mercoledì 10 marzo 2021

Coniugare X con Y, coniugare X e Y, coniugare X a Y


Dal dr Claudio Antonelli riceviamo e pubblichiamo

In Italia il desiderio di sposarsi, congiungersi in matrimonio, coniugarsi, maritarsi, è fortemente calato. Sempre meno gente, insomma, "convola a nozze". I soli rimasti a desiderare intensamente di sposarsi sembrano essere gli omosessuali. Ma sempre più numerosi sono gli italiani disposti al "coniugio" su carta, ossia a parole. Mi riferisco al gran successo che ha tra gli scriventi il verbo "coniugare" nel senso di unire, far coesistere, combinare, intrecciare, congiungere, abbinare, appaiare...  Fino a qualche decennio fa, al posto di "coniugare" si sarebbe usata una varietà di verbi: combinare, mettere insieme, rendere compatibili, unire, affiancare, riunire, associare, abbinare, sommare...  Ma oramai, invece di "unire l'utile al dilettevole", molti preferiscono "coniugare l'utile al dilettevole", anche se quest'ultima espressione, a tutta prima, sa un po’ di matrimonio forzato.

 

Non posso dire che il verbo "coniugare" mi dispiaccia per il suo sapore borghese, evocante i valori tradizionali, domestici, famigliari da cui sembrava che i maschi e le femmine della nostra società attuale avessero da tempo divorziato. Mi sorge però sempre un dubbio sulla preposizione da usare immediatamente dopo questo verbo. Occorre mettere "con", "e" o invece "a", dopo "coniugare"? Non penso esista una regola al riguardo, e difatti dopo il verbo coniugare, opportunamente "coniugato" secondo i tempi e i modi che la frase esige, troviamo una ricca dote: "con", "e", "a".  Le preposizioni (con, a) e la congiunzione (e) cambiano secondo gli autori delle frasi: coniugare "passione e ragione", "sapori con qualità", "conoscenza a piacevolezza".

 

CON

Matteo Renzi ha a suo tempo celebrato la passione e il calore di questo coniugio linguistico con una frase degna veramente di confetti: "Io credo che oggi riuscire a coniugare il riformismo con la capacità di appassionare le persone significhi portare un po' di calore..."

Ma non solo a letto, anche a tavola il coniugio porta i suoi frutti. Dal web: "Pizze e antipasti dunque coniugano gusto, profumo e sapori con qualità e genuinità."

E

Per altri è la congiunzione “e” la più adatta a suggellare gli sponsali.

Per Don Antonio Sciortino di Famiglia Cristiana "L'amore deve coniugare passione e ragione."

Giacomo Pierobon: "Didattica che punta a coniugare fiducia e responsabilità."

Da un quotidiano: "coniugare con successo teoria ed esperimento, geniali intuizioni e grande abilità tecnica."

A

Ma talvolta ci si imbatte anche in "a".

Dal Web: "Elena è una guida turistica che sa coniugare conoscenza a piacevolezza."

L’invalso uso di coniugare può essere causa di qualche rimpianto, in Italia. Una variante naturale e legittima del coniugare sarebbe "accoppiare", parola della quale, nel paese dalla denatalità diffusa, pochi però si servono, forse per vergogna e pudore.

 

 

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Dal Sabatini Coletti riporto qui le definizioni riguardo al verbo coniugare.


coniugare
[co-niu-gà-re] v. (còniugo, còniughi ecc.)

v.tr. [sogg-v-arg]

1 Contemperare esigenze diverse: lo stato deve saper c. ordine e libertà

2 gramm. Elencare sistematicamente modi, tempi, persone e numeri di un verbo: sta imparando a c. gli ausiliari; freq. con specificazione del modo e/o tempo: c. un verbo all'imperfetto

[sogg-v-arg-prep.arg] Congiungere una cosa con un'altra, nonostante l'apparente contraddizione: c. la bontà del prodotto con un costo ragionevole

coniugarsi

v.rifl. [sogg-v] Di una coppia, unirsi in matrimonio

[sogg-v-prep.arg]

1 Sposarsi con qlcu.: si è coniugato con l'amica della sorella

2 gramm. Presentare una determinata coniugazione: questo verbo si coniuga solo ai tempi semplici


Cercando su altri dizionari si trovano altre definizioni. Al tutto si aggiunge poi l'uso traslato, improprio, retorico insomma, che ne fa un parlante.

