lunedì 29 marzo 2021

Due parole sulla "tassonomia" (2)


 Riprendiamo il discorso sulla “tassonomia”. In quelle noterelle avevamo dimenticato di dire che il termine è un prestito del linguaggio scientifico perché con tassonomia si intende una branca della storia naturale che studia la classificazione degli esseri viventi e dei fossili (dal greco “taxi”, collocazione e “nomía”, nome). La “tassonomia linguistica” si potrebbe definire, quindi, la scienza che studia il “sesso” dei sostantivi in base alla loro collocazione nei vari settori. In base a questa classificazione, contrariamente al “buon senso”, tendono a collocarsi nel genere femminile i nomi militari che indicano mansioni: guardia; ronda; pattuglia; sentinella e via dicendo. Ma perché proprio femminili dal momento che queste mansioni erano svolte, fino a qualche anno fa, esclusivamente dagli uomini?  

    Perché, fa notare il linguista Bruno Migliorini, il loro genere è dovuto al valore “astratto-collettivo” della funzione che questi sostantivi designano, valore che, per l’appunto, la tassonomia lo preferisce rappresentato dal femminile. Sono altresí di genere femminile i nomi di nozioni astratte, di discipline, di scienze: la bontà, la fiducia; la pace; la grammatica; la geografia, l’informatica (oggi tanto “di moda”); la passione; la collera ecc. Ma anche in questo “settore” non mancano le eccezioni come si può notare dal fatto che accanto a molti nomi femminili ci sono sinonimi maschili: allegria/buonumore; giustizia/diritto; discordia/disaccordo; passione/amore e altri che ora non ci sovvengono.

   Per quanto riguarda il “sesso” degli alberi avevamo visto che questi tendono a collocarsi nel genere maschile, anche se non mancano numerosi alberi orgogliosi della loro “femminilità”: la vite; la quercia; la betulla; la palma; la sequoia; la magnolia. Per quanto attiene, infine, al genere del frutto degli alberi della vite, della palma e della quercia – l’uva, il dattero e la ghianda – è interessante notare che il loro nome non si forma dalla medesima radice del nome dell’albero come avviene, per esempio, per castagno/castagna; ciliegio/ciliegia e dunque il loro “sesso” non è stato vincolato dall’opposizione “albero” (maschile) / “frutto” (femminile), come prevede, di norma, la tassonomia. La vite, tra l’altro, ha conservato lo stesso genere del latino “vitis” perché nel passaggio dal latino al volgare (l’italiano) i parlanti l’hanno sentita – per il suo aspetto e per il tipo di coltivazione in filari e pergolati – piú come “pianta” che come “albero”. 

   Ed ecco spiegato anche il motivo per cui diciamo “la” vite e non “il” vite, pur trattandosi del nome di un albero. Tendono a collocarsi nel genere maschile – e concludiamo queste modeste noterelle – e sempre in base alla “legge tassonomica” i sostantivi indicanti preghiere perché molto spesso conservano il loro antico nome latino o lo affiancano a quello volgare, cioè all’italiano: il Credo; l’Angelus; il Gloria; il Te Deum; il Pater; il Requiem; il Salve. Quest’ultimo, talvolta, si può trovare anche nella forma femminile, come l’Avemmaria (che, però, è rigorosamente di genere femminile).



 

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