C’erano una volta due fratelli, nati dallo stesso ceppo, ma con indole diversa. Il maggiore si chiamava Colare, e portava nel nome la sua origine: veniva dal latino “colare”, che a sua volta ricordava il “colum”, il colino che separa il limpido dall’impuro. Colare era contemplativo: amava scendere piano, goccia dopo goccia, come l’acqua dalle grondaie dopo un temporale o il sudore sulla fronte del cuoco. Ma sapeva anche farsi operoso: prendeva il colino e filtrava brodi, succhi, cere; e quando narrava le sue avventure nei tempi composti, mostrava la sua doppia anima con garbo. Se il protagonista era il liquido, parlava con Essere: “Il vino è colato tutta la notte”. Se, invece, protagonista era il contenitore, passava ad Avere: “La botte ha colato tutta la notte”. Così faceva comprendere che la voce del verbo cambia respiro a seconda di chi guida la scena: il fluire della sostanza, o l’azione del recipiente.
Il fratello minore si chiamava Scolare, e il suo nome, nato in casa italiana accanto a Colare, portava un prefisso sottile, una piccola “s-” che gli dava forza sottrattiva: togliere il liquido in eccesso, liberare, svuotare il superfluo. Scolare era pratico e deciso: rovesciava la pasta nel colapasta, lasciava scivolare via il bollore, sgocciolava i fagioli con pazienza, e talvolta, in compagnia, scolava una bottiglia fino all’ultima goccia. Per questo parlava sempre con Avere, raramente con Essere: “Ho scolato la pasta”, “Abbiamo scolato il vino”. Non si lasciava confondere con i processi spontanei: Scolare era azione, intenzione, mano ferma.
Una sera, al gran banchetto delle Parole, Colare raccontò di come il brodo fosse colato limpido attraverso il colino, mentre Scolare mostrò la pasta bene scolata, lucida e pronta al condimento. Gli ospiti capirono che i due fratelli, pur vicini, non erano sinonimi: uno narrava il fluire della sostanza - e sapeva scegliere tra Essere e Avere con misura -; l’altro celebrava l’atto volontario, e parlava con Avere, di rado con Essere.
Da quel giorno, chi incontrava Colare e Scolare imparava a distinguere tra ciò che scende e ciò che si fa scendere, tra il racconto del liquido e la mano che lo conduce. E la lingua, grazie a loro, risultava più completa: precisa come un colino, leggera come una goccia che trova la sua via.
Chi cola segue la natura, chi scola guida la mano: confonderli è perdere chiarezza.
***
È
proprio vero, la lingua, al contrario della matematica, è
un’opinione. Una riprova? Ecco
come tre vocabolari dividono in sillabe uno stesso termine:
suicidio.
Dizionario
Sabatini Coletti in rete: [sui-cì-dio]
Dizionario Gabrielli in
linea: [sui-cì-di-o]
GRADIT: [su-i-ci-dio].
Tre
vocabolari, tre versioni diverse, come avete visto.
Una persona
sprovveduta in fatto di lingua non sa veramente come deve regolarsi.

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