Il mio intervento al Suo articolo è solo mirato a tentare di far luce sull'uso del verbo coniugare, e non a quello di giustificare chi lo usa in un modo o in un altro. Mi astengo dal fare ragionamenti sul perché del calo delle nascite, per non mischiare temi linguistici a temi sociali, la qual cosa non mi aiuterebbe nel discorso.

A mio parere, quando il verbo coniugare è un verbo a sollevamento ecco che nella frase seguono svariati elementi extranucleari, complementi indiretti con tanto di preposizioni. Può anche accadere di sbagliare l'uso di questa o quella preposizione.

Renato P.

Anonimo ha detto...

Per “far luce sull’uso del verbo coniugare”, compreso l’uso “figurato” o “per estensione”, basta consultare un qualunque vocabolario d’italiano. Io ne ho consultati diversi e tutti danno del verbo coniugare anche il significato traslato. Mi limito qui a citarne quattro. È interessante notare che sia “a” sia “e” sia “con” appaiono nelle frasi dei dizionari.

Zingarelli fig. Unire, far coesistere: coniugare rigore ed equità

Treccani fig. Far coesistere, conciliare: coniugare il profitto con l’utile sociale.

De Mauro fig. far coesistere, conciliare: coniugare la spinta al progresso con il rispetto per l’ambiente.

Gabrielli estens. Associare, armonizzare: un poeta che sa coniugare il vigore delle convinzioni alla delicatezza del sentimento.

Lei scrive : “Cercando su altri dizionari si trovano altre definizioni. Al tutto si aggiunge poi l'uso traslato, improprio, retorico insomma, che ne fa un parlante.” In realtà, cercando in altri dizionari il termine “coniugare” si trovano gli stessi significati, ma espressi con parole diverse beninteso. E tra questi significati vi è il senso figurato del verbo coniugare, che è “retorico”, “traslato” ma non “improprio”.
Lei scrive: “A mio parere, quando il verbo coniugare è un verbo a sollevamento ecco che nella frase seguono svariati elementi extranucleari, complementi indiretti con tanto di preposizioni. Può anche accadere di sbagliare l'uso di questa o quella preposizione.”
È vero: puo’ capitare a qualcuno di “sbagliare l’uso di questa o quella preposizione”. Ed è proprio per questo che ho fornito esempi della congiunzione “e”, e delle preposizioni “a”, “con”, le sole ammissibili (come anche gli ulteriori esempi di cui sopra mostrano) in quel mio post, in cui cercavo anche di divertire. Le diro’ che sono rimasto un po’ sorpreso nel trovare nell’esempio del dizionario Gabrielli la preposizione “a”, quindi anch’essa pienamente ammissibile.
Lei scrive: “Mi astengo dal fare ragionamenti sul perché del calo delle nascite, per non mischiare temi linguistici a temi sociali, la qual cosa non mi aiuterebbe nel discorso.”
È proprio vero: è importante portare avanti il discorso… Soprattutto per noi italiani. E in particolare, come vedo, per lei.

Fausto Raso ha detto...

L'ultimo commento non ha firma, immagino sia del dr Antonelli.

Anonimo ha detto...

Dottor Antonelli, Lei l'ha presa di petto, mi sembra. Quando si pubblica un articolo su un forum è giocoforza ricevere commenti, complimenti, chiarimenti, domande e altro ancora. Lei con i Suoi interessanti articoli contribuisce in una maniera, e altri in altro modo. L'importante è farlo in modo civile, senza fare i soloni della lingua, né aggiungendo quello che non è necessario, e noi ci riusciamo, giusto?
Parlare del verbo coniugare e del calo delle nascite può andar pure bene. Io me ne astengo. Tutto qui.
Concentrare la discussione unicamente sull'aspetto linguistico non è una cattiva idea,
altrimenti si deve nel contempo essere preparati sia a ricevere, nel caso, risposte in ambito linguistico sia nel caso sociale, il che mi sembra un po' troppo dispendioso, e si rischia di perdersi per strada.

Per esempio, avrei voluto aggiungere qualcos'altro sul filone "Il Passo carrabile" in merito a queste Sue parole testuali: “La tassa sul passo carrabile? Un mucchio di m… lasciamo perdere.” (“Passo Carrabile tax? What a pile of…nevermind.”)

