Dal dr Claudio Antonelli (Montrèal - Canada) riceviamo e
pubblichiamo
Più d’uno nella penisola, ma non tra gli italiani
all'estero, ravviserà nella proposta di legge di Fabio Rampelli per la difesa
della lingua italiana un’involuzione di sapore autarchico, nazionalistico e
pericolosamente nostalgico. E criticheranno la proposta di legge quelle persone
che trovano sciovinisti e ridicoli i francesi, i quali insistono nel chiamare
“ordinateur” non solo il loro ma anche il nostro computer. Gli italiani, da
“cittadini del mondo” (invero un po’ speciali perché vanno in tilt - per usare
quest’altra espressione grottesca falsamente inglese - quando sono costretti a
mangiare spaghetti non al dente, il che è la triste regola all’estero) trovano
comico l’insistere dei francesi sull’uso della loro arrogante lingua nazionale,
e considerano oltraggioso lo scarso rispetto dei nostri cugini transalpini
verso la lingua del mondo, a noi invece così cara.
Che si rifletta invece su questo punto: non esiste una
lingua unica, universale, ma esistono solo lingue locali. La stessa lingua
inglese, di cui ci si serve ormai su scala planetaria, è un idioma fedele al
suo passato e che esprime quindi un mondo di valori collegati a un ambito
nazionale storico-geografico che per quanto ampio riflette una civiltà
particolare. Che si pensi anche ai proverbi. Una lingua autenticamente
planetaria sacrificherebbe i particolarismi culturali all’astrattezza e alla
pura praticità di un linguaggio svincolato dalla storia. E appiattirebbe e
sbiadirebbe le varie identità culturali dei parlanti.
Ogni lingua ha il suo genio. Le lingue delle popolazioni
autoctone del Gran Nord canadese contengono un ricco vocabolario di termini
designanti i fenomeni naturali connessi al freddo, alla neve, al ghiaccio e
alla particolare geografia dei luoghi in cui esse vivono da millenni.
L’italiano così ricco e preciso dei nostri autori di
un’epoca non proprio lontana – vedi Papini, Malaparte, Barzini – continua
invece a perdere pezzi. L’attuale smodata importazione di parolette inglesi che
rimpiazzano validissimi termini italiani non fa che aggravare questo processo
d’impoverimento. Abbiamo perso fare fiasco sostituito da fare flop.
Gossip ha messo a tacere il pettegolezzo. I rumors hanno soffocato le voci e i
chiacchiericci. Il summit ha sloggiato il vertice. L’onnipresente boss ha fatto
tirare le cuoia ad una ricca nomenclatura criminosa, al vertice della quale vi
era il capo di tutti i capi, espressione che solo all’estero pero’ ormai usano.
Il vocabolario del crimine, per il quale noi italiani meritavamo il rispetto a
livello mondiale, è oggi insidiato dai termini inglesi. Le vittime più illustri
di questo assalto a colpi di vocabolario sono stati gli assassini, gli omicidi,
gli uccisori, i sicari, sostituiti vergognosamente dall’americano “killer”.
Anche per chi non è un nostalgico del “bagnasciuga” non è stato facile
accettare il luttuoso evento che ha visto il vecchio assassino alias omicida
del codice Rocco tirare le cuoia e tramutarsi a guisa di zombie in killer. Che
a sua volta ha figliato un ributtante killeraggio.
Oggi va di moda il progetto globalista, con l’abolizione
delle frontiere fisiche, storiche e culturali della Nazione. Un mondialismo che
è all’insegna dei valori nazionali americani. L’appecoronamento all’“italiese”
(italianese, italese, itanglese, anglitaliano, inglesiano, itangliano) degli
abitanti della penisola, governo ed élites (mi scuso per la esse) in testa, non
è altro che cedimento, sottomissione, disgregazione dei nostri parametri
identitari; il tutto condotto con spirito da camerieri, da giullari, e da
sciuscià se mi è permesso questo inglesismo che è ormai insostituibile.
All’Accademia della Crusca è stato rivolto tempo fa il
quesito: come rendere in italiano il termine inglese “to scan”? La risposta
della Crusca: "massima libertà di scelta circa l'uso di scandire,
scannare, scannerizzare, e anche eseguire una scansione e scansionare". Quelli
della Crusca ci dicono in sostanza: fate come volete. Io vorrei invece che
questa istituzione avesse un ruolo meno passivo e meno contemplativo. Mi
piacerebbe che svolgesse un ruolo "alla francese", insomma. Ma so
bene che forse non c'è una sola persona nella penisola che non si faccia
regolarmente beffe del cosiddetto sciovinismo della "Académie
Française" e degli altri organismi dell'Esagono preposti alla difesa della
lingua nazionale. Funzione che io considero invece ammirevole.
