(Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania)
La
grammatica di una qualsiasi lingua è una teoria,
ovvero un insieme di principi generali, costituiti da definizioni e termini
tecnici, con cui si cerca di spiegare mediante esempi pertinenti come è fatta
una lingua e come funziona. Il rapporto tra Grammatica e Lingua di una comunità
è sempre approssimato. Nessuna teoria grammaticale può infatti dar conto in
maniera compiuta degli infiniti usi di una lingua da parte di una massa
parlante.
Un
libro di grammatica si apprezzerà tanto più, da parte del lettore, quanto più
semplice, coerente e comprensibile risulterà la teoria al servizio dei fenomeni
linguistici e quanto più ricchi saranno i fatti di lingua presi in esame.
La
"Grammatica: parole, frasi, testi dell'italiano" di Angela Ferrari e
Luciano Zampese (Carocci pp. 406) è un testo notevole nel panorama dell'attuale
grammaticografia dell'italiano, sia per l'apparato teorico che mette in campo
sia per i fenomeni linguistici osservati. Il volume è articolato in cinque
parti: I) "La parola" (ovvero verbo, nome, aggettivo, pronome,
avverbio, articolo), comprensiva della "Formazione delle parole", II)
La "frase semplice", III) La "frase complessa", IV)
"Dalla frase al testo" (con punteggiatura) e V) Il "testo".
Si tralascia il cap. su fonologia e ortografia.
Il
salto è notevole sul versante teorico e descrittivo rispetto alla grammatica
scolastica. Il lettore apprezzerà l'analisi di fenomeni tradizionalmente
'liquidati' dalla grammatica scolastica in quanto banalmente ritenuti errori,
malgrado la diffusione in testi di autori colti o, se non esclusi, banalmente
spiegati, o non spiegati. Solo qualche esempio.
Il
punto fermo, con valore enfatico, che separa le due frasi con "frammentazione
della sintassi" per es. in "Oggi non viene. Perché è occupato"
(p. 279) è lungi dall'essere errato. Perché le due frasi non hanno proprio lo
stesso significato se invece sono separate dalla virgola: "Oggi non viene,
perché è occupato", in conseguenza del diverso "rilievo
informativo". Non diversamente con la relativa a inizio di frase:
"L'ho detto anche a Maria. La quale, devo dire, ha reagito bene" (p.
214). In maniera analoga nell'es. "Il presidente ha parlato. Troppo"
rispetto a "Il presidente ha parlato troppo" (p. 280), il punto fermo
conferisce un "rilievo informativo" diverso rispetto alla sua
assenza.
Non
meno significativa è l'analisi della virgola che separa il soggetto dal
predicato. Tradizionalmente un erroraccio. Ma in un'ottica sintattico-pragmatica
di ben diverso valore. Nella frase pasoliniana "Il prete, non poteva dirle
nulla" (p. 302) la virgola enfatica dà rilevo al soggetto
"topic", da intendere come "Quanto al prete, non poteva dirle
nulla". Non diversamente la virgola dopo un "soggetto pesante"
facilita visivamente l'articolazione e la comprensione del periodo, es.
"La domanda che mi era stata fatta [...], mi ha molto sorpreso".
Quanto
al congiuntivo nelle dipendenti, gli AA. al di là di qualche eco del presunto
valore semantico, riconoscono la presenza dell'indicativo pro cong. "nel
parlato colloquiale" (p. 196) es. "speriamo che lo fa"; ovvero
"nel parlato informale" (p. 197) per es. "pare che c'è
andato", "è normale che ci è andato".
Nell'ambito
delle condizionali col "se", di particolare interesse sono le
"condizionali bi-affermative" e "bi-negative" (p. 234) ma
non ipotetiche, ess. "Se Michela è allegra, Marco è triste", o
"Se tu parli il cinese, io sono il papa". Eccetera.
Il
lettore curioso rimarrà affascinato dalla lettura di un testo come quello dei
due autori italiani, attivi nella Svizzera italiana.
3 commenti:
Siamo da capo: il prof. Sgroi difende una grammatica che lascia intendere il seguente messaggio: comunque fai (!), fai bene, tanto ci sarà sempre il modo di giustificare i tuoi errori.