Ecco, mi citi i Vietnamiti, i Finlandesi o i Congolesi, ma non mi citi gli Statunitensi in fatto di tasse perché loro le impongono sulla cittadinanza e non sulla residenza come fanno praticamente in tutti i Paesi del mondo. Conosco cittadini americani residenti in Giappone che in base al loro reddito devono pagare le tasse negli Stati Uniti pur risiedendo e lavorando in Giappone. Roba da strapparsi i capelli di testa! Vede come la discussione si protrae? Io, cittadino italiano iscritto all'Aire, risiedo in Giappone e pago le tasse in Giappone. Lei, immagino, farà altrettanto in Canada.

Anche sulle macchinette obliteratrici e le loro proprietà "vaticinanti" avrei voluto lasciare qualche commento, ma ho lasciato correre immaginandomi un futuro lettore del filone chiedersi stupito quale mai sia il tema principale.

Tornando al verbo coniugare, lo ritengo un verbo come tanti altri, e non lo vedo poi così speciale.
C'è chi, nell'uso sorvegliato della lingua, ha pochi dubbi, e c'è chi, come me, ne ha parecchi e consulta uno o più dizionari.


Renato P.




Anonimo ha detto...



L’innalzamento del discorso e il fare di tutt’erba un fascio.
In Italia si fa un gran parlare, denunciare, proporre soluzioni. Vedi le discussioni al bar e i "talk show", in cui ci si accapiglia perché ognuno vuol aver ragione. È un discutere infinito in cui non si giunge mai a un accordo, perché la maniera di ragionare dell'italiano medio, quando si discute di temi che non toccano direttamente il suo utile particolare, manca di pragmatismo e concretezza, e tende inoltre a zigzagare.
L’italiano del talk show, oltre che delle soluzioni teoriche, è un appassionato di parole, che usa ad abundantiam alzando il tono e sermoneggiando, e alludendo, sottintendendo e toccando altri temi. Innalzandosi, insomma, sul tema trattato e allargando il discorso, o se vogliamo: fuorviando.
"Portare avanti il discorso" è la ridicola frase che spiega e giustifica questo "parlare per parlare", dove cio' che conta non è tanto lo scambio d'idee, ossia l'apportare all'interlocutore il nostro punto di vista, le nostre esperienze, le nostre soluzioni ai problemi discussi, ma l'essere protagonisti, il mostrarsi superiore all'altro. Ne consegue che l'imperativo morale per lui è di riuscire ad avere ragione a tutti i costi.
Ma quali sono meccanismi mentali cui fa appello questo "portare avanti il discorso"? Ve ne sono diversi. Uno di questi, come ho già detto, è l'"allargamento" del discorso. Vi avrete fatto caso: nelle discussioni il vostro interlocutore, anche quando è messo in angolo dalla vostra logica di stampo nord-americano basata sul realismo, il pragmatismo, la concretezza, amplia, allarga, dilata il suo ragionamento per spaziare su altri temi, fare raffronti storico-geografici, rifugiarsi nell'astrazione, nella filosofia, nel relativismo, e nell'allusione e nel sottinteso. Egli ama, in definitiva, fare di tutt'erba un fascio. Due esempi. La demenziale burocrazia che affligge l'Italia e del suo assurdo linguaggio? “La burocrazia è sempre esistita ed esiste in tutti i paesi del pianeta, Svizzera compresa”, obbietterà il vostro interlocutore, facendo di tutt'erba un fascio.
Vi è poi il travaso di esseri umani dall'Africa all'Italia, senza alcun controllo? In nome della giustificazione ecumenica che abolisce epoche storiche, scavalca paesi, unifica continenti, l'argomentatore si servirà di varie frasi una piu' balorda dell'altra: "Anche noi nel passato...", "Siamo tutti migranti...", " Solidarietà...","Siamo noi i responsabili dei disastri avvenuti da loro..." Su quest'ultimo punto potrei essere anche d'accordo: vedi la Libia. Ma occorrerebbe allora identificare - cosa che non si fa - il paese di provenienza di questi disperati, che pagano un salato biglietto di viaggio ai loro traghettatori. Si dovrebbe pertanto escludere dal nostro abbraccio ecumenico quelli che vengono da paesi come Tunisia e Marocco... Ma cio' non avviene, perché un simile ragionamento basato sui fatti e la logica va contro l'insopprimibile bisogno italiano di allargare il discorso : di fare in definitiva di tutt'erba un fascio.
È il trionfo del teorizzare, del parlare per parlare, e anche del mettere tutto in prospettiva, nella giusta prospettiva: quella che conviene a colui che argomenta. E a lui conviene questa prospettiva dell'innalzare il punto d'osservazione e del generalizzare e del relativizzare perché cio' gli dà la piacevole sensazione di aver ragione e di apparire superiore. Superiore al suo interlocutore, il quale, non si sa perché, s’interessa a temi di scarsa importanza, trattandoli inoltre in una maniera alquanto balorda.
Claudio Antonelli

Anonimo ha detto...

