domenica 7 aprile 2019

Alcuni usi "scorretti" del nostro idioma

Oggi è invalso l’uso, introdotto da qualche “notabile della lingua”, di far seguire la preposizione “per” dalla sorella “di” (semplice o articolata). È un uso, questo, che chi ama il bel parlare e il bello scrivere deve assolutamente “evitare come la peste (linguistica)”. Non scriveremo (o diremo), quindi, “sono uscito per ‘delle’ compere. Diremo, correttamente, “sono uscito per ‘alcuni’ acquisti”.

Molte persone usano nel parlare degli intercalari, vale a dire parole o piccole frasi che, senza rendersene conto e senza alcuna necessità, inseriscono nel discorso. Questo “vizio locutorio” si riscontra soprattutto nei politici. Chi è affetto da questa “patologia verbale”, se ama il bel parlare, deve sforzarsi di... curarla. Uno degli intercalari piú frequenti è “praticamente”. «Prima di usarlo - suggerisce il linguista Luciano Satta - vediamo se questo avverbio serve: il piú delle volte no, tranne un certo desiderio di attenuare, ma allora il “praticamente” è parola troppo di comodo, e vagamente ipocrita. Inoltre non definisce bene il concetto: scrivendo (o dicendo, ndr) “L’illuminazione è ‘praticamente’ inesistente” non si spiega se l’illuminazione è solo difettosa o se c’è cosí poca luce che si va a sbattere la testa contro i lampioni».
Quanto stiamo per scrivere - siamo certi - non avrà l’ «approvazione» di qualche linguista che dovesse imbattersi, per caso, in questo sito. Comunque...
Il sostantivo femminile “pena” che, a seconda del contesto, può significare
“castigo”, “punizione”, “sanzione”, “tormento”, “compassione” ricorre in numerose locuzioni “francesizzanti” che in buona lingua andrebbero evitate, anche se “immortalate” negli scritti di autori classici. Vediamole. “Prendersi la pena di...” o “Darsi la pena di...”: Giovanni si dia la pena di rispondermi al piú presto. In buona lingua meglio: Giovanni si prenda la briga di (o locuzioni simili) rispondermi al piú presto; “Aver pena a...”: Luigi non avrà troppa pena a fare quel lavoro. Molto meglio: Luigi non avrà troppa difficoltà a fare quel lavoro; “Valer la pena di...”: Vale la pena di ignorare tutto ciò che dice. In lingua sorvegliata si dirà: Conviene, è meglio ignorare tutto ciò che dice; “A pena di...”: I trasgressori sono soggetti a pena di multa. Meglio: I trasgressori sono soggetti a una multa.


 “Al contrario” o “all’incontrario”? In buona lingua è preferibile la prima forma. La seconda, anche se corretta, ai nostri orecchi suona popolare. È sconsigliabile inoltre, perché come spiega Pietro Fanfani, «una preposizione articolata (all’) non può reggere un’altra preposizione (in) anche se fusa con la parola che segue (contrario)». Sotto il profilo semantico vale “nel senso contrario”, “all’opposto”, “a rovescio” e simili: Giulia, per la fretta, si mise il giubbino al contrario. È anche sconsigliabile, come molti fanno, usare questa locuzione con un significato che, propriamente, non ha: invece. Chi ama il bel parlare e il bello scrivere non dica, per esempio, “ti avevo detto di non uscire e, al contrario, sei uscito”. Dirà, correttamente, “ti avevo detto di non uscire, e invece sei uscito”.

 

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