Questo mi sembra inaccettabile e assai poco educativo. I nostri studenti hanno imparato fin dalle elementari che non si mette la virgola fra soggetto e predicato, che una frase non può cominciare con un pronome relativo, che non si può dire “speriamo che me la cavo” ecc. La grammatica di Ferrari-Zampese, invece, dice tutto il contrario. Bene, così le menti già confuse dei nostri ragazzi ne trarranno un bel guadagno!
Tutti questi bei discorsi facciamoli tra di noi che mastichiamo la grammatica da decenni, ma i ragazzi hanno bisogno di regole cui aggrapparsi, almeno fin tanto che sono giovani. Poi...
Poi mi viene in mente Cesare Marchi che scrive in Impariamo l’italiano (Rizzoli 1984, pag.154): se Pierino scrive nel compito “Io, il mio divertimento è dove si gioca” merita un segnaccio blu, perché ecc. ecc. Invece Pascoli scrivendo “Io, la mia patria or è dove si vive” crea un anacoluto vibrante di tensione emotiva. A Pascoli, insomma, è concesso scrivere così, a Pierino no. Il motivo? Perché c’è una differenza fra i due: “la differenza tra lui e Pierino è che lui sa di violare la regola, Pierino no” (testuali parole). E Marchi conclude dicendo: “A Pierino l’anacoluto è assolutamente proibito. Potrà usarlo quando sarà scrittore anche lui”.
In conclusione, se non diamo ai nostri giovani delle regole, e non solo nella grammatica..., il rischio è che vadano allo sbando e non sappiano più orientarsi nemmeno nella più semplice comunicazione.
Cordiali saluti.
Otto
Gentile Otto,
non sta a me fare il difensore degli Autori del libro e del prof. Sgroi, oltre tutto non ne hanno bisogno. Occorre riconoscere, però, che a scuola spesso si insegnano delle "inesattezze", come questa che le copincollo:
Uso corretto del gerundio
Ai tempi della scuola ci hanno insegnato molte “inesattezze”, come quella che il gerundio non si può adoperare se non si riferisce al soggetto della proposizione reggente. Niente di piú “falso”, lo sostiene Francesco Sabatini (già presidente della “Crusca”) rispondendo a un quesito di un lettore.
Il lettore ci pone un quesito che rivela, ancora una volta, come le spiegazioni approssimative di molti libri di grammatica (desiderosi di essere soprattutto brevi) possono creare dubbi d’ogni sorta. La regola che mette in guardia dall’usare, in una frase implicita, il gerundio riferito a un altro soggetto che non sia quello della frase reggente, gli è stata forse presentata in maniera tanto cieca da fargli supporre che, tolto questo caso, il gerundio non si possa usare. Quella regola invece si completa dicendo che il gerundio di una frase implicita può riferirsi anche a un soggetto diverso da quello della reggente a patto che quel soggetto venga introdotto, con un nome o un pronome: la frase citata come difettosa – Essendo tu un bravo studente, io ho stima di te – è invece assolutamente corretta. C’è un solo accorgimento da rispettare: il soggetto di un gerundio non riferito al soggetto della frase reggente va posposto al gerundio (Essendo tu …; non Tu essendo, una posizione accettata nell’uso antico, che oggi suonerebbe aulica). È chiaro che quest’uso è proprio di uno stile un po’ ricercato, dal momento che più comunemente si dice: siccome sei un bravo studente, … o visto che sei …. Esistono poi altri casi di non “coreferenza” del gerundio al soggetto della frase reggente: quando si mette al gerundio un verbo impersonale (Piovendo a dirotto, non siamo usciti di casa); quando si introduce un cosiddetto “soggetto generico” (Ripensandoci, le tue parole non mi sono piaciute; cfr. L. Renzi, Grande grammatica italiana di consultazione, vol. II, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 572-574), meglio ancora quando un soggetto generico del gerundio si associa a una reggente impersonale: (sbagliando, s’impara)».
Buon giorno,
anche questa volta mi trovo d'accordo con Otto: questi discorsi li può fare chi mastica la grammatica da decenni, ma i ragazzi hanno bisogno di regole cui aggrapparsi, almeno fin tanto che sono giovani.
Comincino i ragazzi a imparare le regole principali per uno scritto formale; poi potranno imparare la bellezza dell'espressività delle sfumature e quando saranno più consapevoli, e scriveranno in modo poetico o "letterario", applicheranno le "nuove" regole.
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