Dottor Antonelli, facciamo a capirsi, altrimenti qua chissà dove si va a finire. Prima di tutto facciamo un distinguo tra quello che Lei bolla come "Portare avanti il discorso" e quello che vorrei fare io , cioè approfondire un argomento da Lei trattato.

Se Lei mi parla di problemi relativi alle tasse del passo carrabile, poi bisogna anche sentire chi cerca di approfondire l'argomento. In Canada, ovvero quell'immenso territorio usurpato ai nativi, dove Lei vive, dottor Antonelli, si è pensato a costruire senza le limitazioni che interessavano le città mediterranee e europee in generale. Tanto di posto ce n'era! Tutto gratis! Sì, una volta era dei nativi ma ora degli Inglesi e dei Francesi. I nativi si possono eliminare appestandoli. Che ci vuole? Con tanto posto a disposizione, dicevo, le macchine mica si lasciano parcheggiare ai cigli delle strade come a Firenze, dove vivevo e dove dovevo rispettare il passo carrabile altrui.
Mi chiedevo, ma perché non devo parcheggiare qui davanti quando la strada è di tutti e pago le tasse. La risposta era, perché quello che usufruisce di tal cosa oltre a pagare anche lui le tasse ne paga un'altra affinché nessuno gli parcheggi dove lui deve uscire con il mezzo di trasporto, carro trainato da buoi o Ferrari che sia.

Poi, per indirizzarla in future congetture sulla mia persona Le comunico anzitempo che sono parecchio più anzianotto di lei e questi risvolti sulla società di cui Lei mi accenna proprio non mi toccano per niente. Non guardo i programmi televisivi di cui ne menziona le fattezze e le espressioni in inglese, né ho telefonini di ultima generazione. Non ho acconti di piattaforme sociali né altro di simile. L'unico sbocco nel mondo nel mondo internet è questo portale del dottor Raso.

Aggiungerei che quando ero giovane solevo guardare Carosello e poi a letto. La mattina alle sei, preghiera, rifare le coperte, lascito dell'occupazione americana, e tutti al refettorio per asciolvere: un tozzo di pane inzuppato in una ciotola di latte. Genitori divorziati. Che sia una vittima del '68? Boh! La comunità di Nomadelfia è un'alternativa? Boh! Bisognerebbe tornare prima del '68? Boh! Bisognerebbe restituire le terre ai nativi? Boh!

Lo sbotto che traspare chiaramente dai Suoi scritti ci sta ed è comprensibile. Ripeto però che approfondire un argomento per volta è essenziale. Se mi saltella di palo in frasca, come faccio a starle dietro?

Renato P.

Ines Desideri ha detto...

Per Claudio Antonelli

Non intendo - non ho voglia, non mi interessa, non ha senso - intervenire sugli argomenti che lei sta trattando.
Intendo solamente esprimere, ancora una volta, la mia indignazione: chi la autorizza a pontificare, a giudicare, a offendere un popolo?
Prova forse la piacevole - quanto fittizia e ingannevole - "sensazione di aver ragione e di apparire superiore"?
Contento lei...
Io no. Sono indignata.

Ines Desideri

Anonimo ha detto...

Per Renato P.
Lei scrive: "In Canada, ovvero quell'immenso territorio usurpato ai nativi, dove Lei vive, dottor Antonelli, si è pensato a costruire senza le limitazioni che interessavano le città mediterranee e europee in generale. Tanto di posto ce n'era! Tutto gratis! Sì, una volta era dei nativi ma ora degli Inglesi e dei Francesi. I nativi si possono eliminare appestandoli. Che ci vuole? Con tanto posto a disposizione, dicevo, le macchine mica si lasciano parcheggiare ai cigli delle strade come a Firenze, dove vivevo e dove dovevo rispettare il passo carrabile altrui."
La mia risposta.
Allarghiamo dunque il discorso. Sui tristi aborigeni e sulla loro dignità spesso calpestata, se lei mi fa sapere il suo indirizzo email, le inviero' una ventina di pagine, e se vuole anche di piu', da me scritte nel passato sui nativi canadesi e anche su un loro eminente difensore John Ciaccia (vedere Wikipedia), al quale anche ho dedicato diversi articoli. Sui grandi spazi del Canada e sui parcheggi mi permetto di inviarle, in due tappe, questa mia lunga riflessione.

