre “l’illusione di un amore eterno accompagna i versi dei poeti” rivela la sua dimensione estetica e sentimentale.
La confusione nasce dalla somiglianza fonetica e dal suffisso comune, ma basta ricordare la radice per distinguere: collusione viene da colludere, “giocare insieme di nascosto”, con valore di accordo fraudolento; illusione viene da illudere, “ingannare”, e si lega alla percezione e alla speranza.
Due parole che si somigliano, ma che non vanno mai confuse: l’una appartiene al tribunale, l’altra al cuore.

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