martedì 19 aprile 2022

Sull'uso corretto (a nostro avviso) di due verbi: apparire e proferire


 Qualche osservazione sull’uso non ortodosso – a nostro modesto avviso – di due verbi: apparire e proferire. Si leggono spesso, sulla stampa, frasi del tipo «la lettera apparsa il 25 del mese scorso è stata attribuita a Tizio; l’autore è, invece, Caio. Ci scusiamo con l’interessato e con i lettori». Le apparizioni, ci sia consentito, sono una caratteristica degli ectoplasmi: una lettera si pubblica, non appare. Apparire significa, infatti, ‘manifestarsi’ e una lettera – dicevamo – non si manifesta, si pubblica. Neanche una persona viva e vegeta ‘appare’, bensí ‘compare’: all’improvviso è comparso Giovanni. E che dire di ‘profferire’ in luogo di ‘proferire’? In alcuni sacri testi si legge che il predetto verbo si può scrivere con una o due “f ” (proferire e profferire), una sorta di verbo sovrabbondante. Le cose non stanno affatto cosí: cambiando di grafia cambia anche di significato. Con una sola “f” (proferire) sta per ‘dire’, ‘pronunciare’, ‘esclamare’ e simili: Francesco non proferí parola. Con due (profferire) vale ‘offrire’, ‘regalare’, ‘mettersi a disposizione’ e simili: Marcello gli profferí il suo aiuto (si mise, cioè, a sua disposizione per aiutarlo). E per finire, due parole su un altro verbo: derogare. Si deroga ‘a’, non ‘da’. È comunissimo leggere o sentire che «Carlo ha derogato da una legge». No, correttamente, Carlo ha derogato ‘a’ una legge. Si può adoperare anche, transitivamente e raramente, nell’accezione di ‘trasgredire’, ‘violare’: tutti i presenti hanno derogato le istruzioni ricevute. Voi, amici che ci onorate della vostra attenzione, se volete ben figurare, non derogate 'alle' norme linguistiche.













 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


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