La sosta vietata nel paese dei grandi spazi -1

In Canada, paese per tanti versi moderato e indulgente, laviolazione del divieto di sosta è ferocemente punita. E nel paese dei grandi spazi vi è una selva ininterrotta di cartelli didivieto, tanto da far pensare che la sosta vietata sia il cardine
dell’intero sistema canadese.
Gli immigrati quando divengono cittadini canadesi dovrebbero prestare giuramento di fedeltà, non alla regina, ma al regolamento che sancisce il divieto di sosta. La proibizione di sostare o parcheggiare è, infatti, l’asse portante dell’intero sistema, nel paese dei grandi spazi.
L’unico atto che in America del Nord sia automaticamente punito, ferocemente, senza che l’imputato possa invocare scusanti, attenuanti, provocazione morale o infermità
mentale, è quello di piazzare l’auto, anche per un istante, in divieto di sosta, oppure di dimenticare di alimentare il salvadanaio del parchimetro.
Forse è meglio sgozzare all’arma bianca i passeggeri di un intero autobus, dopo aver ingurgitato droga ed alcol, ed invocare quindi lo stato d’infermità mentale momentanea, piuttosto che lasciare l’auto là dove le autorità, nel loro supremo
sadismo, hanno deciso che è criminale lasciarla, vale a dire lungo una larghissima strada che spesso è l’equivalente di cinque strade italiane messe insieme, e dove il traffico è quasi inesistente, ma dove per ragioni misteriose la sosta non
è ammessa.
La cronaca di questo ineffabile paese è piena di episodi che consacrano l’abominevole crimine di sosta abusiva come crimine supremo. Buoni samaritani, discesi in fretta e furia dall’auto per difendere un’anziana signora aggredita da teppisti, sono stati salatamente multati per infrazione al divietodi sosta. Moribondi che penosamente si trascinavano fuori dalla propria auto per essere ammessi al pronto soccorso, hanno provocato il rabbioso intervento dei poliziotti che li hanno multati salatamente per aver ignorato il cartello di divieto. Solerti cittadini che hanno fermato l’automobile per denunciare un crimine sono stati immediatamente multati, perché in divieto di sosta. Vi sono municipalità in Québec dove è assolutamente proibito arrestare un’auto al di fuori di un garage. Se di giorno la sosta o il parcheggio sono in rarissimi casi ammessi, di notte un’auto ferma è vista come una tremenda minaccia all’ordine costituito. Di conseguenza il divieto di sosta in queste municipalità – Westmount e Hampstead per esempio – durante la notte è sempre in vigore, senza che vi siano cartelli indicatori al riguardo. A stabilire la proibizione assoluta è
un regolamento cittadino che tutti devono conoscere, anche quelli che sono arrivati quella notte stessa dalla Patagonia…
Se il divieto di sosta fosse abolito, le prigioni di questo paese si svuoterebbero. Dati ufficiali ci confermano, infatti, che un buon 50% degli ospiti delle patrie galere è dentro per aver omesso di pagare una contravvenzione per divieto di
sosta.

Claudio Antonelli

Anonimo ha detto...

