domenica 24 aprile 2022

Una "malattia linguistica", ovvero il "dalfonismo"


 Con il termine “dalfonismo”* – coniato a bella posta sulla scia di “daltonismo”, vocabolo con il quale si indica un difetto della vista per cui non si distinguono alcuni colori, in particolare il rosso e il verde (dal nome dello scienziato inglese che nell’Ottocento studiò questa malattia) – ci piace indicare una “malattia linguistica” di cui soffrono molti ‘dicitori’ delle radiotelevisioni (ma anche numerosi ospiti dei vari salotti televisivi): pronunciano in modo errato alcune parole, sbagliano, cioè, l’accentazione di certi vocaboli, in particolare la pronuncia esatta di alcuni “fonemi” (termine di origine greca che alla lettera vale “suono della voce”).

Il “dalfonismo”, quindi, vale a dire l’errata pronuncia, a volte può addirittura cambiare il significato delle parole; si pensi, per esempio, alla vocale “e” che può avere un “suono” chiuso o aperto come in “vénti”, aggettivo numerale e “vènti”, plurale del sostantivo vento; oppure come “accétta”, la scure e “accètta”, voce del verbo accettare. Ma lasciamo questi esempi che tutto sommato non “disturbano” (anche se sono da condannare) in quanto dal contesto del discorso si capisce benissimo se il giornalista o l’annunciatrice sta/stia parlando di numeri o di… vènti nelle previsioni meteorologiche.
Ciò che a nostro modesto parere disturba moltissimo è il “dalfonismo” in parole che non si prestano a diverse interpretazioni. Vediamo, quindi, alcuni “dalfonismi” di uso comune, cosí come ci vengono alla mente.

Cominciamo con il "dalfonismo" di taluni medici: catètere. La pronuncia corretta è catetère, con accentazione piana, l’accento, cioè, deve cadere sulla penultima sillaba. Questo perché occorre rispettare l’accentazione originaria latina, “cathetíre(m)”, dal greco “kathetèr”.
E che dire della forma “dalfonica” diatríba in luogo della pronuncia corretta diàtriba, con l’accento tonico sulla “a”? O di alchimía invece di alchímia, con la prima “i” tonica? A questo proposito ci dispiace dover constatare la “permissività d’accentazione” di alcuni autorevoli vocabolari. Ma tant’è.

Ma ciò che ci lascia veramente di stucco è il “dalfonismo” che riscontriamo in persone acculturate e “di prestigio”, che sovente calcano le scene radiotelevisive, là quando dicono, per esempio, che “io non vàluto questo fenomeno”, vale a dire quando mettono l’accento sulla “a” e non, correttamente, sulla “u”. La “u” del verbo valutare – come tutti i suoi composti – deve essere tonica (accentata nella pronuncia) in alcuni casi nel corso della coniugazione perché è un verbo denominale, viene cioè dal sostantivo “valúta” e in quanto tale deve conservare la medesima accentazione del nome dal quale deriva: io valúto, tu valúti, ecc. Questa, a nostro avviso, non è pedanteria. Vogliamo semplicemente ristabilire una “verità linguistica” calpestata da tutti coloro i quali attraverso i cosí detti mezzi di comunicazione di massa si piccano di “fare la lingua”.

Tempo fa, un notissimo quotidiano romano parlava, in una pagina di cronaca, di un batterio “immune agli antibiotici”. Ecco la lingua che divulga la stampa! Questo non è un caso di “dalfonismo”, è “analfabetismo linguistico” bell’e buono. Immune, chi non lo sa?, si costruisce con la preposizione “da”: immune ‘da’ influenza. La frase del giornale contiene due gravi errori: uno di costruzione grammaticale (e lo abbiamo visto), l’altro di concetto. Immune significa “non soggetto a subire il contagio”. Gli antibiotici sono una malattia? Non ci sembra proprio. L’ “opinionista” del quotidiano avrebbe dovuto scrivere, correttamente, “resistente agli antibiotici”.

Ma non divaghiamo e torniamo ad alcuni “dalfonismi” da evitare. Tra i piú comuni citiamo: leccòrnia (si pronuncia leccornía); rúbrica (correttamente rubríca); guàina (corretto guaína); cosmopòlita (voce corretta cosmopolíta); persuàdere (dizione corretta persuadére); utènsile  (utensíle) . Ci fermiamo, non vogliamo annoiarvi oltre.

--------

* Invitiamo i lessicografi a prendere in considerazione il neologismo.


***

La parola proposta da questo portale: cleodeo. Aggettivo, di uso letterario, sinonimo di glorioso. Di provenienza ellenica, composto con le voci greche "cleos", gloria e "idos", forma.




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Dottor Raso, grazie per le interessanti noterelle linguistiche!

Renato P.

Vittorio Pepe ha detto...

@ Raso

Pur sapendo che "daltonismo" è un deonomastico - deriva, infatti, dal nome del fisico inglese J. Dalton - lei propone (ai lessicografi, per la seconda volta) un neologismo che, secondo me, non ha senso.

Partirei (breve parentesi: non concordo con lei sull'uso del verbo "partire") dal nome scientifico dell'anomalia del cromosoma X che volgarmente - e per sineddoche - chiamiamo "daltonismo": "discromatopsia".
Da qui - e non dalla prima sillaba di un cognome... "barbaro" (sosterrebbe lei) - si potrebbe ricavare un neologismo, se proprio ne avessimo bisogno: "disfonopsia".

Uso il condizionale "potrebbe" e il congiuntivo "avessimo" perché ritengo che non abbiamo bisogno di un vocabolo che definisca una malattia congenita inesistente.
La prego, ora, di non farmi notare che lei ha usato le virgolette ("malattia linguistica") per intendere "malattia" in senso figurato: è lapalissiano, come è lapalissiano che lei ricorre alle virgolette ogni qualvolta desidera far passare (immagino che quest'ultima espressione non sia da "amatori del divino idioma") una forma adoperata in senso figurato, del quale spesso condanna l'uso.

Lei accenna alla "verità linguistica", senza tener conto di una considerazione, illuminata e illuminante, del Presidente dell'Accademia della Crusca C. Marazzini (autore di circa duecento saggi), il quale sostiene - giustamente, secondo me - che la lingua è uno "strumento collettivo". Per fortuna.

Vittorio Pepe