mercoledì 6 aprile 2022

Inglese o italiano?




 Dal prof. Aldo Onorati*, insigne dantista, riceviamo e pubblichiamo 

 

Quello che leggerete, pazienti amiche e amici, è accaduto a me, quindi non è inventato.

Mia moglie Rosa dice, in prima mattina: “Io devo andare a Pomezia; tu portati il bancomat e ritira un po’ di euro; poi ci sentiamo al cellulare”.

Nonostante la mia giornata sia densa di lavoro, intimamente sono un pigro. Se potessi, starei sempre nel mio campicello, un po’ a zappare, un po’ a potare, il resto a far chiacchiere con il vicino di vigna, analfabeta saggio, novantenne, da cui apprendo tante cose come le ho imparate dalla strada anziché dalla scuola.

Bene. Procedamus.

Avendo da sbrigare una serie di faccende, inizio dalla banca (“homo sine pecunia imago mortis”). Stavo un po’ abbattuto a causa della morte di una mia cugina affettuosa, per cui non mi andava di parlare.

La “mia” banca (pare vero?!) sta a due chilometri da casa. Abito ad Albano Laziale (RM), sul cucuzzolo più alto del colle, in vista del lago omonimo. Coerente con la mia pigrizia, seguo l’idea di prelevare la piccola somma da una banca a metà strada, davanti proprio a un bar rinomato per il caffè alla napoletana. Dunque, con una fava due piccioni. La stradina è a senso unico. Mi viene avanti una macchina che si ferma. Ahimè, il solito poeta di quelli descritti da Orazio e da Petronio, ai quali preferiresti una tegola in capo. “Scusa”, gli faccio, “sono impegnato, ho anche un funerale nel primo pomeriggio…”

“Oh!”, commenta lui, “ho quel che fa per te”, e recita a memoria una delle sue diecimila poesie, tenendomi per il braccio a tenaglia. Intanto, le macchine in fila cominciarono a suonare i clacson, ma lui era preso dal “fuoco sacro”, finché una guardia mi liberò dal tormento.

Per farla breve: arrivo davanti al meccanismo infernale per il prelievo dei soldi. Infilo la tessera nella fessura indicata, ma non compare nessun segno sullo schermo. Aspetto che il congegno automatico mi restituisca il “maltolto” e do, naturalmente, la colpa a me, alla mia storica incompetenza in questi strumenti utili ma diabolici, misteriosi e facilmente fuorvianti. Dico fra me: “Prima o poi, uscirà”. Ma il tempo passava… Così mi decisi ad entrare per chiedere spiegazioni.

“Signore”, mi fu risposto in modo sorpreso, “ma non ha letto che il bancomat non funziona?”

Rimasi contraddetto. Non seppi cosa rispondere. Automaticamente le gambe mi riportarono fuori per controllare chi di noi avesse torto. Non c’era scritto nulla. Nessun avviso. Tornai per dire la mia e uno degli impiegati, innervosito, uscì con me e – col candore di un bambino che veramente non ha rubato le caramelle – esclamò: “Ecco!...” e lesse il brano. “Lo vede? Più chiaro di così”, concluse nella più naturale delle espressioni. Mi avvicinai al vetro, misi gli occhiali, cercai cercai, ma non riuscii a trovare la frase “tanto lapalissiana” che l’operatore aveva esposto ai quattro venti del vicolo profumato di caffè.

Quando volevo chiedergli altre spiegazioni, non c’era più. Era già rientrato. ”Scusate la mia ignoranza…”, cominciai, rivolto a tutti, ma una signorina proferì: “Professore, ora vengo io e le indico la scritta”. Ringraziai col capo chino, e lì fuori si chiarì il “busillis”: le righe c’erano, ma erano scritte in inglese!

“Oh, per Bacco!”, esclamai. “Ignorante che sono! Non ricordavo che siamo in Inghilterra, dottoressa. Ibis redibis non morieris in bello”, aggiunsi. E lei: “Professore, non parli straniero, qui siamo in Italia…”

“Ecco dove cascò l’asino: non mi riferisco a lei”, ripresi un po’ rianimato dalla mia trovata. “Siamo in Italia ed io non sono tenuto a parlare e a conoscere una lingua straniera, come lei non è tenuta a decifrare il latino. Io non ho capito che oggi questo strumento di tortura non funziona. E non sono in dovere di comprenderlo, poiché io sono italiano e parlo solo la mia lingua. So di essere ignorante, ma cosa vuol farci? I miei tempi suggerivano di imparare le lingue morte; oggi se non parli inglese, sei morto tu”.