La sosta vietata nel paese dei grandi spazi -II
Nel paese dei grandi spazi si possono percorrere centinaia di chilometri al nord di Montreal, attraverso zone selvagge, senza mai poter fermare l’auto, dal momento che il divieto di sosta è perenne. I cartelli sono lì a ricordarcelo. Non esistono piazzole di sosta, tutto è recintato, tutto è proprietà privata. Anche là dove la taiga e quindi la tundra subentrano ai “dépanneurs” e ai motel con circuito televisivo pornografico, i cartelli di sosta vietata ci ricordano che la civiltà del divieto di sosta continua fino al polo nord, senza soluzione di continuità.
Abolendo il crimine di sosta vietata o riducendolo sostanzialmente, si getterebbe sul lastrico una buona metà dei poliziotti attualmente in servizio attraverso il Canada, di cui la stragrande maggioranza durante l’intera carriera ha solo arrestato gente ricercata da una sponda all’altra di questo immenso paese per non aver pagato una multa di sosta vietata. Ognuno di noi conosce qualcuno che à stato prelevato dalla propria casa, alle due di mattina, e condotto in manette in prigione, per una contravvenzione dimenticata, quasi sempre di divieto di sosta. Quando non è capitato proprio a noi…
In Canada si sono legalizzate le droghe, qualcuno propone di decriminalizzare l’incesto, si permette già il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma nessuno ha mai suggerito di legalizzare la sosta. Qualcosa deve pur restare sacro. E in questo paese è il divieto di sosta ad esser sacro.
L’interpretazione dei cartelli - quasi sempre incomprensibili e che permettono, o proibiscono, la sosta ma non il parcheggio, però solo i giorni pari, o solo i giorni dispari, a certe ore, ma non in altre, e così via delirando – accaparra le energie mentali di un’intera nazione. Se gli ebrei possono vantare l’esercizio mentale che è loro fornito dalla lettura del Talmud e della Cabala, e gli italiani l’esercizio mentale cui sono costretti dalla lettura dei quotidiani a carattere sportivo, con i nomi dei componenti delle squadre di calcio e i pettegolezzi e le strategie da mandare a memoria per poi discuterne con gli amici, i giovani canadesi possono dire di riuscire a piazzarsi non proprio ultimi nelle competizioni internazionali tra scolaresche, grazie agli sforzi che fin da bambini compiono per capire il significato della selva dei cartelli di divieto di sosta da cui sono circondati.
In questo paese gli spiriti più ribelli contestano il sistema, anche violentemente, scontrandosi con la polizia, rilanciando le bombe lacrimogene, assestando colpi di spranga, scagliando proiettili di ogni sorta, ma solo dopo aver parcheggiato diligentemente il proprio veicolo là dove la sosta è permessa.
Prosegue intanto il massacro automobilistico lungo strade e autostrade. L’ecatombe continua. In un solo anno negli Stati Uniti le strade falciano più vittime di quante ne abbia fatte tra i combattenti americani l’intera guerra del Vietnam. In Québec in un solo weekend muoiono più quebecchesi di quanti siano morti impiccati nel corso dell’intera rivolta dei patrioti nel 1837. Ma nessuno inscena manifestazioni per far cessare l’ecatombe. Velocità eccessiva, guidatori ubriachi, violazione sistematica del codice della strada, riflessi appannati da secoli di introversione e di solitudine canadese: il massacro continua.
Intanto i poliziotti sono impegnati a controllare le auto ferme, in certi casi rilevando il segno del gessetto lasciato precedentemente sui pneumatici. Il sistema non vuole che l’automobilista si fermi, e quindi veglia indefesso e interviene ferocissimo, pronto a multarlo senza pietà per il crimine supremo: il divieto di sosta.
Claudio Antonelli

Anonimo ha detto...

Dottor Antonelli, La ringrazio per la Sua disposizione a chiarire la Sua posizione e il Suo lavoro sul passato dei nativi. Il fatto è che ho un unico indirizzo e lo uso esclusivamente per lavoro e per i contatti familiari. Spero che questo non sia un problema insormontabile.

Può, anzi La invito a far conoscere non solo a me ma a tutti i lettori la Sua opera letteraria divulgandola direttamente in questo filone o in altro dedicato.

Anche se l'argomento non verte direttamente i fatti linguistici sui quali il portale Lo Sciacqualingua è orientato, può essere spunto di riflessioni per comprendere meglio e per non dimenticare.

Non so se il dottor Raso sia d'accordo, ma da quello che ho capito il "padrone di casa" non è un moderatore severo in fatto di "discussioni fuori tema" e credo che La lascerà fare.

Quindi, se non ci sono impedimenti da parte superiore, dottor Antonelli, La prego di non metter freno ai Suoi buoni propositi. Che cosa vuole che siano venti o più pagine quando c'è di mezzo la nobile intenzione di far conoscere meglio la storia del Paese dove vive e dei nativi?

Renato P.

Anonimo ha detto...