Il qualunquismo della Crusca dà un contributo dannoso a un
certo stato confusionale della lingua italiana, la quale vanta pagine di
dizionari strapiene di varianti di forma di questo o quel termine, come ad
esempio obbediente-ubbediente-ubbidiente considerati uguali-eguali tutti e tre,
mentre è una lingua che presenta tante lacune. Molte delle quali sono dovute
anche alla rimozione di termini che “non suonano bene”, come certe forme
verbali eliminate dall’uso per la loro presunta cacofonia. Il crescente uso di
termini inglesi riduce ancor di più la ricchezza e la varietà della nostra
lingua, nella quale sempre piu’ di frequente termini validissimi vengono
rimpiazzati da una paroletta americana, comicamente pronunciata e che stride
eufonicamente.
L'ossessione del "Suona bene? Suona male?" tiranneggia
gli italiani, pieni di idiosincrasie in fatto di pronunce e di accenti, ma
dalle cui strozze fuoriescono, purtuttavia, gli sgangherati suoni dei termini
inglesi (anglismi/anglicismi/inglesismi) esproprianti gli autarchici termini
del nostro vocabolario. Flop ha rimpiazzato fiasco; jackpot è usato al posto di
montepremi; supporter ha preso il posto di tifoso; il cartellino da timbrare al
lavoro è divenuto un badge; il restyling è termine che non fa parte del gergo
di parrucchieri con l'erre moscia, ma di vigorosi asfaltatori di strade con il
volto bruciato dal sole. Occorrerebbe un po’ di restyling anche per la lingua
italiana, affinché si riduca un'inutile obesità di forme e se ne protegga la
ricchezza, riesumando certi termini molto precisi di un tempo, finiti purtroppo
nel dimenticatoio.
Visto che è stato citato Pirandello, giova riportare
a questo punto un giudizio di De Mauro sugli anglicismi. Una premessa: De Mauro
non fu certamente un sovranista, anzi fu un rispettato progressista, “laico di
ispirazione marxista” come egli stesso si definì. L’intervistatore: “Se negli
anni Cinquanta la televisione ha insegnato l'italiano agli italiani, oggi
sembra voler insegnare loro l'inglese. Quali effetti provoca nella lingua
comune l'atteggiamento anglofilo dei grandi mezzi di comunicazione?” De Mauro:
“Magari insegnasse l'inglese davvero. Insegna, in titoli di trasmissioni e di
sue articolazioni, l'esibizione sciocca e inutile di qualche anglismo, come
educational per educativo. Del resto, anche come ministro, ho protestato in
Parlamento contro queste ridicolaggini, il question time, per le interrogazioni
urgenti, o il Welfare del ministro Maroni. Ha da passà a nuttata”.
Oramai i traduttori dall’italiano all’inglese, se seri e
onesti, dovranno tradurre in inglese non solo le parole italiane ma anche i
termini inglesi che il testo italiano contiene. Questi termini, infatti, sono
spesso errati o usati a sproposito. Ad esempio, il writer (graffitaro) del
testo italiano diventerà – nella giusta traduzione- “tagger” o “graffiti
artist”, il rider (fattorino in bicicletta) diventerà “delivery man on bike”.
L’“open day” dei vaccini, resterà “open day” nella traduzione inglese, ma pochi
anglofoni ne capiranno il senso. E che dire del nostro "smart working",
espressione imprecisa e anche sbagliata quando viene usata al posto di
telelavoro, lavoro da casa? Inglesi e americani, infatti, ricorrono a “remote
working”, “work from home”, e non a “smart working” per designare il lavoro che
si fa da casa grazie alla Rete.
Concludo segnalandovi un fatto incredibilmente ridicolo: la
Camera dei deputati risponde in inglese a chi si dichiara contento del progetto
di legge che mira a fare dell'italiano la lingua obbligatoria delle istituzioni
italiane nei loro rapporti con il cittadino italiano. Ecco infatti il messaggio
che ho ricevuto dopo aver inviato alla Camera dei deputati un messaggio di
sostegno alla proposta di Rampelli. “We confirm that your message with object:
Trasmesso via sito - La difesa della lingua nazionale, sent on at 14:50 has
been successfully registered.” È proprio vero che, come dicono i napoletani, ma
non so per quanto tempo ancora, prima che anche loro non lo dicano in inglese:
“O pesce fete da capa!”
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La lingua "biforcuta" della stampa
Ama licenzia 33 spazzini fannulloni: "Assenteisti
cronici, sparivano 300 giorni al mese"
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Ci piacerebbe che i cronisti del quotidiano che ritiene
Ostia un comune a sé stante e non, come è "giuridicamente", un
quartiere di Roma ci spiegassero come si fa a sparire "300 giorni al
mese".
(Le
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diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)