Probabilmente ci ripetiamo, ma
come dicevano i nostri antenati Latini...
Ancora una volta, nostro malgrado, dobbiamo dissentire da certi
vocabolari che ritengono i termini barbari "forfait" e
"forfeit" l'uno sinonimo dell'altro. Nel Treccani, per esempio,
possiamo leggere: «forfeit ‹fòofit› s.
ingl., usato in ital. al masch. – Nel linguaggio sport. (in Italia spec.
nell’ippica), termine equivalente al fr. forfait (v.forfait2)».
La cosa, presentata in questo modo, genera solo equivoci e confusione. I due
termini, il francese "forfait" e l'inglese "forfeit" hanno
significati diversi. Il dizionario del Battaglia - a nostro modesto avviso - è
un po' piú chiaro. Alla voce italianizzata "forfè" (che a noi non
piace) precisa: «... per il significato numero 2 (sport: rinuncia o mancata
presenza di una squadra o di un concorrente ad un incontro) confronta l'inglese
"forfeit" (che è tratto dal francese)». Il DOP, Dizionario di
Ortografia e Pronunzia della ERI (versione cartacea), non ha peli sulla lingua:
specifica chiaramente la diversità di significato dei due termini, il francese
e l'anglo-fancese. Come non ha peli sulla lingua l'insigne (e rimpianto)
linguista Aldo Gabrielli: "forfait" vale 'prezzo fatto';
"forfeit", invece, vale 'ritiro'. Ma anche il DELI, per la verità,
distingue i due vocaboli: "forfait", 'contratto per cui ci si impegna
a fornire una prestazione o un bene a un prezzo globale prestabilito' e
"forfeit", 'mancata partecipazione o ritiro prima dell'inizio dello
svolgimento di una gara'. Come vedete, amici, non stiamo farneticando: c'è
forfait e... forfeit.
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"Sia...
sia" o "sia... che"?
Entrambe le locuzioni si
possono adoperare. Sarebbe bene, però, non incoraggiare la diffusione del sia...
che perché, come scrive Luca Serianni, accademico della Crusca, nella sua
Grammatica Italiana: «(...) La correlazione è ottenuta col congiuntivo presente
del verbo essere, usato con valore concessivo. Il che al secondo
membro, piuttosto diffuso e ormai accettato anche dai grammatici
tradizionalisti (...), talvolta potrebbe ingenerare confusione, specie in
periodi complessi (...)». Accettato, tradotto, significa tollerato.
La sola forma grammaticalmente legittima è, dunque, sia... sia.
Questa locuzione correlativa sta per tanto... quanto, e... e;
il secondo sia può essere sostituito da o, ossia, giammai
da che, con cui non può evidentemente stare in correlazione: sia
noi sia voi; sia noi ossia voi. È giusta, corretta, invece
la locuzione sia che... sia che: sia che partiate, sia che
restiate.
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Ancora sulla lingua "biforcuta" della stampa
Da un quotidiano in rete:
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A nostro avviso, stando alla "legge logico-grammaticale", la
congiunzione avversativa "ma", in questo caso, è un'intrusa e da
eliminare, quindi. Secondo la "logica grammaticale": "La donna
che non prova dolore potrebbe aiutare milioni di malati in tutto il
mondo". Attendiamo smentita da parte di qualche sedicente linguista.
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