Per Renato P. La ringrazio di cuore.
Ecco alcune mie pagine sugli aborigeni canadesi

[MI TROVO A YELLOWKNIFE]
« Guardo la carta e scopro che Yellowknife è più al sud di quanto pensassi. Il mio sguardo sorvola Inuvik... CambridgeBay... Resolute Bay... Eureka... L’idea del Nord non è statica: tende a scalare i paralleli dirigendosi verso il mitico punto al nord di tutto. L’essenza di questi posti è il viaggio, il movimento, non la permanenza. Le popolazioni autoctone l’hanno sempre saputo. Il Nord, loro non lo cercano sulle carte geografiche. L’hanno dentro. Il Nord è un modo di essere, è il sopravvivere nel ghiaccio, è il partire di notte, sono i giorni brevi d’inverno e il sole di mezzanotte, è il sopraggiungere della breve estate canadese che stordisce con gli eccessi di luce.
Mi sorprendo a pensare che la “nordicità”, per gli aborigeni, forse non si discosta dal nostro sentimento della Patria. Per gli inuit – gli “uomini” come si autodefiniscono quelli che noi siamo ancora abituati a chiamare “eschimesi”, con termine in origine derisorio – questo amore è rivolto ad un paese senza frontiere, il cui confine si sposta a seconda del loro errare. Occorrerebbe capire questo loro amore – oggi ridotto in brandelli dall’aggressione della società consumistica. Sì, bisognerebbe capire questo amore per gli spazi, il movimento e i ritmi della natura – così simile all’amore che noi rivolgiamo al nostro paese e al suo passato, ai suoi monumenti di marmo, ai suoi altari, alle sue pagine di storia – per udire il silenzioso urlo di disperazione di queste popolazioni che sono precipitate dalla sovranità orgogliosa al parassitismo e all’alcolismo.” (…)
“Molta gente pensa di poter possedere la terra. Noi sappiamo invece che è la terra a possederci.” È un detto amerindiano esprimente una verità ineluttabile per loro, ma ineluttabile anche per me, rimasto per sempre fedele alle nostre terre perdute...
[SEMPRE A YELLOWKNIFE, CONVERSO CON LA GUIDA CHE MI HA CONDOTTO SU UN IMMENSO LAGO CON LA SUA SLITTA CONDOTTA DA CANI] Mi descrive, con il suo profondo spirito di solidarietà umana per questa gente, la “caduta” psicologica che ancora oggi gli aborigeni – meticci, inuit e dene – subiscono quando sono in città. Racconta: “Con alcuni miei ospiti [i clienti delle sue escursioni in slitta o in canoa, a seconda della stagione] sono stato accolto da Jimmy, un mio amico dene. Lui e il figlio hanno pescato del magnifico pesce, e le numerose donne – mogli, figlie e parenti vari – ce lo hanno preparato alla maniera indiana. Jimmy andava e veniva dal fiume con questi magnifici pesci appena pescati. Sembrava un re. Fiero e felice. Era fra i suoi e provava un infinito piacere ad essere sé stesso: abile nella pesca, rispettato dal figlio e dalle donne, ospitale con me e gli altri bianchi. Due giorni dopo l’ho incontrato in un edificio pubblico nel centro di Yellowknife. Era silenzioso, schivo, dai movimenti timidi. Lo avresti detto rimpicciolito. Avevo notato che mi guardava, ma non osava rivolgermi la parola. Se non mi fossi fatto avanti io, lui non mi sarebbe venuto vicino. L’ho salutato con calore e si è ripreso. Si vedeva chiaramente che quello non era il suo mondo.”
Sì, li ho visti anch’io gli autoctoni nei bar e nelle taverne di Yellowknife. Mi ricordo di uno al “Miner’s Mess”. Se ne stava seduto con la schiena appoggiata alla parete, la sedia di sghimbescio. Immobile, con gli occhi socchiusi. Stanno così quando sono soli e non hanno soldi per comprarsi da bere. Si direbbe che aspettino. Hanno lo sguardo vagamente inebetito, i movimenti lenti. Se li guardate troppo, si schiudono in un sorriso largo, disarmante e un po’ vergognoso, con quelle loro facce butterate dal freddo e gli occhi mongoli che diventano una fessura, mentre fanno assumere alle braccia una posizione d’inconscia difesa.
Claudio Antonelli

Anonimo ha detto...

Renato P.:"Parlare del verbo coniugare e del calo delle nascite può andar pure bene."

