di
Salvatore Claudio Sgroi *
1. Oggi nel sito
della Crusca Paolo D'Achille ha tratto le conclusioni, attese da un mese, dal
fitto dibattito suscitato col suo "Tema del mese di gennaio" dedicato
a "Qual è il problema? L’ortografia!",
ribadendo la posizione tradizionalista della Crusca, a favore del "Qual è" rispetto al "Qual'è" apostrofato, già espressa
nel 2002, anzi per certi versi rincarando la dose.
2. Possiamo così
caratterizzare la posizione espressa in questo "Intervento conclusivo":
1°)
La nozione teorica di "standard" è fatta coincidere (con A.
Castellani) con l'esistenza di una sola forma linguistica, e l'esistenza
dell'"italiano standard" è tale solo se comporta una sola forma come
"corretta" (nel nostro caso "qual
è?"). Viene invece negata la possibilità teorica di uno
"standard" con varianti (qui "Qual'è" accanto a "qual
è"). Ma per es. T. De Mauro aveva insistito sulle varianti dello
standard.
2°) La norma corretta è fatta
coincidere con la "maggioranza dell'uso colto", nel caso specifico
con la maggioranza di "qual è", ma non certamente nei social. La minoranza dell'uso colto (qui Qual'è"
apostrofato), o l'oscillazione degli usi colti, non hanno alcuno spazio.
3°) Il "Qual'è" apostrofato è benevolmente giudicato una forma dovuta
alla "fretta", una "sbadataggine", una forma che
"scappa", una "piccola trasgressione", consentita solo a
qualcuno...
4°) Contro il minoritario "Qual'è" è suggerita la
"strategia dell'evitamento", ovvero la forma piena <quale è?> ("accettabile").
Ma sinceramente improponibile in enunciati interrogativi come appunto la
domanda secca <Qual'è?>. Chi
opterebbe per il trisillabico <quale
è?> ['kwa.le. è?], al posto del bisillabico Qual'è? [kwa.l'è?]?
5°) Se da un lato si ribadisce che
la Crusca "consiglia, non prescrive" <qual è?> al posto dell'apostrofato <Qual'è?>, dall'altro però si giudica "elegante" <qual è?> e quindi in-elegante, trasandata
la forma apostrofata <Qual'è?>.
6°) Nell'intervento la grafia <Qual'è> in quanto cattivo esempio da sottrarre
il più possibile allo sguardo del lettore è indicata pedagogicamente, con
elegante variazione sinonimica, come "l’apostrofo tra qual ed è" (4 volte), "sequenza
apostrofata" (2 volte), "qual
apostrofato prima di è" (2 volte), "forma
concorrente", "grafia con l’apostrofo", "maggiore presenza
dell’apostrofo".
3. Dal mio punto
di vista, la grafia "Qual è?",
grafia tradizionalissima e corretta, riflette il troncamento di quale in qual proprio dell'italiano antico, non contemporaneo, rimasto in
tutte le forme cristallizzate opportunamente riprese nell'intervento, ed è grafia
in realtà "dissociata" rispetto alla "normale" (e coerente)
grafia con apostrofo "Qual'è?".
Che riflette invece la corrente
elisione, cancellazione della vocale di "quale" in "qual' "
solo dinanzi ad [è/era] e non più
dinanzi a consonante ("*Qual
macchina hai comprato? chi lo dice?).
Il "lapsus", la "sbadataggine",
la "fretta", la "trasgressione" (del Qual'è) testimoniano solo la presenza nel parlante della Regola-1 (con
l'apostrofo) nell'Inconscio in contrasto con la Regola-2 (senza l'apostrofo)
imposta dal Superego.
Al parlante la libertà di scegliere la
Regola-2 (senza apostrofo) della dissociazione maggioritaria (non però dei social, ribadiamo) oppure la Regola-1
del Qual'è del subconscio, più coerente
e serena e non meno corretta perché adottata da parlanti colti, pur se
minoritari.
En passant, non aveva avuto paura del “Qual’è”
apostrofato l’ indimenticabile presidente della Crusca Giovanni
Nencioni, che l’ aveva adoperato in un testo istituzionale del 1945. E non diversamente si era comportato il
precedente presidente della Crusca, Giacomo Devoto, che
in un suo importante articolo del 1955 aveva scritto: “Qual’è la differenza
tra dialetto e lingua?”.
4.
A questo punto la chiusura dell'intervento:
"E se allora qualcuno gli fa rilevare
l’“errore”, come si dice oggi, “ci sta”, mi
sembra, sinceramente, in grande contraddizione con la più volte asserita
assicurazione (a parole) di voler "consiglia(re), non
prescrive(re)".
No,
"l'errore non ci sta proprio!".
*
Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania
3 commenti:
Il prof. D'Achille, nelle sue conclusioni circa il dibattito sul "qual(')è", ha ribadito, in buona sostanza, che la forma da preferire e consigliata dalla Crusca è quella senza apostrofo. Tra le altre cose scrive: «Anzitutto, come ho detto, l’ortografia rappresenta una convenzione, che non sempre e non necessariamente si appoggia alle regole fonetiche: lo dimostra chiaramente la differenza di trattamento che hanno gli avverbi di luogo qui e qua, non accentati sebbene tonici, e lì e là, che invece lo sono». Il "paragone", francamente, non mi sembra pertinente, oserei dire scorretto.In realtà qui, qua, lì e là sono tutti e quattro voci monosillabiche toniche, ma il segnaccento grave si segna solo in lì e là perché esistono altri monosillabi peraltro atoni (clitici) con cui potrebbero confondersi (li e la, rispettivamente pronome e articolo-pronome). Invece nel caso di qui e qua non esistono possibili omografi con cui si creerebbe confusione e quindi sono privi del segnaccento grafico.
Non ho nulla da aggiungere a quanto scrive il Professor Sgroi, se non l'osservazione che nell'intervento conclusivo di D'Achille si veda chiaramente la "manina" di Marazzini. Se hanno scomodato il Presidente, si ha l'ennesima conferma che la quisquilia tanto quisquilia non sia.
Alla fine della fiera, la Crusca si è rimangiata in un solo boccone la sua pretesa di non avere un ruolo prescrittivo sulla lingua: ce l'ha e lo rivendica anche.
Provando a mettermi nei panni di Marazzini, posso forse immaginare che dopo le polemiche seguite allo "sdoganamento" di "uscire il cane", il Presidente stia imponendo dall'alto un periodo di "austerità". Il problema è che "uscire il cane" è un'espressione dialettale assolutamente inadatta in uno scritto, mentre qual'è è italiano vivo e assolutamente nazionale!
In breve, il 4 marzo 2019 non è stata scritta una pagina brillante per l'Accademia.
Ancora sulle "conclusioni" del prof. Paolo D'Achille sulla grafia "corretta" di qual(')è, che scrive: «Tutte le lingue scritte (compresi i dialetti italiani che hanno una lunga tradizione letteraria, come il veneziano e il napoletano) hanno delle loro regole ortografiche e anzi la fissazione di queste regole sembra spesso essere il primo passo per la costituzione della norma grammaticale (lo abbiamo visto anche di recente, nel caso delle cosiddette “lingue regionali”)». Una norma grammaticale non "vieta" l'uso delle virgolette dopo 'cosíddetto/cosí detto' essendo queste ultime "dentro" il cosiddetto? Quindi: «nel caso delle cosiddette lingue regionali» o «nel caso delle "lingue regionali"».
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