Molte
persone usano nel parlare degli intercalari, vale a dire parole o piccole frasi
che, senza rendersene conto e senza alcuna necessità, inseriscono nel discorso.
Questo “vizio locutorio” si riscontra soprattutto nei politici. Chi è affetto
da questa “patologia verbale”, se ama il bel parlare, deve sforzarsi di...
curarla. Uno degli intercalari piú frequenti è “praticamente”. «Prima di usarlo
- suggerisce il linguista Luciano Satta - vediamo se questo avverbio serve: il
piú delle volte no, tranne un certo desiderio di attenuare, ma allora il
“praticamente” è parola troppo di comodo, e vagamente ipocrita. Inoltre non
definisce bene il concetto: scrivendo (o dicendo, ndr) “L’illuminazione è
‘praticamente’ inesistente” non si spiega se l’illuminazione è solo difettosa o
se c’è cosí poca luce che si va a sbattere la testa contro i lampioni».
Quanto
stiamo per scrivere - siamo certi - non avrà l’ «approvazione» di qualche
linguista che dovesse imbattersi, per caso, in questo sito. Comunque...Il sostantivo femminile “pena” che, a seconda del contesto, può significare
“castigo”, “punizione”, “sanzione”, “tormento”, “compassione” ricorre in numerose locuzioni “francesizzanti” che in buona lingua andrebbero evitate, anche se “immortalate” negli scritti di autori classici. Vediamole. “Prendersi la pena di...” o “Darsi la pena di...”: Giovanni si dia la pena di rispondermi al piú presto. In buona lingua meglio: Giovanni si prenda la briga di (o locuzioni simili) rispondermi al piú presto; “Aver pena a...”: Luigi non avrà troppa pena a fare quel lavoro. Molto meglio: Luigi non avrà troppa difficoltà a fare quel lavoro; “Valer la pena di...”: Vale la pena di ignorare tutto ciò che dice. In lingua sorvegliata si dirà: Conviene, è meglio ignorare tutto ciò che dice; “A pena di...”: I trasgressori sono soggetti a pena di multa. Meglio: I trasgressori sono soggetti a una multa.
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