Non la prese in allegria. Comunque, rientrati, chiesi – poiché per loro ero nel torto io - : “mi ridiano la tessera e mettano fuori in chiare lettere nostrane l’avviso”. Mi fu risposto da un capufficio che già teneva fra le dita il mio bancomat: “Non possiamo per un duplice motivo. Primo, questo rettangolino è a nome di una certa Rosa...”. “È mia moglie”, corressi subito”, e lui, con tono magistrale: “Chi sia sia, non importa ai sensi dell’articolo… “; citò commi, regolamenti, numeri, paragrafi, leggi, leggine al punto che mi persi, e persi pure le speranze di riavere quel prezioso oggettino. Ma lui seguitò: “Secondo, per le norme numero e per ...”, mi si annebbiò il cervello e chiesi soltanto: “Insomma, per colpa vostra, sto perdendo tempo prezioso. Io sono italiano e non ho nessun dovere di essere inglese, con tutta la simpatia che nutro per Milton, Donne, Marlowe, il Bardo e Flotow…”

“Senta, a noi non importa quali amici ha in Inghilterra, importa eseguire le regole e applicarle. Adesso deve venire sua moglie a riempire dei fogli, poi noi spediamo per raccomandata il tesserino alla sua banca, quella ce lo rimanda per raccomandata, noi facciamo a sua moglie una raccomandata e lei può venire a ritirare il bancomat se nulla osta”.

“Guardi, si sa quanto impiegano le raccomandate ad arrivare. Ne ho spedita una due mesi fa a Roma, venti chilometri; è arrivata dopo 35 giorni! Insomma, io dovrei stare nell’imbuto un paio di mesi a causa vostra!”

“Non alzi la voce, altrimenti...”

Siccome la pazienza la perdono anche i santi,  dissi, ma senza minacciare, che avrei scritto un articolo sul più diffuso settimanale dei Castelli Romani. Per precauzione, uscii, fermai il primo amico che passava, lo pregai di fotografare col suo cellulare quella specie di televisore, poi rientrai dicendo: “Ho anche la prova visiva, credo che qualcuno di voi dovrà spiegare e giustificare l’omissione della frase in italiano…”. Le parole furono press’a poco queste. Seguì un imbarazzato silenzio, quando notai con la coda dell’occhio che un’impiegata si affrettava a uscire con un foglio in mano. Appiccicò con gli adesivi l’avviso di 'Temporaneo non funzionamento' (in lingua ITALIANA).

“Troppo tardi”, commentai.

Telefonai a Rosa e le spiegai la situazione. Mi disse che sarebbe giunta al più presto, il che – con il traffico asfittico di queste parti, le più ingolfate d’Italia – poteva significare almeno un’ora, se non molto di più.

“Verrà lei”, tranquillizzai i presenti, ma aggiunsi una domanda: “E poi?”; risposta: “Poi si vedrà”.

Come accade nei momenti tesi, uno cerca di distrarsi alla meglio, come può. Io optai per il bar, avendo il vizietto del caffè… Lì trovai da chiacchierare e passò una buona mezz’ora. Quando mi riaffacciai, squillò il cellulare. Mia moglie stava a metà strada. Quindi tornai al bar per fare il bis, mentre riflettevo. Poi mi venne in mente una considerazione: in Italia si dà per scontato che l’inglese sia l’idioma principe. Infatti, su ogni oggetto tecnologico le spiegazioni nel manuale spesso non prevedono la traduzione nella nostra parlata. Su ogni cosa sta scritta la significazione in inglese. Per cui l’ignorante sono io. Aveva ragione il celebre anglista Gabriele Baldini quando diceva a noi studenti universitari: “Se non parlate la lingua di Albione, non esistete”.

Bene (anzi, male). Verso le dodici arriva mia moglie. Le spiego meglio. Entriamo. Accertatisi che non dicevo bugie e che non avevo rubato alcun tesserino, conclusero: “Ora spediremo per raccomandata il bancomat alla sua banca e…”. Allora persi le staffe (cosa rarissima nella mia esistenza). Dissi: “Ho la foto del marchingegno privo della scritta in italiano. Non sono tenuto a parlare una lingua diversa da quella materna, santo Iddio! La colpa è vostra, altrimenti  dopo non avreste rattoppato il caso incollando con gli adesivi quel foglio posticcio!”.

