Un’indagine conoscitiva ha messo in evidenza che il novanta per cento delle persone fa un uso eccessivo della tautologia che, nella maggior parte dei casi, è un vero e proprio errore di grammatica oltre che di stile. Vediamo, dunque, che cosa è questa “tautologia” che non ha nulla che vedere con il… tatuaggio.
Tautologia
è parola che deriva dal greco e significa “ripetizione del già
detto”. È formata, infatti, da “tautò” (lo stesso) e “logos”
(discorso); è la ripetizione, quindi, di vocaboli o di concetti identici o
simili tra loro. “Indagine conoscitiva”, per esempio, è una tautologia che
abbiamo adoperato a bella posta per introdurre questa nostra chiacchierata.
Un’indagine,
tutti lo sanno, si fa per “conoscere”; aggiungere “conoscitiva” è
uno spreco di inchiostro (o di voce) oltre che una ripetizione che in buona
lingua italiana è da evitare. L’indagine (che, ripetiamo, di per sé è
“conoscitiva”) può essere seguita da un aggettivo che specifichi da chi è
promossa: indagine parlamentare, giudiziaria, ministeriale e via dicendo.
Inutile
dire che tutta la stampa e la maggior parte dei nostri burocrati ci propinano,
a ogni piè sospinto, una sfilza di tautologie. Come i testi delle annunciatrici
della radiotelevisione di Stato che ci ricordavano che le domande di
partecipazione ai vari concorsi vanno presentate “entro e non oltre” la data
stabilita nel bando. Entro non significa anche “non oltre”? Un notissimo
critico cinematografico ci informa che il “protagonista principale” del film ha
ricevuto l’Oscar per la migliore interpretazione. Il poverino, nella foga dello
scrivere, ha dimenticato che “protagonista” significa “principale”. Un giovane
cronista, sfornato dalla scuola di oggi dove non sappiamo, francamente, se i
programmi prevedano ancora lo studio della grammatica e della sintassi, domanda
a una giovane attrice esordiente “quali sono le prospettive per il futuro”.
Forse c’è anche una prospettiva per il passato che in questo momento ci sfugge;
sarà nostra cura informarci e se è cosí ve ne daremo conto nel nostro articolo
“prossimo venturo”, come ci capita sovente di leggere o sentire. Prossimo non
equivale a venturo?
Ancora.
A norma delle “vigenti leggi” l’imputato è stato condannato a cinque anni di
reclusione: solo un giudice impazzito può applicare una legge che non è piú “in
vigore” (vigente).
Potremmo
continuare ancora, ma non vogliamo tediarvi oltre misura; vogliamo solo
ricordarvi, in proposito, che un giudice non “commina” una pena; la legge la
“commina”, cioè la “prevede”.
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