Il cavalier De Rossi era molto geloso della moglie e questo
suo "difetto" era arrivato agli orecchi dei colleghi d'ufficio, che
non perdevano occasione per rendergli la vita difficile. Un giorno, un collega
piú "esuberante" decise che era giunto il momento di " mettere
alla prova" il De Rossi. D'accordo con altri colleghi che gli tenevano
bordone telefonò al collega "geloso" e, camuffando la voce, lo invitò
a controllare le "strane" uscite della moglie. Da quel giorno la vita
del De Rossi fu un inferno: trascorreva le notti insonne, la "pulce"
gli "ronzava" sempre nell'orecchio. I colleghi se ne accorsero e,
presi dal "rimorso" cercarono di tranquillizzarlo dicendogli che la
telefonata era stata uno scherzo di pessimo gusto. Ma la "pulce",
ormai, era "penetrata" negli orecchi di quel disgraziato.
"Tenere bordone" e "mettere la pulce nell'orecchio" sono
modi di dire propri della nostra lingua anche se, per la verità, il secondo è
un calco di un'espressione francese. Quanti conoscono l'origine di questi
idiomatismi? Vediamo di scoprirla insieme. Si adopera l'espressione
"tenere bordone" quando si vuole assecondare qualcuno in un'impresa o
in una discussione, soprattutto "contro" chi è impegnato in un lavoro o in un'attività su
cui è implicito un giudizio poco lusinghiero.
La locuzione è un prestito del linguaggio musicale: bordone è il nome di una canna di cornamusa
(e degli strumenti a fiato, in genere) che emette un solo suono e fa da
sostegno, da "accompagnamento" alla melodia eseguita dalle altre
canne. Colui che tiene bordone, quindi, in senso figurato,
"accompagna" un altro in una discussione e simili. Mettere (o avere)
la pulce nell'orecchio, invece, cioè insinuare dubbi, sospetti e simili,
ricalca l'espressione francese "mettre la puce à l'oreille". Questo
modo di dire era "di moda" in Francia nel secolo XIII ed era riferito
a colui (o colei) che era tormentato da una smania amorosa tanto da non
riuscire a dormire, quasi avesse una pulce che gli "ronzava" negli
orecchi.
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