Gli italiani, campioni di denatalità, sono anche dei campioni di "gratta e vinci". E piu' sono anziani e piu' grattano con assiduità e anche ardore nei vari bar della penisola. A vincere sono in pochi. Ma per le masse sterminate di anziani già riuscire a "grattare" senza l'aiuto della badante è una vittoria che ben merita l'investimento di qualche euro quotidiano. Trovo strano che nella penisola nessuno rivolga l'invito a tutti coloro che sono in possesso di un corpo valido di far figli, visto che la grave denatalità assottiglia sempre di piu’ i ranghi degli italiani. Un tentativo se non altro dovrebbe essere fatto di cercare di modificare questa triste tendenza alla morte collettiva, facendo appello ai valori nazionali. Ma forse sono gli slogan del passato regime fascista, che incitavano gli italiani a far figli, a bloccare oggi le gole ed altri organi, nella patria dell’antifascismo. Pare che sia il Giappone il paese con il piu' alto indice di denatalità, ovvero dove si fanno meno figli. L’Italia è solo seconda. O almeno cosi’ mi sembra. Ed è proprio la menzione del Giappone ad indicarci che i sentimenti nazionali contano assai poco tra le lenzuola. Nel paese del Sol Levante, dove i volontari della morte - i kamikaze - nell'ultimo conflitto mondiale dovevano fare la fila, tanto numerosi erano i candidati, oggi i volontari della vita non rispondono all'appello. Appello del resto che neppure l'imperatore osa lanciare, probabilmente perché cosciente che i discendenti di quelli che ieri erano pronti a dar la propria vita per il suo avo, oggi, per lui, non sono per nulla disposti a dar vita a una progenie. E forse sta proprio qui il segno di una morte spirituale, all’insegna della finanza, dell'edonismo e del pessimismo.

Renato P."ma non mi citi gli Statunitensi in fatto di tasse..."
E invece glieli cito:

In Italia, esperti e profani attribuiscono le cause dell’alta evasione fiscale non all’inefficienza del sistema di accertamento e di riscossione dei tributi, in un paese dove non si riesce neppure a far pagare il biglietto ai viaggiatori dei mezzi pubblici, ma alla mancanza di senso del bene comune, ossia alla mancanza di « senso dello Stato ». A sostegno di questo giudizio alla San Francesco molti indicano l’esempio degli Stati Uniti dove, essi ci dicono, l’evasione è assai mal vista e la gente trova normale pagare le tasse. I nostri moralisti equiparano, insomma, il pagamento delle tasse a un atto di « buona volontà ». Questo dono naturale di « autocontrollo » e di obbedienza alle regole degli americani è, secondo me, smentito dai fatti. Il tasso di omicidi è ben più’ alto in America che in Italia. Lo stesso americano medio è spesso fortemente armato. Bere all’eccesso nel corso di festicciole fino a crollare esamini è quasi la regola tra gli studenti universitari. Gli atti di rabbia al volante sono diffusi. E l’obesità? Come spiegare questa mancanza di autocontrollo e di moderazione in tali campioni di doveri autoimposti? In realtà l’efficienza – relativa – dell’IRS è dovuta a pragmatismo e capacità organizzativa; queste si’ doti americane, sostituite invece in Italia dal demenziale burocratismo, oltre che da un ridicolo moralismo fatto di chiacchiere. Ecco invece l’illuminante giudizio, che ho trovato sul Web, di un italiano che ha vissuto negli USA : « Lì, per evasione fiscale (ma anche per smodato eccesso di velocità, per dire) si va in galera dritti e sparati, indipendentemente dallo status sociale, ma quando si pagano le tasse (ai primi di giugno), se si eccede nei versamenti, dopo quindici giorni arriva l'assegno governativo che restituisce il maltolto...io, quando ricevetti il primo, pensai ad uno scherzo, ed aspettai una settimana ad andare a versarlo in banca per timore di essere sbeffeggiato dagli addetti agli sportelli».
Claudio Antonelli

Anonimo ha detto...

Una descrizione che leggendola ti apre il cuore e ti fa stringere i pugni. Lei, dottor Antonelli, è una buona penna. Non c'è bisogno che glielo dica io ma, continui così. Dia voce a chi non ce l'ha.

Fa specie sapere che per chiedere la cittadinanza canadese bisogna sapere perlomeno il francese o l'inglese. Io metterei in primo piano almeno una delle lingue dei nativi, e dopo, di complemento, quelle dei colonizzatori.

Quanto al passo carrabile e alle tasse degli Statunitensi torneremo, se se ne presenterà l'occasione, a parlarne. Per ora possiamo lasciar perdere. Mischiare il dramma dei nativi a queste quisquilie della società moderna mi pare di far loro uno spregio.

Renato P.