Un imbarazzato silenzio seguì la mia presa di posizione precisa e netta. Sentivi volare le mosche. Nel frattempo mulinava nel mio cervello ripetutamente la convinzione di decenni che il mondo si regge sull’assurdo. Ero immerso in questi pensieri, quando il direttore, con ostentata magnanimità, fece: “Per questa volta, ma solo per questa volta, finiamola qui. Ecco il bancomat. Signora Rosa, firmi questa dichiarazione di ricevuta e non se ne parli più”.

Ormai, però, la mattinata era perduta in cavilli di cui la burocrazia è colma. Tuttavia, siccome sono portato a buttare acqua sul fuoco, dissi: “Poteva andare peggio… In fondo, si è fatta l’ora del pranzo… Che hai cucinato oggi?”

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* Qui

 




 








(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


11 commenti:

Anonimo ha detto...

Nel Paese dove vivo si parla il giapponese. Mi capita però di vedere qua e là dei cartelli con scritte in inglese di questo tipo: Don't piss on the walls; Take your dog's feces home; Don't make unnecessary noise; Do not sell drugs; ...

Renato P.



V.Ppnr ha detto...

@ Aldo Onorati
Due domande, se permette.
1) "Rimasi contraddetto" (inizio capoverso n.10): intendeva usare "contraddetto" oppure è un errore involontario?
2) Il suo racconto comincia con i verbi al presente ("dice, inizio" ecc.), poi - di punto in bianco - le azioni svolte nello stesso lasso di tempo vengono espresse prevalentemente al passato remoto ("cominciarono, mi liberò" ecc.). Per quale ragione?
Vittorio Pepe

V.Ppnr ha detto...

@ Renato P.
E quindi?

Fausto Raso ha detto...

Il prof. Onorati risponderà non appena i numerosi impegni glie lo (sic!) consentiranno.
FR

V.Ppnr ha detto...

Chiedere è lecito e rispondere è cortesia.
Ringrazio l'*insigne* Onorati per la... cortesia.

"... i numerosi impegni..."?
Non si penserà mica che io stia a pettinar le bambole?

Vittorio Pepe

Fausto Raso ha detto...

Caro Pepe,
non so se il prof. Onorati le risponderà visto che ha sottolineato insigne (in senso spregiativo, ironico o che altro?).

Mi sembra strano, comunque, che lei non conosca le funzioni del cosí detto presente storico, che in una narrazione si alterna con il passato remoto per dare vivacità e immediatezza al discorso ( Presente storico). Quanto a "contraddetto" sta per "interdetto", appunto, e si adopera nelle narrazioni per dare maggiore efficacia al tutto.
Fausto Raso

Fausto Raso ha detto...

Aggiungo altri significati di contraddetto:


La prima definizione di contraddetto nel dizionario è controbattuto, confutato, negato. Altra definizione di contraddetto è contrariato, seccato, scontento. Contraddetto è anche contraddizione.

V.Ppnr ha detto...

Caro Raso, siamo a questo livello?
Lei fa le veci di Onorati, troppo impegnato prima e troppo offeso dopo per rispondermi personalmente.
Lei si permette di inviarmi il collegamento perché io apprenda(?!) l'uso del presente storico.

Conosco perfettamente l'uso del presente storico, quindi le consiglio di leggere attentamente le quattro righe presenti nel collegamento: quattro righe, certo, sufficienti tuttavia per comprendere il corretto uso del presente storico.
Quanto al suo "contraddetto sta per interdetto..." non ho parole.

Saluti Onorati da parte mia.
Vittorio Pepe



V.Ppnr ha detto...

Non commento, Raso.
Vittorio Pepe

Fausto Raso ha detto...

Caro Pepe, dr Vittorio,
IO NON FACCIO LE VECI DI NESSUNO!!
Sono io a non avere parole per le sue... parole.
Contraddetto, in alcuni contesti, sta per: seccato, contrariato, interdetto, scontento, sconcertato e simili.
Mi saluti il suo alter ego, e chiudo qui.
FR

V.Ppnr ha detto...

Io non ho alter ego da salutare. E lei?